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Non mi avrete. Disegni da Mauthausen e Gusen
La testimonianza di Germano Facetti e Lodovico Belgiojoso
Comunicato stampa
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NON MI AVRETE. DISEGNI DA MAUTHAUSEN E GUSEN.
La testimonianza di Germano Facetti e Lodovico Belgiojoso
con interventi di Luca Borzani, Assessore alla Cultura del Comune di Genova, Benedetto Besio, Silvio Ferrari.
La mostra resterà aperta sino al 28 Gennaio (orari: da martedì a domenica 10.00 - 13.00 / 15.30 - 19.00, ingresso libero) e, nella primavera 2007, verrà esposta a Torino nella sede del Museo Diffuso della Resistenza.
Germano Facetti, è noto alla cultura europea per essere stato il grande innovatore della grafica editoriale durante il periodo in cui fu Art Director di Penguin Books, tra il 1960 ed il 1972, per la quale curò l’edizione di decine di migliaia di volumi.
Fu poi consulente editoriale attivo in tutta Europa, e insegnante in Inghilterra - London College of Printing -, Stati Uniti - Yale University -, Italia – Genova, Istituto Politecnico di Design, Svezia - Grafiska Institute of Stockholm -, Cile – Università Cattolica di Valparaiso.
Ha trascorso l’ultima parte della sua vita nelle colline di Sarzana (La Spezia), dove è morto lo scorso 7 aprile.
La gioventù di Facetti è stata segnata dall’arresto nell’autunno del 1943 per motivi politici, e dalla conseguente deportazione ai campi di Mauthausen – Gusen (febbraio 1944 – maggio 1945), dove, malgrado la terribile esperienza, ha potuto coltivare una fraterna amicizia con il grande architetto milanese Lodovico Barbiano di Belgiojoso.
Lodovico Barbiano di Belgiojoso, nato a Milano il 1 dicembre 1909, è ricordato tra i grandi protagonisti che hanno segnato la storia dell’architettura contemporanea italiana.
Ha fondato lo studio B.B.P.R. - Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers – che ha sempre conservato nella sigla l’iniziale dell’architetto Banfi, morto a Gusen II poco prima della liberazione.
Belgiojoso è famoso per opere come la Torre Velasca o il Quartiere Gratosoglio di Milano, primi grandi esempi di architettura moderna attenta alla storia e alla memoria .
È morto a Milano il 9 aprile 2004.
La mostra
Durante la prigionia a Mauthausen e Gusen Facetti e Belgiojoso hanno scritto e disegnato immagini della vita nel campo utilizzando carta e matite sottratte agli uffici e mettendo a rischio le proprie vite.
Tali ricordi sono stati conservati da Facetti che, all’indomani della liberazione, ha iniziato a raccogliere documenti, fotografie, e altri dati, costruendo un poderoso archivio di storia politica, economica e sociale del Novecento, che è stato di recente acquisito dall’Istituto Piemontese della Storia della Resistenza e della Società Contemporanea.
L’oggetto della mostra è Il taccuino con i disegni della prigionia nei campi di Mauthausen-Gusen, al quale è stato dedicato anche un interessante film di Anthony West (1997), “Yellow box. Breve storia dell’odio” ; verrà esposto in originale e mostrato attraverso pannelli singoli, che uniscono alle immagini toccanti commenti tratti dai ricordi dei protagonisti e da altre fonti storiche e letterarie.
Il taccuino contiene i disegni di Lodovico Belgiojoso e quelli del più giovane Facetti - che ai primi si ispirava per esercitare la sua mano - pensieri, poesie scritte nel campo, fogli di inventario dei componenti bellici che i prigionieri producevano col lavoro forzato, i nomi e gli indirizzi dei compagni che speravano di potersi rivedere a guerra finita, fotografie di militari tedeschi e di alcuni aguzzini dei campi.
Il taccuino è rivestito con la stoffa della casacca di Facetti, su cui è cucito il numero di matricola e il nome.
Germano Facetti voleva far conoscere questo documento, per lui comprensibilmente doloroso, per ribadire la verità dei fatti, per contrastare il revisionismo storico e ogni altra forma di mistificazione.
Colophon
L’esposizione è stata prodotta dall’Istituzione per i Servizi Culturali del Comune della Spezia, dall’Istituto Storico della Resistenza e della storia contemporanea della Spezia, dall’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” di Torino. Ha ottenuto il sostegno della Compagnia di San Paolo e della Regione Liguria e la collaborazione della Fondazione Memoria della Deportazione di Milano.
Il Comitato Organizzatore è composto da Barbara Carbone (La Spezia), Francesco Della Porta (Milano), Ersilia Alessandrone Perona (Torino), Luigi Piarulli (La Spezia), Mario Piazza (Milano), Marzia Ratti (La Spezia), con la collaborazione di Massimo Biava, Maurizio Cavalli, Silvia Garzonotti, Roberta Moisé, Paolo Ranieri, Anthony West.
Il catalogo, a cura di Marzia Ratti, è edito da Silvana Editoriale con contributi di Paolo Crepet, Francesco Della Porta, Ersilia Alessandrone Perona, Andrea D’Arrigo, Luigi Piarulli, Mario Piazza, Marzia Ratti.
Nella mostra sono presenti i filmati di Anthony West, “The yellow box. Breve storia dell’odio”, 1997 e “Antiutopia, Mauthausen-Gusen 1944-1944” di Paolo Ranieri, Francesca Pelini, Vinicio Bordin, Maurizio Fiorillo, realizzato appositamente per la mostra. Sarà presentata anche una testimonianza di Gianfranco Maris sui compagni di deportazione Facetti e Belgiojoso.
L’edizione genovese della mostra è promossa dal Comune di Genova, dal Centro Culturale Primo Levi e dall’Associazione Culturale Sergio Fedriani; è curata da Benedetto Besio e Flavia Botto e realizzata da Palazzo Ducale spa; le poesie di Belgiojoso sono lette da Massimo Mesciulam.
LA TESTIMONIANZA DI GERMANO FACETTI E LODOVICO BELGIOJOSO
Germano Facetti nasce a Milano nel 1926, in una famiglia di artigiani.
La madre, di famiglia contadina, preferisce risparmiare sulla carne per acquistargli un libro, meglio se con le figure, la rilegatura in tela e le lettere in oro.
Il nonno, scultore, amante della sapienza artigianale, avversario del lavoro ripetitivo, lo educa a conoscere i materiali e, trasmettendogli l’avversione per il fascismo, ad amare la libertà.
Gli insegnamenti del nonno lo accompagnano per tutta la vita.
Nel 1943, poco più che adolescente, Germano decide di partecipare alla Resistenza ed inizia con il coetaneo Enrico Viganò un’attività di informazione, nella speranza di entrare in contatto con le formazioni partigiane.
Dopo i primi bombardamenti di Milano, incontra un sottufficiale in fuga al quale fornisce abiti borghesi; in questa circostanza gli viene affidata una cassa di armi che nasconde in casa, sotto il suo letto.
La notte del 4 Novembre Germano ed Enrico, mentre affiggono manifesti, vengono sorpresi dalla polizia in violazione del coprifuoco; nella perquisizione delle loro case vengono trovate armi, volantini, registrazioni dei movimenti delle pattuglie tedesche.
Sospettati di fare parte di un organizzazione clandestina vengono arrestati e duramente torturati, senza esito, non avendo nulla da confessare.
Dopo alcuni mesi di detenzione a S. Vittore, la notte del 18 febbraio 1944 vengono condotti alla Stazione Centrale e fatti salire, insieme a 83 compagni, su un treno merci che, dopo tre giorni di viaggio in condizioni terribili, conclude la sua corsa a Mauthausen.
Germano viene immatricolato al n. 53396 e il 7 Aprile, dopo la quarantena, è trasferito al vicino campo di Gusen 1.
Lodovico Barbiano Di Belgiojoso arriva a Mauthausen il 2 Agosto, dopo un mese e mezzo di detenzione a Milano e tre mesi nel campo di Fossoli.
Era stato arrestato il 21 Marzo con l’amico e collega Giangio Banfi per l’attività nel Partito d’azione e la collaborazione con i primi gruppi di partigiani.
Banfi muore a Gusen il 10 Aprile, a meno di un mese dall’arrivo degli americani.
Il numero di matricola di Belgiojoso era il 82266: in cinque mesi sono quindi arrivati quasi trentamila prigionieri.
Belgiojoso ha 35 anni ed è già un architetto noto, un protagonista di primissimo piano della cultura italiana.
Germano e “Lodo” ancora non si conoscevano personalmente, anche se la famiglia Belgiojoso era spesso nominata in casa Facetti: a Milano abitavano a distanza di poche decine di metri, e il padre di Germano, tappezziere, aveva lavorato spesso per l’aristocratica famiglia Belgiojoso.
A Gusen Germano e Lodo stringono rapidamente un amicizia forte e destinata a durare tutta la vita.
Ricorda Facetti:
“…. Lodo era straordinariamente coraggioso e determinato a resistere, a mantenere integra la sua dignità, a conservare la sua libertà interiore.
Ed era molto generoso.
Il suo tratto profondamente aristocratico era aperto a cogliere l’umanità nelle persone di ogni condizione.
Le sere, e nei pochi momenti di riposo che ci erano concessi, a bassa voce, e guardando altrove per evitare le punizioni dei Kapò, ci raccontava la storia degli Sforza a Milano, ci spiegava come costruivano gli architetti italiani del Rinascimento, ci ripeteva le poesie dei lirici greci…. parlandoci del bello, dei valori della cultura, liberava le nostre menti dall’orrore quotidiano e ci consentiva di sperare ancora: l’unico modo per non arrendersi alla bufera che ci assediava.
Era davvero l’erede dei grandi umanisti che hanno segnato la migliore cultura italiana.
Molto spesso componeva delle poesie e in quei momenti di precaria quiete le recitava a noi: spesso l’intensità e la forza delle sue parole giungeva anche a compagni che non capivano una parola di italiano….”
Facetti, lavorando negli uffici del campo, sottraendo poca carta - con grandi rischi: si poteva essere uccisi per qualunque piccola mancanza – inizia a trascrivere le poesie dell’amico: Belgiojoso desiderava fossero recitate ai suoi figli perché potessero ricordarlo.
Tagliata con cura la carta, cuce dei piccoli libri con fili di rame, pochissimi, e di solito utilizzati per attaccare i bottoni dei vestiti; quei libricini sono l’unica cosa posseduta dai prigionieri, ormai completamente nudi davanti agli aguzzini.
Uno di quei libriccini, con altri ricordi dolorosi, è sempre stato conservato da Facetti in una scatola per carta fotografica, la “yellow box”, che per molti anni non ha mostrato a nessuno, e che neppure la figlia ha mai voluto guardare…
Ma nell’età della vecchiaia, e in questi tempi oscuri di fondamentalismi, di guerra e di morte, più forte della spinta a difendersi da fantasmi spaventosi è divenuta la necessità di raccontare, perché i più giovani conoscano quello che è avvenuto e possano capire a quali bestialità può condurre l’odio.
Nella yellow box ci sono i disegni che Facetti e Belgiojoso facevano nel campo con intento di sopravvivenza e di ribellione all’annientamento; con tratti veloci hanno rappresentato molte delle scene strazianti che hanno vissuto e solo in un’occasione Belgiojoso fece anche una sorta di progetto di una “casa sulla collina” per un polacco, in cambio di una supplementare razione di zuppa.
Al momento della liberazione da parte degli americani a Gusen si era sparge la voce che Belgiojoso sia stato fucilato o comunque sia morto.
Ottenuta la disponibilità di un’automobile, con un gruppo di italiani Facetti si mette alla ricerca nei dintorni del campo; ritrova l’amico nella vicina Gunskirchen, dove era stato trasferito alla fine di aprile insieme a un architetto e a un geometra polacchi, per progettare e realizzare un piccolo acquedotto per fornire l’acqua al campo.
Tornano insieme a Mauthausen.
Dopo poco tempo un’ambulanza mandata dalla famiglia Belgiojoso riporta Lodo a Milano, con alcuni compagni.
Facetti rimane ancora qualche tempo nel campo e rivede Belgiojoso a Milano al suo ritorno.
La prigionia era finita.
Successivamente i ricordi della vita nel campo sono, come sempre, spaventosi ed angoscianti, quasi da non giustificare il riprendere di una vita normale.
Ma nel baratro dove la violenza supera ogni limite, dove uomini giocano con le vite di altri uomini, dove la sopravvivenza è solo per i più forti, li aveva salvati l’umanità che resiste ad ogni privazione e ad ogni insulto, mantenendo la dignità del pensiero, la speranza del riscatto attraverso la cultura umiliata dalla barbarie.
Dopo la liberazione Facetti, diciannovenne, vive un periodo di sbandamento e di grande difficoltà, senza lavoro e senza istruzione.
Allora Lodo, con la consueta generosità, gli offre l’opportunità di frequentare lo studio BBPR come disegnatore; si occupa ad esempio della costruzione del modello del Monumento ai morti nei campi di Germania per il Cimitero di Milano.
Nel frattempo viene sollecitato a riprendere gli studi e stimolato amorevolmente, e discretamente, ad interessarsi di molte cose: per Rogers ad esempio esegue ricerche negli archivi di Domus e presso l’atelier LeCorbusier.
Poi, sempre più insofferente al vedere liberi a Milano personaggi che avevano fatto tanto male, incoraggiato da Belgiojoso e Rogers, Germano si trasferisce a Londra, dove inizia l’attività di designer.
Ma, anche se distanti, il vincolo di amicizia con Lodo rimane sempre saldo; l’esperienza condivisa costituisce per entrambi un insegnamento incancellabile.
Facetti a Londra lavora a lungo per British Olivetti per l’allestimento di negozi ed esposizioni in Inghilterra; la sera studia design e tipografia alla London Central School of Arts and Crafts e indirizza sempre più il suo interesse alla grafica e all’editoria; in questi settori in pochi anni diviene una delle figure di maggior spicco nella vivacissima Swinging London degli anni ’60.
Nel 1956 con Theo Crosby realizza “This is tomorrow”, rassegna che costituisce una tappa fondamentale per l’arte contemporanea europea; progetta le prime mostre a Londra sulla creatività italiana “Italian Industrial Design” nel 1955, e “Italian Contemporary Architecture” nel 1966.
Contemporaneamente lavora per le edizioni illustrate di Jonathan Cape e per altri editori, fino ad approdare a Penguin Books, dove dal 1960 al 1972 svolge l’attività di Art Director, portando un decisivo contributo innovativo, soprattutto nelle edizioni tascabili: in pochi anni cura decine di migliaia libri.
Dal 1967 al 1969 è presidente dell’Alliance Graphique Internationale, la più importante associazione mondiale di settore.
Nel 1971 per Vista Books pubblica, con Alan Fletcher, una antologia illustrata dell’identità grafica “Identity kits: a pictorial survey of visual signals”.
Mutate le condizioni all’interno di Penguin Books, nel 1972 lascia Londra per tornare in Italia dove continua l’attività di consulenza editoriale ed si dedica all’insegnamento alla Yale University e a Genova all’Istituto Politecnico di Design.
Facetti ha vissuto gli ultimi anni ritirato con l’amata Mary in una casa tra gli ulivi sulle alture di Sarzana, sempre dedicandosi, fino alla morte, avvenuta il 7 aprile 2006, alla sua attività di ricerca e di elaborazione di materiali e ricordi, raccolti in una vita vissuta con generosità.
La figura alta e diritta, gli occhi chiari penetranti alla perenne ricerca di connessioni tra le cose, le storie, i volti, Germano Facetti ha continuato a percorrere la faticosa strada, iniziata a Gusen con l’amico Lodo, di chi ha conosciuto l’orrore inenarrabile ma ha rifiutato l’odio.
Benedetto Besio
La testimonianza di Germano Facetti e Lodovico Belgiojoso
con interventi di Luca Borzani, Assessore alla Cultura del Comune di Genova, Benedetto Besio, Silvio Ferrari.
La mostra resterà aperta sino al 28 Gennaio (orari: da martedì a domenica 10.00 - 13.00 / 15.30 - 19.00, ingresso libero) e, nella primavera 2007, verrà esposta a Torino nella sede del Museo Diffuso della Resistenza.
Germano Facetti, è noto alla cultura europea per essere stato il grande innovatore della grafica editoriale durante il periodo in cui fu Art Director di Penguin Books, tra il 1960 ed il 1972, per la quale curò l’edizione di decine di migliaia di volumi.
Fu poi consulente editoriale attivo in tutta Europa, e insegnante in Inghilterra - London College of Printing -, Stati Uniti - Yale University -, Italia – Genova, Istituto Politecnico di Design, Svezia - Grafiska Institute of Stockholm -, Cile – Università Cattolica di Valparaiso.
Ha trascorso l’ultima parte della sua vita nelle colline di Sarzana (La Spezia), dove è morto lo scorso 7 aprile.
La gioventù di Facetti è stata segnata dall’arresto nell’autunno del 1943 per motivi politici, e dalla conseguente deportazione ai campi di Mauthausen – Gusen (febbraio 1944 – maggio 1945), dove, malgrado la terribile esperienza, ha potuto coltivare una fraterna amicizia con il grande architetto milanese Lodovico Barbiano di Belgiojoso.
Lodovico Barbiano di Belgiojoso, nato a Milano il 1 dicembre 1909, è ricordato tra i grandi protagonisti che hanno segnato la storia dell’architettura contemporanea italiana.
Ha fondato lo studio B.B.P.R. - Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers – che ha sempre conservato nella sigla l’iniziale dell’architetto Banfi, morto a Gusen II poco prima della liberazione.
Belgiojoso è famoso per opere come la Torre Velasca o il Quartiere Gratosoglio di Milano, primi grandi esempi di architettura moderna attenta alla storia e alla memoria .
È morto a Milano il 9 aprile 2004.
La mostra
Durante la prigionia a Mauthausen e Gusen Facetti e Belgiojoso hanno scritto e disegnato immagini della vita nel campo utilizzando carta e matite sottratte agli uffici e mettendo a rischio le proprie vite.
Tali ricordi sono stati conservati da Facetti che, all’indomani della liberazione, ha iniziato a raccogliere documenti, fotografie, e altri dati, costruendo un poderoso archivio di storia politica, economica e sociale del Novecento, che è stato di recente acquisito dall’Istituto Piemontese della Storia della Resistenza e della Società Contemporanea.
L’oggetto della mostra è Il taccuino con i disegni della prigionia nei campi di Mauthausen-Gusen, al quale è stato dedicato anche un interessante film di Anthony West (1997), “Yellow box. Breve storia dell’odio” ; verrà esposto in originale e mostrato attraverso pannelli singoli, che uniscono alle immagini toccanti commenti tratti dai ricordi dei protagonisti e da altre fonti storiche e letterarie.
Il taccuino contiene i disegni di Lodovico Belgiojoso e quelli del più giovane Facetti - che ai primi si ispirava per esercitare la sua mano - pensieri, poesie scritte nel campo, fogli di inventario dei componenti bellici che i prigionieri producevano col lavoro forzato, i nomi e gli indirizzi dei compagni che speravano di potersi rivedere a guerra finita, fotografie di militari tedeschi e di alcuni aguzzini dei campi.
Il taccuino è rivestito con la stoffa della casacca di Facetti, su cui è cucito il numero di matricola e il nome.
Germano Facetti voleva far conoscere questo documento, per lui comprensibilmente doloroso, per ribadire la verità dei fatti, per contrastare il revisionismo storico e ogni altra forma di mistificazione.
Colophon
L’esposizione è stata prodotta dall’Istituzione per i Servizi Culturali del Comune della Spezia, dall’Istituto Storico della Resistenza e della storia contemporanea della Spezia, dall’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” di Torino. Ha ottenuto il sostegno della Compagnia di San Paolo e della Regione Liguria e la collaborazione della Fondazione Memoria della Deportazione di Milano.
Il Comitato Organizzatore è composto da Barbara Carbone (La Spezia), Francesco Della Porta (Milano), Ersilia Alessandrone Perona (Torino), Luigi Piarulli (La Spezia), Mario Piazza (Milano), Marzia Ratti (La Spezia), con la collaborazione di Massimo Biava, Maurizio Cavalli, Silvia Garzonotti, Roberta Moisé, Paolo Ranieri, Anthony West.
Il catalogo, a cura di Marzia Ratti, è edito da Silvana Editoriale con contributi di Paolo Crepet, Francesco Della Porta, Ersilia Alessandrone Perona, Andrea D’Arrigo, Luigi Piarulli, Mario Piazza, Marzia Ratti.
Nella mostra sono presenti i filmati di Anthony West, “The yellow box. Breve storia dell’odio”, 1997 e “Antiutopia, Mauthausen-Gusen 1944-1944” di Paolo Ranieri, Francesca Pelini, Vinicio Bordin, Maurizio Fiorillo, realizzato appositamente per la mostra. Sarà presentata anche una testimonianza di Gianfranco Maris sui compagni di deportazione Facetti e Belgiojoso.
L’edizione genovese della mostra è promossa dal Comune di Genova, dal Centro Culturale Primo Levi e dall’Associazione Culturale Sergio Fedriani; è curata da Benedetto Besio e Flavia Botto e realizzata da Palazzo Ducale spa; le poesie di Belgiojoso sono lette da Massimo Mesciulam.
LA TESTIMONIANZA DI GERMANO FACETTI E LODOVICO BELGIOJOSO
Germano Facetti nasce a Milano nel 1926, in una famiglia di artigiani.
La madre, di famiglia contadina, preferisce risparmiare sulla carne per acquistargli un libro, meglio se con le figure, la rilegatura in tela e le lettere in oro.
Il nonno, scultore, amante della sapienza artigianale, avversario del lavoro ripetitivo, lo educa a conoscere i materiali e, trasmettendogli l’avversione per il fascismo, ad amare la libertà.
Gli insegnamenti del nonno lo accompagnano per tutta la vita.
Nel 1943, poco più che adolescente, Germano decide di partecipare alla Resistenza ed inizia con il coetaneo Enrico Viganò un’attività di informazione, nella speranza di entrare in contatto con le formazioni partigiane.
Dopo i primi bombardamenti di Milano, incontra un sottufficiale in fuga al quale fornisce abiti borghesi; in questa circostanza gli viene affidata una cassa di armi che nasconde in casa, sotto il suo letto.
La notte del 4 Novembre Germano ed Enrico, mentre affiggono manifesti, vengono sorpresi dalla polizia in violazione del coprifuoco; nella perquisizione delle loro case vengono trovate armi, volantini, registrazioni dei movimenti delle pattuglie tedesche.
Sospettati di fare parte di un organizzazione clandestina vengono arrestati e duramente torturati, senza esito, non avendo nulla da confessare.
Dopo alcuni mesi di detenzione a S. Vittore, la notte del 18 febbraio 1944 vengono condotti alla Stazione Centrale e fatti salire, insieme a 83 compagni, su un treno merci che, dopo tre giorni di viaggio in condizioni terribili, conclude la sua corsa a Mauthausen.
Germano viene immatricolato al n. 53396 e il 7 Aprile, dopo la quarantena, è trasferito al vicino campo di Gusen 1.
Lodovico Barbiano Di Belgiojoso arriva a Mauthausen il 2 Agosto, dopo un mese e mezzo di detenzione a Milano e tre mesi nel campo di Fossoli.
Era stato arrestato il 21 Marzo con l’amico e collega Giangio Banfi per l’attività nel Partito d’azione e la collaborazione con i primi gruppi di partigiani.
Banfi muore a Gusen il 10 Aprile, a meno di un mese dall’arrivo degli americani.
Il numero di matricola di Belgiojoso era il 82266: in cinque mesi sono quindi arrivati quasi trentamila prigionieri.
Belgiojoso ha 35 anni ed è già un architetto noto, un protagonista di primissimo piano della cultura italiana.
Germano e “Lodo” ancora non si conoscevano personalmente, anche se la famiglia Belgiojoso era spesso nominata in casa Facetti: a Milano abitavano a distanza di poche decine di metri, e il padre di Germano, tappezziere, aveva lavorato spesso per l’aristocratica famiglia Belgiojoso.
A Gusen Germano e Lodo stringono rapidamente un amicizia forte e destinata a durare tutta la vita.
Ricorda Facetti:
“…. Lodo era straordinariamente coraggioso e determinato a resistere, a mantenere integra la sua dignità, a conservare la sua libertà interiore.
Ed era molto generoso.
Il suo tratto profondamente aristocratico era aperto a cogliere l’umanità nelle persone di ogni condizione.
Le sere, e nei pochi momenti di riposo che ci erano concessi, a bassa voce, e guardando altrove per evitare le punizioni dei Kapò, ci raccontava la storia degli Sforza a Milano, ci spiegava come costruivano gli architetti italiani del Rinascimento, ci ripeteva le poesie dei lirici greci…. parlandoci del bello, dei valori della cultura, liberava le nostre menti dall’orrore quotidiano e ci consentiva di sperare ancora: l’unico modo per non arrendersi alla bufera che ci assediava.
Era davvero l’erede dei grandi umanisti che hanno segnato la migliore cultura italiana.
Molto spesso componeva delle poesie e in quei momenti di precaria quiete le recitava a noi: spesso l’intensità e la forza delle sue parole giungeva anche a compagni che non capivano una parola di italiano….”
Facetti, lavorando negli uffici del campo, sottraendo poca carta - con grandi rischi: si poteva essere uccisi per qualunque piccola mancanza – inizia a trascrivere le poesie dell’amico: Belgiojoso desiderava fossero recitate ai suoi figli perché potessero ricordarlo.
Tagliata con cura la carta, cuce dei piccoli libri con fili di rame, pochissimi, e di solito utilizzati per attaccare i bottoni dei vestiti; quei libricini sono l’unica cosa posseduta dai prigionieri, ormai completamente nudi davanti agli aguzzini.
Uno di quei libriccini, con altri ricordi dolorosi, è sempre stato conservato da Facetti in una scatola per carta fotografica, la “yellow box”, che per molti anni non ha mostrato a nessuno, e che neppure la figlia ha mai voluto guardare…
Ma nell’età della vecchiaia, e in questi tempi oscuri di fondamentalismi, di guerra e di morte, più forte della spinta a difendersi da fantasmi spaventosi è divenuta la necessità di raccontare, perché i più giovani conoscano quello che è avvenuto e possano capire a quali bestialità può condurre l’odio.
Nella yellow box ci sono i disegni che Facetti e Belgiojoso facevano nel campo con intento di sopravvivenza e di ribellione all’annientamento; con tratti veloci hanno rappresentato molte delle scene strazianti che hanno vissuto e solo in un’occasione Belgiojoso fece anche una sorta di progetto di una “casa sulla collina” per un polacco, in cambio di una supplementare razione di zuppa.
Al momento della liberazione da parte degli americani a Gusen si era sparge la voce che Belgiojoso sia stato fucilato o comunque sia morto.
Ottenuta la disponibilità di un’automobile, con un gruppo di italiani Facetti si mette alla ricerca nei dintorni del campo; ritrova l’amico nella vicina Gunskirchen, dove era stato trasferito alla fine di aprile insieme a un architetto e a un geometra polacchi, per progettare e realizzare un piccolo acquedotto per fornire l’acqua al campo.
Tornano insieme a Mauthausen.
Dopo poco tempo un’ambulanza mandata dalla famiglia Belgiojoso riporta Lodo a Milano, con alcuni compagni.
Facetti rimane ancora qualche tempo nel campo e rivede Belgiojoso a Milano al suo ritorno.
La prigionia era finita.
Successivamente i ricordi della vita nel campo sono, come sempre, spaventosi ed angoscianti, quasi da non giustificare il riprendere di una vita normale.
Ma nel baratro dove la violenza supera ogni limite, dove uomini giocano con le vite di altri uomini, dove la sopravvivenza è solo per i più forti, li aveva salvati l’umanità che resiste ad ogni privazione e ad ogni insulto, mantenendo la dignità del pensiero, la speranza del riscatto attraverso la cultura umiliata dalla barbarie.
Dopo la liberazione Facetti, diciannovenne, vive un periodo di sbandamento e di grande difficoltà, senza lavoro e senza istruzione.
Allora Lodo, con la consueta generosità, gli offre l’opportunità di frequentare lo studio BBPR come disegnatore; si occupa ad esempio della costruzione del modello del Monumento ai morti nei campi di Germania per il Cimitero di Milano.
Nel frattempo viene sollecitato a riprendere gli studi e stimolato amorevolmente, e discretamente, ad interessarsi di molte cose: per Rogers ad esempio esegue ricerche negli archivi di Domus e presso l’atelier LeCorbusier.
Poi, sempre più insofferente al vedere liberi a Milano personaggi che avevano fatto tanto male, incoraggiato da Belgiojoso e Rogers, Germano si trasferisce a Londra, dove inizia l’attività di designer.
Ma, anche se distanti, il vincolo di amicizia con Lodo rimane sempre saldo; l’esperienza condivisa costituisce per entrambi un insegnamento incancellabile.
Facetti a Londra lavora a lungo per British Olivetti per l’allestimento di negozi ed esposizioni in Inghilterra; la sera studia design e tipografia alla London Central School of Arts and Crafts e indirizza sempre più il suo interesse alla grafica e all’editoria; in questi settori in pochi anni diviene una delle figure di maggior spicco nella vivacissima Swinging London degli anni ’60.
Nel 1956 con Theo Crosby realizza “This is tomorrow”, rassegna che costituisce una tappa fondamentale per l’arte contemporanea europea; progetta le prime mostre a Londra sulla creatività italiana “Italian Industrial Design” nel 1955, e “Italian Contemporary Architecture” nel 1966.
Contemporaneamente lavora per le edizioni illustrate di Jonathan Cape e per altri editori, fino ad approdare a Penguin Books, dove dal 1960 al 1972 svolge l’attività di Art Director, portando un decisivo contributo innovativo, soprattutto nelle edizioni tascabili: in pochi anni cura decine di migliaia libri.
Dal 1967 al 1969 è presidente dell’Alliance Graphique Internationale, la più importante associazione mondiale di settore.
Nel 1971 per Vista Books pubblica, con Alan Fletcher, una antologia illustrata dell’identità grafica “Identity kits: a pictorial survey of visual signals”.
Mutate le condizioni all’interno di Penguin Books, nel 1972 lascia Londra per tornare in Italia dove continua l’attività di consulenza editoriale ed si dedica all’insegnamento alla Yale University e a Genova all’Istituto Politecnico di Design.
Facetti ha vissuto gli ultimi anni ritirato con l’amata Mary in una casa tra gli ulivi sulle alture di Sarzana, sempre dedicandosi, fino alla morte, avvenuta il 7 aprile 2006, alla sua attività di ricerca e di elaborazione di materiali e ricordi, raccolti in una vita vissuta con generosità.
La figura alta e diritta, gli occhi chiari penetranti alla perenne ricerca di connessioni tra le cose, le storie, i volti, Germano Facetti ha continuato a percorrere la faticosa strada, iniziata a Gusen con l’amico Lodo, di chi ha conosciuto l’orrore inenarrabile ma ha rifiutato l’odio.
Benedetto Besio
09
gennaio 2007
Non mi avrete. Disegni da Mauthausen e Gusen
Dal 09 al 28 gennaio 2007
disegno e grafica
Location
PALAZZO DUCALE
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 9, (Genova)
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 9, (Genova)
Orario di apertura
da martedì a domenica 10.00 - 13.00 / 15.30 - 19.00
Vernissage
9 Gennaio 2007, ore 18.30
Editore
SILVANA EDITORIALE