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Franco De Courten – Giardini
una cospicua serie di olii magri su tela o su carta che rappresenta la produzione più recente di questo maestro, in effetti, del tutto singolare nel panorama dell’attuale pittura italiana
Comunicato stampa
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“Franco de Courten è una figura d’artista che ha pochi paragoni in questa fase della pittura di inizio millennio” scrive Claudio Strinati presentando Giardini, una cospicua serie di olii magri su tela o su carta che rappresenta la produzione più recente di questo maestro, in effetti, del tutto singolare nel panorama dell’attuale pittura italiana.
I numerosi critici che hanno analizzato l’opera di Franco de Courten – una produzione torrentizia frutto di un’applicazione metodica quanto entusiasta – l’hanno con sicurezza collocata nell’ambito della tradizione astratta internazionale. Collocazione che il maestro si guarda bene dal contestare quando racconta dell’imprevedibile contributo offerto alla sua formazione artistica da Civiltà delle Macchine, la bella rivista di Siniscalchi alla quale il padre era abbonato: “Sulle sue pagine ho conosciuto i protagonisti della pittura informale italiana degli anni Cinquanta-Sessanta, Burri, Afro, Vedova e tutti gli altri. Mi sono piaciuti subito, erano nelle mie corde. Poi ho scoperto l’Espressionismo astratto americano, grandissimo. Questi sono stati i miei riferimenti, il clima figurativo all’interno del quale ho operato”. Eppure, se gli si chiede di definirsi in tre parole, con semplicità risponde: “Sinora ho fatto il paesaggio”. Un’affermazione della quale bisogna tener conto. Se è vero infatti che questo intellettuale così fine ha sempre avuto la civetteria di dichiararsi inadeguato a parlare della sua arte, è altrettanto vero che chiarissime sono le sue idee sull’argomento. Dunque, se l’astrattista de Courten dice di essere un paesaggista bisogna credergli.
“Fino al ’98 ho fatto due mestieri, il pittore e il diplomatico. Li ho amati entrambi moltissimo e mi sono ingegnato a farli coesistere in modo che l’uno non intralciasse l’altro. Mi pare anche di esserci riuscito. Direi che si sono persino create delle interferenze positive. La pittura è stata l’efficace espediente psicologico che mi ha permesso di affrontare con serenità le situazioni delicate, spesso drammatiche connesse al mio ruolo di diplomatico. Gli anni della guerra civile in Angola, ad esempio, o quelli algerini, quando il terrorismo islamista seminava il panico tra i civili, anni grondanti di sangue. E’ anche vero però che quella vita di viaggi ha regalato alla mia pittura uno straordinario bagaglio di informazioni ed emozioni visive. In verità la carriera diplomatica ha fatto di me un moderno pittore del Grand Tour.”
Nel corso degli anni, le griglie astratte dei dipinti di de Courten hanno fatto lentamente affiorare il loro segreto, quello di un vedutismo di fine millennio fatto di “sedimenti di immagine”, come ben puntualizza Strinati. Viaggio dopo viaggio, il compito attorno al quale il pittore-viaggiatore de Courten si è attardato è stato quello di meditare sulle tante cose viste e intrappolate da una memoria vorace e restituirne l’essenza attraverso la pittura. Tele, ma soprattutto carte i cui elementi di riconoscimento sono la sapienza cromatica e l’uso elegantissimo del collage.
Il lavoro di de Courten procede inoltre per cicli. L’ultima serie prodotta è una riflessione sul tema del giardino. Con i Giardini, in mostra allo Studio Morbiducci a partire da lunedì 5 dicembre, la figuratività latente nell’astrattismo di de Courten esplode. Chiedersi in quale parte del mondo abbia rubato quelle immagini questa volta forse non ha senso, il maestro fa infatti capire che il confronto con ambienti in cui trionfa la linea curva ed un vitale disordine è nato soprattutto dal desiderio di procurarsi un’esperienza pittorica del tutto nuova. Dipingere giardini è il colorato pretesto per una sfida emozionante.
I numerosi critici che hanno analizzato l’opera di Franco de Courten – una produzione torrentizia frutto di un’applicazione metodica quanto entusiasta – l’hanno con sicurezza collocata nell’ambito della tradizione astratta internazionale. Collocazione che il maestro si guarda bene dal contestare quando racconta dell’imprevedibile contributo offerto alla sua formazione artistica da Civiltà delle Macchine, la bella rivista di Siniscalchi alla quale il padre era abbonato: “Sulle sue pagine ho conosciuto i protagonisti della pittura informale italiana degli anni Cinquanta-Sessanta, Burri, Afro, Vedova e tutti gli altri. Mi sono piaciuti subito, erano nelle mie corde. Poi ho scoperto l’Espressionismo astratto americano, grandissimo. Questi sono stati i miei riferimenti, il clima figurativo all’interno del quale ho operato”. Eppure, se gli si chiede di definirsi in tre parole, con semplicità risponde: “Sinora ho fatto il paesaggio”. Un’affermazione della quale bisogna tener conto. Se è vero infatti che questo intellettuale così fine ha sempre avuto la civetteria di dichiararsi inadeguato a parlare della sua arte, è altrettanto vero che chiarissime sono le sue idee sull’argomento. Dunque, se l’astrattista de Courten dice di essere un paesaggista bisogna credergli.
“Fino al ’98 ho fatto due mestieri, il pittore e il diplomatico. Li ho amati entrambi moltissimo e mi sono ingegnato a farli coesistere in modo che l’uno non intralciasse l’altro. Mi pare anche di esserci riuscito. Direi che si sono persino create delle interferenze positive. La pittura è stata l’efficace espediente psicologico che mi ha permesso di affrontare con serenità le situazioni delicate, spesso drammatiche connesse al mio ruolo di diplomatico. Gli anni della guerra civile in Angola, ad esempio, o quelli algerini, quando il terrorismo islamista seminava il panico tra i civili, anni grondanti di sangue. E’ anche vero però che quella vita di viaggi ha regalato alla mia pittura uno straordinario bagaglio di informazioni ed emozioni visive. In verità la carriera diplomatica ha fatto di me un moderno pittore del Grand Tour.”
Nel corso degli anni, le griglie astratte dei dipinti di de Courten hanno fatto lentamente affiorare il loro segreto, quello di un vedutismo di fine millennio fatto di “sedimenti di immagine”, come ben puntualizza Strinati. Viaggio dopo viaggio, il compito attorno al quale il pittore-viaggiatore de Courten si è attardato è stato quello di meditare sulle tante cose viste e intrappolate da una memoria vorace e restituirne l’essenza attraverso la pittura. Tele, ma soprattutto carte i cui elementi di riconoscimento sono la sapienza cromatica e l’uso elegantissimo del collage.
Il lavoro di de Courten procede inoltre per cicli. L’ultima serie prodotta è una riflessione sul tema del giardino. Con i Giardini, in mostra allo Studio Morbiducci a partire da lunedì 5 dicembre, la figuratività latente nell’astrattismo di de Courten esplode. Chiedersi in quale parte del mondo abbia rubato quelle immagini questa volta forse non ha senso, il maestro fa infatti capire che il confronto con ambienti in cui trionfa la linea curva ed un vitale disordine è nato soprattutto dal desiderio di procurarsi un’esperienza pittorica del tutto nuova. Dipingere giardini è il colorato pretesto per una sfida emozionante.
05
dicembre 2005
Franco De Courten – Giardini
Dal 05 al 23 dicembre 2005
arte contemporanea
Location
STUDIO MORBIDUCCI
Roma, Via Giovanni Battista Bodoni, 83, (Roma)
Roma, Via Giovanni Battista Bodoni, 83, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 18-20 e per appuntamento
Vernissage
5 Dicembre 2005, ore 18
Ufficio stampa
SCARLETT MATASSI
Autore