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Giorgio Barrera – True stories, storie vere
True Stories Storie Vere si compone di 15 opere fotografiche, alcune delle quali per la prima volta in mostra, e di un video, anch’esso inedito, mossi da un’attenzione verso gli individui di carattere sociologico, e da un interesse per i luoghi visti come teatro del quotidiano
Comunicato stampa
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Jarach Gallery è lieta di presentare True Stories, la prima esposizione personale nei propri spazi di Giorgio Barrera. La mostra si compone di 15 opere fotografiche, alcune delle quali per la prima volta in mostra, e di un video anch’esso inedito.
La ricerca di Giorgio Barrera muove da un interesse di tipo psicologico e sociologico nei confronti delle persone, viste come singolarità soggette ai condizionamenti del contesto sociale, e, di riflesso, verso gli spazi abitati intesi come teatro in cui va in scena la loro esistenza. Le sue prime serie di lavori, Psychologies e Instructions for use, ponevano l’accento l’una sui gesti che regolano il nostro rapporto con gli oggetti e gli ambienti quotidiani, l’altra sul contrasto tra la nostra individualità e la standardizzazione dei comportamenti dettati dalle regole d’uso di alcuni prodotti per l’igiene e la salute personali.
Negli anni recenti Barrera ha sviluppato un progetto, tuttora in corso, in cui le persone vengono fotografate in un interno domestico attraverso una finestra: uno stratagemma apparentemente semplice, con cui l’artista riesce invece a innestare sulle tematiche precedenti una serie di riflessioni e di nuovi meccanismi psicologici che coinvolgono lo spettatore.
La finestra rappresenta infatti nella nostra tradizione culturale una metafora dell’occhio, come soglia percettiva che separa e mette in comunicazione attraverso lo sguardo il sé e il mondo esterno, e anche l’atto dell’inquadratura fotografica, con cui si incornicia e seleziona una porzione di realtà visibile, ne emula forma e funzione. Con l’inserimento della scena in questa doppia cornice – la fotografia e la finestra – Barrera ne esplicita dunque la teatralità e le conferisce al tempo stesso un aspetto pittorico, che va ineludibilmente a confliggere con l’apparente documentarietà del contenuto. La presenza della finestra suddivide lo spazio dell’immagine in interno ed esterno, ma accentua anche la sensazione di separatezza tra il campo dello spettatore e quello del soggetto fotografato: questo chiarifica la nostra posizione rispetto a quanto sta accadendo, dando luogo a una simulazione di un atto di voyeurismo e rendendoci consapevoli che stiamo osservando qualcosa da un punto di vista particolare, privilegiato, in qualche modo protetto.
Barrera dunque gioca con la psicologia dello spettatore usando abilmente come arma lo statuto di verità detenuto storicamente dalla fotografia, e lo invita a gettare uno sguardo indiscreto in ambienti in cui non sarebbe autorizzato a farlo. Ai nostri occhi si presentano molte situazioni ordinarie, alcune curiose, altre che rivelano momenti intimi di serenità o di tensione. Allorché stiamo per lasciarci vincere dalla sensazione di guardare una realtà colta davvero di nascosto, l’irrompere di scene al limite dell’inquietante, in cui la logica degli eventi pare farsi indecifrabile, ci scuote.
Le questioni e gli interrogativi sollevati dalla irriducibile ambiguità delle opere di Barrera si fanno ineludibili. Cosa stiamo guardando? Cosa vediamo? E cosa resta inaccessibile, nascosto tra le pieghe dell’immagine e oltre l’inquadratura? Guardare genera un impulso a capire, a conoscere, ma la percezione di una complicità tra l’artista e le persone ritratte, di una voluta equivocità tra realismo e finzione lascia interdetto
lo spettatore, la cui pretesa di decodificare ogni immagine in modo univoco come autentica o contraffatta
viene sfidata apertamente: il fatto che queste abitazioni appaiano trasformate in un set di tipo cinematografico, esclude forse che i protagonisti siano persone reali ritratte nella propria casa? Che davvero quelle persone abbiano partecipato a una festa tra amici o quella donna sia distesa a terra in mezzo ai giochi del suo bambino? In fondo essi interpretano una versione credibile di se stessi, all’interno di una situazione possibile, in modo non dissimile ad un’infinità di altre circostanze della vita. Forse queste storie più che vere, come vogliono far credere, sono verosimili, ma possiamo dire che siano false? Se si tratta di storie attendibili, è perché le immagini che ce le rappresentano sono costituite da innumerevoli elementi di verità, a cui non sappiamo più che valore attribuire.
Giorgio Barrera gioca a disilludere le aspettative e la richieste dello spettatore nelle fotografie così come nel video, in cui il maggiore apporto di informazione dato dall’immagine in movimento non ci aiuta a districare il senso degli eventi. Le sue opere aderiscono al reale corrompendolo, ci conducono sui terreni ambigui dell’immagine fotografica ma lasciandoci a guardare, senza preoccuparsi di tirarcene fuori.
Giorgio Barrera (1969, vive a Milano) ha studiato fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze e, dopo un periodo di collaborazione con Joel Meyerowitz, si è interessato di sociologia e ha focalizzato la sua ricerca sui rituali quotidiani della vita domestica, la street photography e la fotografia di paesaggio. I suoi lavori hanno ottenuto importanti riconoscimenti tra i quali i premi Canon, FNAC e Federchimica, e sono stati pubblicati in diversi libri e cataloghi sia in Italia che all'estero. Tra le sue esposizioni più significative, ricordiamo The sidewalk never ends presso l'Art Institute of Chicago nel 2001, e la partecipazione a festival come la Biennale Internazionale di Fotografia di Torino (1999), il Festival Internazionale di Fotografia di Plovdiv (2002), i Rencontres Internationales de la Photographie di Arles (2003 e 2006).
Nel 2007 i suoi lavori sono stati esposti in mostre personali nell’ambito del Festival Internazionale di Fotografia di Roma e della rassegna Fotografia Europea di Reggio Emilia, e nella mostra collettiva Close to dark presso la Jarach Gallery di Venezia. Vincitore della seconda edizione del Premio Internazionale Baume & Mercier 2008.
La ricerca di Giorgio Barrera muove da un interesse di tipo psicologico e sociologico nei confronti delle persone, viste come singolarità soggette ai condizionamenti del contesto sociale, e, di riflesso, verso gli spazi abitati intesi come teatro in cui va in scena la loro esistenza. Le sue prime serie di lavori, Psychologies e Instructions for use, ponevano l’accento l’una sui gesti che regolano il nostro rapporto con gli oggetti e gli ambienti quotidiani, l’altra sul contrasto tra la nostra individualità e la standardizzazione dei comportamenti dettati dalle regole d’uso di alcuni prodotti per l’igiene e la salute personali.
Negli anni recenti Barrera ha sviluppato un progetto, tuttora in corso, in cui le persone vengono fotografate in un interno domestico attraverso una finestra: uno stratagemma apparentemente semplice, con cui l’artista riesce invece a innestare sulle tematiche precedenti una serie di riflessioni e di nuovi meccanismi psicologici che coinvolgono lo spettatore.
La finestra rappresenta infatti nella nostra tradizione culturale una metafora dell’occhio, come soglia percettiva che separa e mette in comunicazione attraverso lo sguardo il sé e il mondo esterno, e anche l’atto dell’inquadratura fotografica, con cui si incornicia e seleziona una porzione di realtà visibile, ne emula forma e funzione. Con l’inserimento della scena in questa doppia cornice – la fotografia e la finestra – Barrera ne esplicita dunque la teatralità e le conferisce al tempo stesso un aspetto pittorico, che va ineludibilmente a confliggere con l’apparente documentarietà del contenuto. La presenza della finestra suddivide lo spazio dell’immagine in interno ed esterno, ma accentua anche la sensazione di separatezza tra il campo dello spettatore e quello del soggetto fotografato: questo chiarifica la nostra posizione rispetto a quanto sta accadendo, dando luogo a una simulazione di un atto di voyeurismo e rendendoci consapevoli che stiamo osservando qualcosa da un punto di vista particolare, privilegiato, in qualche modo protetto.
Barrera dunque gioca con la psicologia dello spettatore usando abilmente come arma lo statuto di verità detenuto storicamente dalla fotografia, e lo invita a gettare uno sguardo indiscreto in ambienti in cui non sarebbe autorizzato a farlo. Ai nostri occhi si presentano molte situazioni ordinarie, alcune curiose, altre che rivelano momenti intimi di serenità o di tensione. Allorché stiamo per lasciarci vincere dalla sensazione di guardare una realtà colta davvero di nascosto, l’irrompere di scene al limite dell’inquietante, in cui la logica degli eventi pare farsi indecifrabile, ci scuote.
Le questioni e gli interrogativi sollevati dalla irriducibile ambiguità delle opere di Barrera si fanno ineludibili. Cosa stiamo guardando? Cosa vediamo? E cosa resta inaccessibile, nascosto tra le pieghe dell’immagine e oltre l’inquadratura? Guardare genera un impulso a capire, a conoscere, ma la percezione di una complicità tra l’artista e le persone ritratte, di una voluta equivocità tra realismo e finzione lascia interdetto
lo spettatore, la cui pretesa di decodificare ogni immagine in modo univoco come autentica o contraffatta
viene sfidata apertamente: il fatto che queste abitazioni appaiano trasformate in un set di tipo cinematografico, esclude forse che i protagonisti siano persone reali ritratte nella propria casa? Che davvero quelle persone abbiano partecipato a una festa tra amici o quella donna sia distesa a terra in mezzo ai giochi del suo bambino? In fondo essi interpretano una versione credibile di se stessi, all’interno di una situazione possibile, in modo non dissimile ad un’infinità di altre circostanze della vita. Forse queste storie più che vere, come vogliono far credere, sono verosimili, ma possiamo dire che siano false? Se si tratta di storie attendibili, è perché le immagini che ce le rappresentano sono costituite da innumerevoli elementi di verità, a cui non sappiamo più che valore attribuire.
Giorgio Barrera gioca a disilludere le aspettative e la richieste dello spettatore nelle fotografie così come nel video, in cui il maggiore apporto di informazione dato dall’immagine in movimento non ci aiuta a districare il senso degli eventi. Le sue opere aderiscono al reale corrompendolo, ci conducono sui terreni ambigui dell’immagine fotografica ma lasciandoci a guardare, senza preoccuparsi di tirarcene fuori.
Giorgio Barrera (1969, vive a Milano) ha studiato fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze e, dopo un periodo di collaborazione con Joel Meyerowitz, si è interessato di sociologia e ha focalizzato la sua ricerca sui rituali quotidiani della vita domestica, la street photography e la fotografia di paesaggio. I suoi lavori hanno ottenuto importanti riconoscimenti tra i quali i premi Canon, FNAC e Federchimica, e sono stati pubblicati in diversi libri e cataloghi sia in Italia che all'estero. Tra le sue esposizioni più significative, ricordiamo The sidewalk never ends presso l'Art Institute of Chicago nel 2001, e la partecipazione a festival come la Biennale Internazionale di Fotografia di Torino (1999), il Festival Internazionale di Fotografia di Plovdiv (2002), i Rencontres Internationales de la Photographie di Arles (2003 e 2006).
Nel 2007 i suoi lavori sono stati esposti in mostre personali nell’ambito del Festival Internazionale di Fotografia di Roma e della rassegna Fotografia Europea di Reggio Emilia, e nella mostra collettiva Close to dark presso la Jarach Gallery di Venezia. Vincitore della seconda edizione del Premio Internazionale Baume & Mercier 2008.
12
aprile 2008
Giorgio Barrera – True stories, storie vere
Dal 12 aprile al 31 maggio 2008
fotografia
Location
JARACH GALLERY
Venezia, Campo San Fantin (San Marco), 1997, (Venezia)
Venezia, Campo San Fantin (San Marco), 1997, (Venezia)
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 10-13 e 14.30-19.30
lunedì e domenica su appuntamento
Vernissage
12 Aprile 2008, ore 18.00
Autore
Curatore