Cosa c’è di più sacro della volontà dell’uomo di cercare tra gli anfratti e le infinite pieghe della realtà attimi di spiritualità? Davide Conventi non può fare a meno di notare e di fotografare, prima con forte disappunto, ma poi stregato e affascinato, divani abbandonati ai margini dei campi, sui bordi delle strade, nei paesaggi piani e spesso velati di nebbia delle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna. è affascinato dall’aura di questi relitti, custodi un tempo di calde intimità, di meritati riposi dalle fatiche quotidiane ed ora rifiuti inutili, strana metafora del nostro ineluttabile divenire. “Il primo divano è del 2010, l’ultimo del 2015”, scrive Davide Conventi, “e la prima idea fu di provare a sedersi e fotografare ciò che vedevo, ma sarebbe stata una visione limitata, ristretta al reale, quindi ho pensato di viaggiare”. Esorcizza così con il viaggio, il fantasma velato ma sempre presente del nostro destino, accostando ad ogni fotografia di divano abbandonato la fotografia di un tratto di strada, lungo un cammino, durante un percorso, che diventa metafora del nostro vivere quotidiano. La mostra fotografica è accompagnata dal racconto di Giulio Ferrari “Di vani abbandoni e altre felicità minori“. Il testo, che si stende con ritmo lento e cadenzato, adotta un gergo popolare incisivo e ruota attorno a situazioni ispirate dall’oggetto abbandonato che mostra senza pudore interiora e ossa rotte, come totem dimenticato.
Maria Beatrice Bonzani

…”che secondo me il punto sta lì, che su quei divani ne son passate così tante di storie e passioni e abbracci e risate e sudori e amplessi e lotte che nessuno ha poi più il cuore di liberarsene definitivamente, e allora li appoggia a bordo di una strada, lungo un fosso, in un parcheggio, lasciando a loro un ulteriore fatato scampolo di vita selvaggia, non più in cattività”…
Giulio Ferrari