Lo scandalo della carne - quel ritardo tra sé e sé, la non compresenza in cui risiede il suo mistero, lo spessore di carne, questo essere a due fogli, questo chiasmo tra vedente e visibile - che tanta pittura occidentale ha rappresentato, quel corpo visto, rivisto, stravisto, quel Verbo fatto carne di Cristo degradato a finzione (come allude la Cruci-fiction della serie) a cui si è tormentato a lungo il costato con il dito come un San Tommaso miscredente, qui ci appare come un paradosso del sensibile e della visione (visto e non vedente, toccato e non toccante), e non più scandalo. Cominciamo col dire che qui il soggetto è un'esca. La carne e la sua violazione (trapasso e perforazione dolorosa della diade dentro-fuori che sempre costituisce la carne, come il suo rivolto interiore, la sua ossatura che assume quasi la struttura dei tessuti, degli organi, una sorta di invaginazione, un inguantare due estremi, rovesciandoli) si spoglia dei suoi sostrati simbolici e allegorici, e si presenta ai nostri occhi non come feticcio o merce (i suoi immediati significati marxiani), ma come oggetto apparentemente non simbolico, oggetto puro esposto alla visione, sospensione del significante nella chiusura del significato