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Gianni Dova – La maturità e il percorso
circa quaranta opere dalla metà degli anni Cinquanta sino alla fine degli anni Ottanta
Comunicato stampa
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GIANNI DOVA
LA MATURITA’ E IL PERCORSO
E’ un vero piacere ospitare nelle sale della Galleria Telemarket di Via
Filangieri una bella retrospettiva di Gianni Dova. Saranno esposte circa
quaranta opere dalla metà degli anni Cinquanta sino alla fine degli anni
Ottanta.
Una mostra fortemente voluta da Telemarket e corredata di una monografia
molto interessante, curata dal grande critico Enrico Crispolti, estimatore
ed amico di Gianni Dova.
I dipinti esposti, tutti pubblicati, danno la possibilità di conoscere e
approfondire la forte personalità ed il grande contributo che quest’artista
ha lasciato nella storia dell’arte italiana e mondiale.
Gianni Dova nasce a Roma l’8 gennaio 1925. Il padre Edmondo, romano di
origine piemontese, è un commerciante di tessuti. La madre è Isabella Maria
Rauchensteiner, tedesca.
Il talento artistico di Dova proviene dal nonno materno: Carl von
Rauchenstein, pittore, che affrescò numerose chiese nel Tirolo e in Baviera.
Nel 1936 entra nel Collegio gesuita di san Leone Magno di Roma,
successivamente si trasferisce con la famiglia a Milano, dove frequenta il
liceo artistico e si inserisce nell’ambiente bohemien creatosi attorno all’
Accademia di Brera. E’ affascinato dagli artisti del gruppo Corrente:
Birolli, Morlotti e Cassinari; e da Picasso, di cui segue le influenze
post-cubiste. Nel 1945 si sposa e s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di
Brera, dove ha come docenti Carpi, Carrà e Funi, e come compagni Ajmone,
Cavaliere, Cremonini, Crippa e Peverelli.
E’ fra i firmatari nel ’46 del manifesto del Realismo, e l’anno successivo
ottiene il primo contratto con un mercante: Cardazzo. Viene seguito molto da
tanti collezionisti e critici milanesi che lo apprezzano e lo incoraggiano
nella sua ricerca. Tiene la sua prima personale alla Galleria del Cavallino
di Venezia ed inizia uno stretto sodalizio con Roberto Crippa, seguendo la
strada espressiva del “concretismo geometrizzante”, con notevoli
infiltrazioni immaginative.
Nel 1950 prende parte alla mostra del MAC con Vedova, Fontana, Crippa,
Bertini e Soldati, distaccandosi dalla pittura di astrazione geometrica e
virando verso una manipolazione più gestuale e immediata della materia. L’
anno successivo, consigliato da Fontana, divenuto suo amico, sostiene lo
Spazialismo e ne sottoscrive il Manifesto. Nell’ottobre dello stesso anno,
alla Galleria Il Milione di Milano, si tiene la prima esposizione,
presentata da Dorfles, della nuova pittura di Dova, più “nucleare”, più
“spaziale”, più “informale”.
Iniziano subito i conflitti all’interno di questa corrente fra nuclearisti
puri e spazialisti come Dova e Crippa, tant’è che nel 1953 si scinde il
gruppo e Dova dà vita ad una nuova espressione pittorica: una figurazione
embrionale.
Nel 1954 prende parte alla Biennale di Venezia e nello stesso anno si
trasferisce a Parigi, invitato da Michel Tapiè, dove continua ad esporre
così come a Roma e Bruxelles.
Si sposta ancora nel 1956, apre uno studio ad Anversa stringendo amicizia
con Lam, Matta e Jorn. Frequenta gli ultimi seguaci del Surrealismo
sviluppando la sua spiccata immaginazione visionaria alla Ernst.
L’anno dopo torna a Parigi dove espone al Palais des Beaux-Arts, ma si
susseguono senza sosta le mostre internazionali in tutta Europa
Nel ’58 inizia il suo periodo “metamorfico”, con sovrapposizioni iconiche di
umani e insetti, e nello stesso anno torna a Milano. Partecipa a “Documenta”
a Kassel e al “Salon de Mai” a Parigi. Gli inizi degli anni Sessanta lo
vedono grande protagonista dell’arte contemporanea italiana. Viene chiamato
spesso nelle grandi esposizioni internazionali a rappresentare l’espressione
creativa del nostro Paese. Si susseguono sue personali e partecipazioni a
collettive a: Lima, New York, Hagen, Amsterdam, Bruxelles. Nel 1964, a
Palazzo Reale di Milano, ha una sala nella mostra “Sedici pittori dal 1945
al 1964”. Vive ora tra Milano e Calice Ligure ove ha uno studio.
Numerosi in questo periodo i viaggi. Tra questi, sarà fondamentale quello in
Bretagna nel 1968, dove scoprirà condizioni di luce particolari che saranno
fonte di ispirazione per le gouaches, esposte in seguito a Verona e a
Brescia. Nel 1970 gli viene dedicata una mostra a Palazzo dei Diamanti a
Ferrara. Si va sviluppando il suo interesse per l’incisione e la
litografia.
Alla fine del 1971, nella sala delle Cariatidi a Palazzo Reale di Milano s’
inaugura una sua antologica, curata da Franco Russoli.
In questo periodo Gianni Dova si abbandona, come sottolinea Enrico
Crispolti, “ad una sorta di immaginoso impressionismo acquatico e boschivo”,
che lascia spazio nei suoi cataloghi ad una fertile convivenza con le
liriche di poeti suoi amici, con i quali intreccerà sodalizi molto sentiti e
profondi.
Continuano le esposizioni, fra cui “Milano 70/70, un secolo d’arte” al Museo
Poldi Pezzoli e alla Biennale di Milano.
Nel 1973 realizza il drappello del Palio di Siena.
Nel corso degli Anni Settanta e Ottanta saranno innumerevoli le sue
personali in Italia ed all’estero con riconoscimenti di pubblico e di
critica.
Ed è questa la stagione della maturità immaginativa doviana. L’artista si
immerge in una dimensione magica e fascinosa, evolvendo la sua sensibilità
non con ulteriori elementi di ricerca, ma approfondendo e svelando le
possibile e innumerevoli chiavi di lettura di quanto sino ad ora espresso. I
suoi “giardini” e “paesaggi” non sono più un’espressione surreale ernstiana,
ma intense proiezioni psichiche d’accesa fantasia, quindi niente di
naturalistico, atmosferico, ma pura introspezione psicologica.
Della inesauribile e preziosa fertilità creativa di Dova continueranno a
scrivere: Sanesi, De Grada, Russoli, Alfonso Gatto, Barbera, Castellaneta e
Crispolti.
Nel 1983, partecipa alla Mostra presso la GAM di Bologna “L’Informale in
Italia”, curata da Barilli e Solmi. Mentre quattro anni dopo, sue opere sono
esposte in “Arte svelata. Collezionismo privato a Como dall’Ottocento ad
oggi”, a cura di Luciano Caramel.
Il XXII Premio Aldo Roncaglia, nel 1990, presso la rocca estense di San
Felice sul Panaro propone un “Omaggio a Dova”, e ancora una personale curata
da Tommaso Trini a Cuneo e una partecipazione a “Segno gesto materia.
Protagonisti dell’Informale europeo” a cura di Caramel, alla Galleria Arte
92 di Milano.
E come scrive sempre Crispolti “Questo è il Dova estremo, disperatamente
neoromantico piuttosto, ormai, che surreale. In uno strazio di disperata
volontà di partecipazione, di stupore immaginativo e sensitivo.”
Nel 1991 Claudio Spadoni cura un’antologica di Dova a Palazzo Paolina a
Viareggio e alla Casa del Mantegna a Mantova.
Il 14 ottobre Dova muore a Rigoli, sopra Marina di Pisa.
LA MATURITA’ E IL PERCORSO
E’ un vero piacere ospitare nelle sale della Galleria Telemarket di Via
Filangieri una bella retrospettiva di Gianni Dova. Saranno esposte circa
quaranta opere dalla metà degli anni Cinquanta sino alla fine degli anni
Ottanta.
Una mostra fortemente voluta da Telemarket e corredata di una monografia
molto interessante, curata dal grande critico Enrico Crispolti, estimatore
ed amico di Gianni Dova.
I dipinti esposti, tutti pubblicati, danno la possibilità di conoscere e
approfondire la forte personalità ed il grande contributo che quest’artista
ha lasciato nella storia dell’arte italiana e mondiale.
Gianni Dova nasce a Roma l’8 gennaio 1925. Il padre Edmondo, romano di
origine piemontese, è un commerciante di tessuti. La madre è Isabella Maria
Rauchensteiner, tedesca.
Il talento artistico di Dova proviene dal nonno materno: Carl von
Rauchenstein, pittore, che affrescò numerose chiese nel Tirolo e in Baviera.
Nel 1936 entra nel Collegio gesuita di san Leone Magno di Roma,
successivamente si trasferisce con la famiglia a Milano, dove frequenta il
liceo artistico e si inserisce nell’ambiente bohemien creatosi attorno all’
Accademia di Brera. E’ affascinato dagli artisti del gruppo Corrente:
Birolli, Morlotti e Cassinari; e da Picasso, di cui segue le influenze
post-cubiste. Nel 1945 si sposa e s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di
Brera, dove ha come docenti Carpi, Carrà e Funi, e come compagni Ajmone,
Cavaliere, Cremonini, Crippa e Peverelli.
E’ fra i firmatari nel ’46 del manifesto del Realismo, e l’anno successivo
ottiene il primo contratto con un mercante: Cardazzo. Viene seguito molto da
tanti collezionisti e critici milanesi che lo apprezzano e lo incoraggiano
nella sua ricerca. Tiene la sua prima personale alla Galleria del Cavallino
di Venezia ed inizia uno stretto sodalizio con Roberto Crippa, seguendo la
strada espressiva del “concretismo geometrizzante”, con notevoli
infiltrazioni immaginative.
Nel 1950 prende parte alla mostra del MAC con Vedova, Fontana, Crippa,
Bertini e Soldati, distaccandosi dalla pittura di astrazione geometrica e
virando verso una manipolazione più gestuale e immediata della materia. L’
anno successivo, consigliato da Fontana, divenuto suo amico, sostiene lo
Spazialismo e ne sottoscrive il Manifesto. Nell’ottobre dello stesso anno,
alla Galleria Il Milione di Milano, si tiene la prima esposizione,
presentata da Dorfles, della nuova pittura di Dova, più “nucleare”, più
“spaziale”, più “informale”.
Iniziano subito i conflitti all’interno di questa corrente fra nuclearisti
puri e spazialisti come Dova e Crippa, tant’è che nel 1953 si scinde il
gruppo e Dova dà vita ad una nuova espressione pittorica: una figurazione
embrionale.
Nel 1954 prende parte alla Biennale di Venezia e nello stesso anno si
trasferisce a Parigi, invitato da Michel Tapiè, dove continua ad esporre
così come a Roma e Bruxelles.
Si sposta ancora nel 1956, apre uno studio ad Anversa stringendo amicizia
con Lam, Matta e Jorn. Frequenta gli ultimi seguaci del Surrealismo
sviluppando la sua spiccata immaginazione visionaria alla Ernst.
L’anno dopo torna a Parigi dove espone al Palais des Beaux-Arts, ma si
susseguono senza sosta le mostre internazionali in tutta Europa
Nel ’58 inizia il suo periodo “metamorfico”, con sovrapposizioni iconiche di
umani e insetti, e nello stesso anno torna a Milano. Partecipa a “Documenta”
a Kassel e al “Salon de Mai” a Parigi. Gli inizi degli anni Sessanta lo
vedono grande protagonista dell’arte contemporanea italiana. Viene chiamato
spesso nelle grandi esposizioni internazionali a rappresentare l’espressione
creativa del nostro Paese. Si susseguono sue personali e partecipazioni a
collettive a: Lima, New York, Hagen, Amsterdam, Bruxelles. Nel 1964, a
Palazzo Reale di Milano, ha una sala nella mostra “Sedici pittori dal 1945
al 1964”. Vive ora tra Milano e Calice Ligure ove ha uno studio.
Numerosi in questo periodo i viaggi. Tra questi, sarà fondamentale quello in
Bretagna nel 1968, dove scoprirà condizioni di luce particolari che saranno
fonte di ispirazione per le gouaches, esposte in seguito a Verona e a
Brescia. Nel 1970 gli viene dedicata una mostra a Palazzo dei Diamanti a
Ferrara. Si va sviluppando il suo interesse per l’incisione e la
litografia.
Alla fine del 1971, nella sala delle Cariatidi a Palazzo Reale di Milano s’
inaugura una sua antologica, curata da Franco Russoli.
In questo periodo Gianni Dova si abbandona, come sottolinea Enrico
Crispolti, “ad una sorta di immaginoso impressionismo acquatico e boschivo”,
che lascia spazio nei suoi cataloghi ad una fertile convivenza con le
liriche di poeti suoi amici, con i quali intreccerà sodalizi molto sentiti e
profondi.
Continuano le esposizioni, fra cui “Milano 70/70, un secolo d’arte” al Museo
Poldi Pezzoli e alla Biennale di Milano.
Nel 1973 realizza il drappello del Palio di Siena.
Nel corso degli Anni Settanta e Ottanta saranno innumerevoli le sue
personali in Italia ed all’estero con riconoscimenti di pubblico e di
critica.
Ed è questa la stagione della maturità immaginativa doviana. L’artista si
immerge in una dimensione magica e fascinosa, evolvendo la sua sensibilità
non con ulteriori elementi di ricerca, ma approfondendo e svelando le
possibile e innumerevoli chiavi di lettura di quanto sino ad ora espresso. I
suoi “giardini” e “paesaggi” non sono più un’espressione surreale ernstiana,
ma intense proiezioni psichiche d’accesa fantasia, quindi niente di
naturalistico, atmosferico, ma pura introspezione psicologica.
Della inesauribile e preziosa fertilità creativa di Dova continueranno a
scrivere: Sanesi, De Grada, Russoli, Alfonso Gatto, Barbera, Castellaneta e
Crispolti.
Nel 1983, partecipa alla Mostra presso la GAM di Bologna “L’Informale in
Italia”, curata da Barilli e Solmi. Mentre quattro anni dopo, sue opere sono
esposte in “Arte svelata. Collezionismo privato a Como dall’Ottocento ad
oggi”, a cura di Luciano Caramel.
Il XXII Premio Aldo Roncaglia, nel 1990, presso la rocca estense di San
Felice sul Panaro propone un “Omaggio a Dova”, e ancora una personale curata
da Tommaso Trini a Cuneo e una partecipazione a “Segno gesto materia.
Protagonisti dell’Informale europeo” a cura di Caramel, alla Galleria Arte
92 di Milano.
E come scrive sempre Crispolti “Questo è il Dova estremo, disperatamente
neoromantico piuttosto, ormai, che surreale. In uno strazio di disperata
volontà di partecipazione, di stupore immaginativo e sensitivo.”
Nel 1991 Claudio Spadoni cura un’antologica di Dova a Palazzo Paolina a
Viareggio e alla Casa del Mantegna a Mantova.
Il 14 ottobre Dova muore a Rigoli, sopra Marina di Pisa.
17
dicembre 2005
Gianni Dova – La maturità e il percorso
Dal 17 dicembre 2005 al 21 gennaio 2006
arte contemporanea
Location
SHOW ROOM TELEMARKET
Napoli, Via Gaetano Filangieri, 15, (Napoli)
Napoli, Via Gaetano Filangieri, 15, (Napoli)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 9.30/13.30 e 16/20
Vernissage
17 Dicembre 2005, ore 16
Editore
SKIRA
Autore