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Anita Sieff – Ordine di Senso
Un’indagine sulle infinite possibilità di ricreare un equilibrio tra molteplici esperienze e significati. Un’esplorazione nel vasto territorio della percezione, del sogno e del sentimento, per restituire, a chi lo attraversa, una differente prospettiva nella presa di coscienza della realtà.
Comunicato stampa
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Un’indagine sulle infinite possibilità di ricreare un equilibrio tra molteplici esperienze e significati. Un’esplorazione nel vasto territorio della percezione, del sogno e del sentimento, per restituire, a chi lo attraversa, una differente prospettiva nella presa di coscienza della realtà. E’ “Ordine di Senso” di Anita Sieff.
La mostra, prima personale dell’artista in un museo a Venezia, città dove vive e lavora, a cura di Chiara Bertola, verrà inaugurata sabato 27 marzo 2010 alle 18 in Fondazione Querini Stampalia a Venezia e resterà aperta fino a domenica 30 maggio 2010.
L’esposizione fa parte del progetto “Conservare il futuro”, promosso dalla Fondazione Querini Stampalia e dalla Regione del Veneto ed è organizzata in collaborazione con la Fondazione di Venezia.
Attraverso più di venti opere, tra disegni, fotografie, film, installazioni video, molte delle quali concepite espressamente per gli spazi dell’Istituzione, l’artista si confronta con la memoria di questo luogo e accosta il tempo del passato a quello del presente, scandendoli in un’unica sequenza spaziotemporale.
I lavori di Anita Sieff, attiva nel campo delle arti visive a partire dagli anni ’80, analizzano i cambiamenti che la società contemporanea, condizionata dai mass media, provoca ai danni della comunità e delle relazioni interpersonali. Questo modello sociale, attraverso l’esaltazione dell’immagine e la spinta sfrenata ai consumi, fagocita l’essere umano e la sua dimensione più intima e profonda, privandolo della capacità di scegliere e di trovare se stesso. Andare alle origini, recuperando la Storia, diventa allora il modo per riannodare con un principio fondante e strutturante, tale da consentirci di navigare con determinazione verso quelle rive che, lontane dall’annientamento del destino collettivo consumistico, ci facciano approdare al nostro destino personale. Dice la regista della video installazione “Ordine di Senso”: “la storia è di chi la scrive e noi tutti possiamo scrivere la nostra storia personale”.
Nell’incontro con l’opera il visitatore infatti può elaborare, portare in sé, e con sé, “significati” diversi, contribuendo anch’egli a dare un altro “ordine” al senso delle cose.
Il progetto di Anita Sieff si snoda fra l’area espositiva e la casa museo, creando un dialogo con gli ambienti e le persone che li abitarono allora e li abitano oggi.
Così in “Poesia”, l’installazione sonora nel piano del Museo, intreccia i desideri della figura settecentesca di Elena Mocenigo Querini con quelli di una donna del nostro tempo. Mentre l’installazione video “Ordine di Senso” - che dà anche il titolo alla mostra - strutturata su tre schermi, sollecita uno stato di attenzione che si gioca sui tre livelli di percezione: veglia, sogno e coscienza. Portare il passato nel presente permette, secondo l’artista, di andare “oltre la storia come sequenza lineare di causa ed effetto, e di abilitare la coesistenza di stati di densità dell’essere, quegli stadi intermedi che aprono verso una consapevolezza profonda del nostro centro”.
Ai pensieri affidati da Elena ai carteggi corrisponde, nel film, la voce dell’interprete regista: ”Tutti sogniamo. E’ da lì che ci viene in soccorso l’energia che dà un tono alla vita di ogni giorno”.
Il catalogo della mostra, pubblicato da Edizioni Gli Ori Prato, in versione italiana e inglese, contiene i testi di Chiara Bertola, Anita Sieff, John Peter Nilsson (curatore del Moderna Museet di Stoccolma) e di Carlos Basualdo (curatore per l’arte contemporanea del Philadelphia Museum of Art). Le schede delle opere esposte sono a cura di Marta Savaris.
La pubblicazione include un ampio apparato iconografico con le immagini delle opere allestite negli spazi della Fondazione Querini Stampalia.
Brevi cenni biografici
Anita Sieff vive e lavora a Venezia.
Si laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Università Ca' Foscari di Venezia con una tesi sull'estetica contemporanea e consegue un master in comunicazione.
Si dedicata alle arti visive a partire dal 1980. Le sue opere, fotografie, film, installazioni video e sonore sono state esposte in Europa e negli Stati Uniti. Dal 1989 al 1990 lavora con Michelangelo Antonioni a Roma. Questa esperienza la induce a trasferirsi a New York per studiare cinema dove rimarrà per oltre dieci anni. Nel 1996 Sieff si concentra sulla dimensione relazionale dell’opera d’arte e crea Public. L’opera – un laboratorio conviviale basato sul dialogo tra autori, scienziati e artisti che si tiene ogni mercoledì sera al Museo Guggenheim di Venezia – si traduce in un processo di ricerca sulla natura dell’amore e sulla sua possibile traduzione in una intimità pubblica. Ne nasce nel 1998 EthTV, un processo creativo di un più ampio progetto etico, che mira a stabilire, attraverso il sito web www.ethicstv.com, una comunità internazionale che condivida la finalità dell'arte come sistema partecipativo. Nel 1999 a San Francisco, in California, contribuisce alla realizzazione di "Planetwork", un progetto di ricerca sul futuro della terra e di uno sviluppo eco-sostenibile. Nel 2002 Sieff trasferisce Public al Museo Fortuny di Venezia per trasformarlo in laboratorio conviviale di ricerca per la produzione di opere connettive. Nel 2008 il Philadelphia Museum of Art le dedica una personale sulla sua produzione cinematografica a cura di Carlos Basualdo.
(per maggiori informazioni sul suo lavoro artistico si veda www.ethicstv.com about Anita Sieff)
Conservare il Futuro è un progetto basato sul rapporto tra arte antica e arte contemporanea, tra un passato da tutelare e un futuro da progettare. L'idea è quella di coinvolgere gli artisti più significativi sulla scena nazionale e internazionale invitandoli a lavorare sulle collezioni di famiglia conservate nel Museo e nella Biblioteca della Fondazione, per dare vita a progetti site-specific che, di volta in volta, ne propongono inedite interpretazioni.
Dal 2004 si sono succeduti nomi quali Giulio Paolini, Giuseppe Caccavale, Remo Salvadori, Georges Adeagbo, Stefano Arienti, Maria Morganti, Mariateresa Sartori, Mona Hatoum.
Anita Sieff - La coscienza del vivere
di Chiara Bertola
Quale sentire riconosco nel frastuono della realtà contemporanea? A quale linguaggio devo prestare ascolto? Che valore hanno le immagini dei sogni rispetto a quelle della realtà? Quale coscienza riesco ad avere dell’impermanenza della vita?
Questo il tenore delle domande sollecitate da “Ordine di senso”, la mostra di Anita Sieff pensata e “cresciuta” negli spazi e nella storia della Fondazione Querini Stampalia. L’artista propone di seguirla su un cammino intellettuale e visionario che simbolicamente mette al centro i fenomeni che caratterizzano gli emisferi del nostro cervello – quello destro del sogno, delle emozioni e quello sinistro della veglia, della logica – per inoltrarsi nell’intimità profonda dell’io, quindi attraversare le emozioni e giungere alla coscienza soggettiva «molto spesso addormentata anche se nello stato di veglia».
La mostra si compone di video, di racconti disegnati e scritti, di report di sogni, di mappe astrologiche, di oggetti, di talismani, di lettere, di fotografie, di voci, di odori, di suoni, di luce, di rosso e di oro… Ogni frammento esposto porta a dimostrare come la soglia sulla quale si rappresentano e animano le visioni del nostro sentire, sia sempre fluida e in costante trasformazione.
La mostra di Anita Sieff è un’esperienza che avvicina a quel “confine” cui è possibile avere accesso soltanto a costo di non tenersi nei limiti. Perché questo è forse quello che ci chiede prima di tutto l’artista: abbandonare il problema dell’orizzonte unico, per analizzare la frattura, il margine, le trasformazioni, le relazioni. Andare alle origini, recuperare la Storia, diventa, come sottolinea l’artista, «il modo per riconoscere la bontà di un piano che ci ri-orienti e conforti nel farci approdare al nostro destino personale».
Molto del suo lavoro si è nutrito di saperi trasversali, percorsi occulti e dottrine dimenticate come l’Alchimia e l’Astrologia o di quelle teorie scientifiche più rivoluzionarie. È sensibile, per esempio, a quell’indeterminazione su cui si basa la fisica dei Quanti: un qualcosa (o un qualcuno) s’individua non più nella chiusa e rigida relazione di causa ed effetto newtoniana, ma tenendo conto di una serie di stadi di reazione e di condizioni di mutabilità non solo spazio-temporali. In tale prospettiva una cosa è sopra, sotto, ma anche di lato, dentro, fuori…
La realtà di fronte alla quale ci pone quest’artista è, infatti, discontinua, caotica ma soprattutto sempre in trasformazione. È come una realtà microfisica della quale, nel momento in cui si cerca di osservarla e comprenderla, sfuggono le regole.
Vivere la realtà non significa essere identificati dai fatti che la compongono: Sieff ci indica quell’altro modo, centrato sulla consapevolezza dell’osservatore o del percettore, sullo sguardo che non porta attribuzione. Da questo punto di vista i fatti sfilano, accadono incessantemente, nascono e muoiono alla percezione. Diventa evidente, se così viene osservata la realtà, il principio dell’impermanenza, dell’inconsistenza, della transitorietà, della vacuità di tutto il manifestato. Anita entra dentro quest’inconsistenza e la sua mostra è un percorso in cui tutto viene sospeso per entrare e continuare a trasformarsi in qualcosa d’altro finché io, riconoscendolo, non gli ho dato un senso.
Così, la narrazione o meglio le narrazioni, i piani sequenza del film della sua installazione principale, "Ordine di senso", sono percorsi da un moto spezzato, secondo cui le immagini non seguono un fluire lineare, ma piuttosto una proliferazione di tragitti e di direzioni, in un'apertura continua di prospettive inaspettate e imprevedibili.
Ordine di senso è formata da tre schermi su cui scorrono le immagini di tre stati della nostra mente: la veglia (l’attenzione, la logica di un racconto lineare), il sogno (le apparizioni dell’immaginazione) e la coscienza (la percezione di sé); in tale rappresentazione l'artista ha voluto insinuare il sospetto che di questi tre livelli non si riesca mai ad avere una completa unità, mai la simultaneità dei registri.
Accettando l’impermanenza come principio base dell'esistenza, sappiamo che possiamo fluire e muoverci con le circostanze eternamente mutevoli della vita, anche se niente succede mai veramente per caso, ed ogni cosa prova che ognuno procede per diventare ciò che è. I pensieri, le emozioni, le azioni, sono sempre lì, in un flusso incessante che scorre nel presente; le cose che sono accadute sono diventate memoria, ma sono ancora disponibili, testimoni pronti per ogni comparazione e connessione; quelle che accadranno sono anch’esse lì, come prefigurazione, desiderio, sogno, proiezione. Dodici persone camminano avanti e indietro in un enorme magazzino dismesso. Sono attori, alcuni vestiti con abiti di scena, altri con l’abbigliamento di ogni giorno. C’e un uomo con un cappello di paglia e occhiali neri che tenta di imporsi come regista, ma nessuno gli bada. Il film, come mi rivela l’artista, nasce da un sogno che lei stessa ha realmente fatto, in cui è dentro un set dove gli attori stanno aspettando invano il loro regista. Un tema ricorrente nella storia del cinema, ma che questa volta è usato come pretesto, utile soltanto ad accentuare e rappresentare lo stato ambiguo tra la finzione e la realtà, per cucire tempi diversi della storia con quelli del presente. L’attesa degli attori diventa un felice pretesto che dà loro tempo – la scena si svolge anche nel Palazzo della Querini – e consente all’artista di risolvere gli andirivieni tra la storia e la realtà, ad esempio di connettere il passato con il presente facendo incontrare uno degli attori/Andrea Querini con il fantasma di Elena Mocenigo sua moglie. In quest’attesa infinita del regista, gli attori riescono a darsi tempo per "vedere" e mettersi all’ascolto di qualcosa che non avrebbero mai nè visto nè udito… Nelle sale del Museo, la mostra di Anita Sieff continua con quattro installazioni sonore e non è un caso che in una delle stanze ci sia una voce che insistente e malinconica dica, in più lingue, «hai tempo per me». Già… darsi tempo…
Riconosco in questo procedere dietro la camera da presa di Anita Sieff, l’insegnamento del suo maestro, Michelangelo Antonioni, con il quale l’artista ha collaborato in diverse occasioni e a cui questa mostra è dedicata.
«Per quanto mi riguarda all’origine c’è sempre un elemento esterno, concreto, non un concetto, una tesi, e c’è anche un po’ di confusione, all’origine probabilmente il film nasce proprio da questa confusione… La difficoltà consiste nel mettere ordine» (Michelangelo Antonioni).
Ma cosa significa per quest’artista mettere ordine? In un periodo in cui a scrivere la Storia sono soprattutto i media, riuscire a raccontare la propria storia significa emanciparsi dall’omologazione e dall’appiattimento che l’informazione impone disattivando la nostra coscienza; significa formarsi un’immagine capovolta del potere, smettere di credere che ci parlino di libertà tutti coloro che oggi vogliono farci dire chi siamo, cosa facciamo, cosa dobbiamo ricordare e cosa abbiamo dimenticato, quello che non dobbiamo pensare, quello a cui dobbiamo credere o non credere affatto.
Riscrivere un proprio "ordine di senso" significa, per quest’artista, darsi la possibilità di un proprio destino, chiedere a ognuno di non fidarsi dei dati ricevuti e di un unico parametro di interpretazione ma di dare valore al proprio sentire.
Ecco perché, per Anita, il sentire è il parametro del contemporaneo. Solo i nostri sensi – quelli del sentimento e dell’intuizione – danno il tracciato e la mappa su cui muoversi. Un po’ come dire: è necessario fare ordine per poter avere chiarezza.
Anche nell’incontro con l’opera il visitatore può elaborare, portare in sé e con sé significati diversi, contribuendo anch’egli a dare un ulteriore ordine al senso delle cose.
Entriamo per esempio nella stanza che contiene Interni. L'opera nell’angolo a parete è composta da tante piccole tele bianche quasi a formare idealmente la sagoma di un cervello. Sulle telette sono disegnate con matita sottile e lieve sagome perlopiù di vasi, ciotole, bottiglie, contenitori che si mischiano a forme di cervello, carciofi, finocchi, ananas. Il ritmo pacato della trama fitta delle tele bianche, è acceso ogni tanto dalla presenza di alcune tele rosse che, incandescenti, catturano l'attenzione e ci mettono in allerta, percorrendo l’intera superficie dell’opera.
Tutta la grande parete si compone in un caos di immagini, pensieri, sogni, parole e disegni, dove i linguaggi entrano e si trasformano uno dentro l’altro: la scrittura diventa disegno e le immagini si riempiono di parole. Alcune fotografie, poi, segnano non dei punti fermi, ma solo delle indicazioni di ritmo da imprimere alla sequenza caotica delle figure, al fluire delle lettere e dei segni.
Ma esiste davvero una divisione e una distinzione tra i grandi discorsi come scienza, arte, storia… o tra le discipline come poesia, letteratura, pittura, arte, cinema? Anche queste divisioni, per Sieff, rimangono delle regole normative, dei modi per istituzionalizzare i discorsi e rivelano come sia necessario abbandonare i tracciati imposti dalle schematizzazioni. L’operazione di creazione dell’opera, per lei, irrompe come un evento che smaschera tutte le costruzioni a priori che sembrano regolamentare e ordinare i linguaggi.
Da sempre l’arte è considerata una forma del narrare, ma vedendo adesso, tutta insieme, l’opera di Anita Sieff, mi è chiaro come questa vocazione dell’arte stessa non sia una storia di risposte bensì, piuttosto, una storia di domande, di echi, di narrazioni incrociate tra culture, memorie, opere e soggetti diversi. Il racconto che l’artista attiva nella sua opera prosegue quella narrazione in cui è già inscritto il racconto di una vita, continuandola e aprendola a nuove possibilità. Una narrazione che viene poi consegnata al pubblico che la ripercorre e la ridefinisce a sua volta, a partire dal proprio racconto.
Nell’attraversare la mostra si ha la sensazione di essere dentro il fluire dell’esistenza, e di sentirne tutta la complessità crescere e trasformarsi. L’artista restituisce – attraverso un’arte che si è fatta narrazione – quel gigantesco affresco entro cui la vita di ognuno scorre, emergendo ogni volta dai diversi stadi del sentire cosciente, reale e del sogno. È come una grande narrazione in cui ognuno ha la possibilità di definire la propria identità personale; un’identità che si costruisce al margine tra la scoperta e l’invenzione.
La mostra, prima personale dell’artista in un museo a Venezia, città dove vive e lavora, a cura di Chiara Bertola, verrà inaugurata sabato 27 marzo 2010 alle 18 in Fondazione Querini Stampalia a Venezia e resterà aperta fino a domenica 30 maggio 2010.
L’esposizione fa parte del progetto “Conservare il futuro”, promosso dalla Fondazione Querini Stampalia e dalla Regione del Veneto ed è organizzata in collaborazione con la Fondazione di Venezia.
Attraverso più di venti opere, tra disegni, fotografie, film, installazioni video, molte delle quali concepite espressamente per gli spazi dell’Istituzione, l’artista si confronta con la memoria di questo luogo e accosta il tempo del passato a quello del presente, scandendoli in un’unica sequenza spaziotemporale.
I lavori di Anita Sieff, attiva nel campo delle arti visive a partire dagli anni ’80, analizzano i cambiamenti che la società contemporanea, condizionata dai mass media, provoca ai danni della comunità e delle relazioni interpersonali. Questo modello sociale, attraverso l’esaltazione dell’immagine e la spinta sfrenata ai consumi, fagocita l’essere umano e la sua dimensione più intima e profonda, privandolo della capacità di scegliere e di trovare se stesso. Andare alle origini, recuperando la Storia, diventa allora il modo per riannodare con un principio fondante e strutturante, tale da consentirci di navigare con determinazione verso quelle rive che, lontane dall’annientamento del destino collettivo consumistico, ci facciano approdare al nostro destino personale. Dice la regista della video installazione “Ordine di Senso”: “la storia è di chi la scrive e noi tutti possiamo scrivere la nostra storia personale”.
Nell’incontro con l’opera il visitatore infatti può elaborare, portare in sé, e con sé, “significati” diversi, contribuendo anch’egli a dare un altro “ordine” al senso delle cose.
Il progetto di Anita Sieff si snoda fra l’area espositiva e la casa museo, creando un dialogo con gli ambienti e le persone che li abitarono allora e li abitano oggi.
Così in “Poesia”, l’installazione sonora nel piano del Museo, intreccia i desideri della figura settecentesca di Elena Mocenigo Querini con quelli di una donna del nostro tempo. Mentre l’installazione video “Ordine di Senso” - che dà anche il titolo alla mostra - strutturata su tre schermi, sollecita uno stato di attenzione che si gioca sui tre livelli di percezione: veglia, sogno e coscienza. Portare il passato nel presente permette, secondo l’artista, di andare “oltre la storia come sequenza lineare di causa ed effetto, e di abilitare la coesistenza di stati di densità dell’essere, quegli stadi intermedi che aprono verso una consapevolezza profonda del nostro centro”.
Ai pensieri affidati da Elena ai carteggi corrisponde, nel film, la voce dell’interprete regista: ”Tutti sogniamo. E’ da lì che ci viene in soccorso l’energia che dà un tono alla vita di ogni giorno”.
Il catalogo della mostra, pubblicato da Edizioni Gli Ori Prato, in versione italiana e inglese, contiene i testi di Chiara Bertola, Anita Sieff, John Peter Nilsson (curatore del Moderna Museet di Stoccolma) e di Carlos Basualdo (curatore per l’arte contemporanea del Philadelphia Museum of Art). Le schede delle opere esposte sono a cura di Marta Savaris.
La pubblicazione include un ampio apparato iconografico con le immagini delle opere allestite negli spazi della Fondazione Querini Stampalia.
Brevi cenni biografici
Anita Sieff vive e lavora a Venezia.
Si laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Università Ca' Foscari di Venezia con una tesi sull'estetica contemporanea e consegue un master in comunicazione.
Si dedicata alle arti visive a partire dal 1980. Le sue opere, fotografie, film, installazioni video e sonore sono state esposte in Europa e negli Stati Uniti. Dal 1989 al 1990 lavora con Michelangelo Antonioni a Roma. Questa esperienza la induce a trasferirsi a New York per studiare cinema dove rimarrà per oltre dieci anni. Nel 1996 Sieff si concentra sulla dimensione relazionale dell’opera d’arte e crea Public. L’opera – un laboratorio conviviale basato sul dialogo tra autori, scienziati e artisti che si tiene ogni mercoledì sera al Museo Guggenheim di Venezia – si traduce in un processo di ricerca sulla natura dell’amore e sulla sua possibile traduzione in una intimità pubblica. Ne nasce nel 1998 EthTV, un processo creativo di un più ampio progetto etico, che mira a stabilire, attraverso il sito web www.ethicstv.com, una comunità internazionale che condivida la finalità dell'arte come sistema partecipativo. Nel 1999 a San Francisco, in California, contribuisce alla realizzazione di "Planetwork", un progetto di ricerca sul futuro della terra e di uno sviluppo eco-sostenibile. Nel 2002 Sieff trasferisce Public al Museo Fortuny di Venezia per trasformarlo in laboratorio conviviale di ricerca per la produzione di opere connettive. Nel 2008 il Philadelphia Museum of Art le dedica una personale sulla sua produzione cinematografica a cura di Carlos Basualdo.
(per maggiori informazioni sul suo lavoro artistico si veda www.ethicstv.com about Anita Sieff)
Conservare il Futuro è un progetto basato sul rapporto tra arte antica e arte contemporanea, tra un passato da tutelare e un futuro da progettare. L'idea è quella di coinvolgere gli artisti più significativi sulla scena nazionale e internazionale invitandoli a lavorare sulle collezioni di famiglia conservate nel Museo e nella Biblioteca della Fondazione, per dare vita a progetti site-specific che, di volta in volta, ne propongono inedite interpretazioni.
Dal 2004 si sono succeduti nomi quali Giulio Paolini, Giuseppe Caccavale, Remo Salvadori, Georges Adeagbo, Stefano Arienti, Maria Morganti, Mariateresa Sartori, Mona Hatoum.
Anita Sieff - La coscienza del vivere
di Chiara Bertola
Quale sentire riconosco nel frastuono della realtà contemporanea? A quale linguaggio devo prestare ascolto? Che valore hanno le immagini dei sogni rispetto a quelle della realtà? Quale coscienza riesco ad avere dell’impermanenza della vita?
Questo il tenore delle domande sollecitate da “Ordine di senso”, la mostra di Anita Sieff pensata e “cresciuta” negli spazi e nella storia della Fondazione Querini Stampalia. L’artista propone di seguirla su un cammino intellettuale e visionario che simbolicamente mette al centro i fenomeni che caratterizzano gli emisferi del nostro cervello – quello destro del sogno, delle emozioni e quello sinistro della veglia, della logica – per inoltrarsi nell’intimità profonda dell’io, quindi attraversare le emozioni e giungere alla coscienza soggettiva «molto spesso addormentata anche se nello stato di veglia».
La mostra si compone di video, di racconti disegnati e scritti, di report di sogni, di mappe astrologiche, di oggetti, di talismani, di lettere, di fotografie, di voci, di odori, di suoni, di luce, di rosso e di oro… Ogni frammento esposto porta a dimostrare come la soglia sulla quale si rappresentano e animano le visioni del nostro sentire, sia sempre fluida e in costante trasformazione.
La mostra di Anita Sieff è un’esperienza che avvicina a quel “confine” cui è possibile avere accesso soltanto a costo di non tenersi nei limiti. Perché questo è forse quello che ci chiede prima di tutto l’artista: abbandonare il problema dell’orizzonte unico, per analizzare la frattura, il margine, le trasformazioni, le relazioni. Andare alle origini, recuperare la Storia, diventa, come sottolinea l’artista, «il modo per riconoscere la bontà di un piano che ci ri-orienti e conforti nel farci approdare al nostro destino personale».
Molto del suo lavoro si è nutrito di saperi trasversali, percorsi occulti e dottrine dimenticate come l’Alchimia e l’Astrologia o di quelle teorie scientifiche più rivoluzionarie. È sensibile, per esempio, a quell’indeterminazione su cui si basa la fisica dei Quanti: un qualcosa (o un qualcuno) s’individua non più nella chiusa e rigida relazione di causa ed effetto newtoniana, ma tenendo conto di una serie di stadi di reazione e di condizioni di mutabilità non solo spazio-temporali. In tale prospettiva una cosa è sopra, sotto, ma anche di lato, dentro, fuori…
La realtà di fronte alla quale ci pone quest’artista è, infatti, discontinua, caotica ma soprattutto sempre in trasformazione. È come una realtà microfisica della quale, nel momento in cui si cerca di osservarla e comprenderla, sfuggono le regole.
Vivere la realtà non significa essere identificati dai fatti che la compongono: Sieff ci indica quell’altro modo, centrato sulla consapevolezza dell’osservatore o del percettore, sullo sguardo che non porta attribuzione. Da questo punto di vista i fatti sfilano, accadono incessantemente, nascono e muoiono alla percezione. Diventa evidente, se così viene osservata la realtà, il principio dell’impermanenza, dell’inconsistenza, della transitorietà, della vacuità di tutto il manifestato. Anita entra dentro quest’inconsistenza e la sua mostra è un percorso in cui tutto viene sospeso per entrare e continuare a trasformarsi in qualcosa d’altro finché io, riconoscendolo, non gli ho dato un senso.
Così, la narrazione o meglio le narrazioni, i piani sequenza del film della sua installazione principale, "Ordine di senso", sono percorsi da un moto spezzato, secondo cui le immagini non seguono un fluire lineare, ma piuttosto una proliferazione di tragitti e di direzioni, in un'apertura continua di prospettive inaspettate e imprevedibili.
Ordine di senso è formata da tre schermi su cui scorrono le immagini di tre stati della nostra mente: la veglia (l’attenzione, la logica di un racconto lineare), il sogno (le apparizioni dell’immaginazione) e la coscienza (la percezione di sé); in tale rappresentazione l'artista ha voluto insinuare il sospetto che di questi tre livelli non si riesca mai ad avere una completa unità, mai la simultaneità dei registri.
Accettando l’impermanenza come principio base dell'esistenza, sappiamo che possiamo fluire e muoverci con le circostanze eternamente mutevoli della vita, anche se niente succede mai veramente per caso, ed ogni cosa prova che ognuno procede per diventare ciò che è. I pensieri, le emozioni, le azioni, sono sempre lì, in un flusso incessante che scorre nel presente; le cose che sono accadute sono diventate memoria, ma sono ancora disponibili, testimoni pronti per ogni comparazione e connessione; quelle che accadranno sono anch’esse lì, come prefigurazione, desiderio, sogno, proiezione. Dodici persone camminano avanti e indietro in un enorme magazzino dismesso. Sono attori, alcuni vestiti con abiti di scena, altri con l’abbigliamento di ogni giorno. C’e un uomo con un cappello di paglia e occhiali neri che tenta di imporsi come regista, ma nessuno gli bada. Il film, come mi rivela l’artista, nasce da un sogno che lei stessa ha realmente fatto, in cui è dentro un set dove gli attori stanno aspettando invano il loro regista. Un tema ricorrente nella storia del cinema, ma che questa volta è usato come pretesto, utile soltanto ad accentuare e rappresentare lo stato ambiguo tra la finzione e la realtà, per cucire tempi diversi della storia con quelli del presente. L’attesa degli attori diventa un felice pretesto che dà loro tempo – la scena si svolge anche nel Palazzo della Querini – e consente all’artista di risolvere gli andirivieni tra la storia e la realtà, ad esempio di connettere il passato con il presente facendo incontrare uno degli attori/Andrea Querini con il fantasma di Elena Mocenigo sua moglie. In quest’attesa infinita del regista, gli attori riescono a darsi tempo per "vedere" e mettersi all’ascolto di qualcosa che non avrebbero mai nè visto nè udito… Nelle sale del Museo, la mostra di Anita Sieff continua con quattro installazioni sonore e non è un caso che in una delle stanze ci sia una voce che insistente e malinconica dica, in più lingue, «hai tempo per me». Già… darsi tempo…
Riconosco in questo procedere dietro la camera da presa di Anita Sieff, l’insegnamento del suo maestro, Michelangelo Antonioni, con il quale l’artista ha collaborato in diverse occasioni e a cui questa mostra è dedicata.
«Per quanto mi riguarda all’origine c’è sempre un elemento esterno, concreto, non un concetto, una tesi, e c’è anche un po’ di confusione, all’origine probabilmente il film nasce proprio da questa confusione… La difficoltà consiste nel mettere ordine» (Michelangelo Antonioni).
Ma cosa significa per quest’artista mettere ordine? In un periodo in cui a scrivere la Storia sono soprattutto i media, riuscire a raccontare la propria storia significa emanciparsi dall’omologazione e dall’appiattimento che l’informazione impone disattivando la nostra coscienza; significa formarsi un’immagine capovolta del potere, smettere di credere che ci parlino di libertà tutti coloro che oggi vogliono farci dire chi siamo, cosa facciamo, cosa dobbiamo ricordare e cosa abbiamo dimenticato, quello che non dobbiamo pensare, quello a cui dobbiamo credere o non credere affatto.
Riscrivere un proprio "ordine di senso" significa, per quest’artista, darsi la possibilità di un proprio destino, chiedere a ognuno di non fidarsi dei dati ricevuti e di un unico parametro di interpretazione ma di dare valore al proprio sentire.
Ecco perché, per Anita, il sentire è il parametro del contemporaneo. Solo i nostri sensi – quelli del sentimento e dell’intuizione – danno il tracciato e la mappa su cui muoversi. Un po’ come dire: è necessario fare ordine per poter avere chiarezza.
Anche nell’incontro con l’opera il visitatore può elaborare, portare in sé e con sé significati diversi, contribuendo anch’egli a dare un ulteriore ordine al senso delle cose.
Entriamo per esempio nella stanza che contiene Interni. L'opera nell’angolo a parete è composta da tante piccole tele bianche quasi a formare idealmente la sagoma di un cervello. Sulle telette sono disegnate con matita sottile e lieve sagome perlopiù di vasi, ciotole, bottiglie, contenitori che si mischiano a forme di cervello, carciofi, finocchi, ananas. Il ritmo pacato della trama fitta delle tele bianche, è acceso ogni tanto dalla presenza di alcune tele rosse che, incandescenti, catturano l'attenzione e ci mettono in allerta, percorrendo l’intera superficie dell’opera.
Tutta la grande parete si compone in un caos di immagini, pensieri, sogni, parole e disegni, dove i linguaggi entrano e si trasformano uno dentro l’altro: la scrittura diventa disegno e le immagini si riempiono di parole. Alcune fotografie, poi, segnano non dei punti fermi, ma solo delle indicazioni di ritmo da imprimere alla sequenza caotica delle figure, al fluire delle lettere e dei segni.
Ma esiste davvero una divisione e una distinzione tra i grandi discorsi come scienza, arte, storia… o tra le discipline come poesia, letteratura, pittura, arte, cinema? Anche queste divisioni, per Sieff, rimangono delle regole normative, dei modi per istituzionalizzare i discorsi e rivelano come sia necessario abbandonare i tracciati imposti dalle schematizzazioni. L’operazione di creazione dell’opera, per lei, irrompe come un evento che smaschera tutte le costruzioni a priori che sembrano regolamentare e ordinare i linguaggi.
Da sempre l’arte è considerata una forma del narrare, ma vedendo adesso, tutta insieme, l’opera di Anita Sieff, mi è chiaro come questa vocazione dell’arte stessa non sia una storia di risposte bensì, piuttosto, una storia di domande, di echi, di narrazioni incrociate tra culture, memorie, opere e soggetti diversi. Il racconto che l’artista attiva nella sua opera prosegue quella narrazione in cui è già inscritto il racconto di una vita, continuandola e aprendola a nuove possibilità. Una narrazione che viene poi consegnata al pubblico che la ripercorre e la ridefinisce a sua volta, a partire dal proprio racconto.
Nell’attraversare la mostra si ha la sensazione di essere dentro il fluire dell’esistenza, e di sentirne tutta la complessità crescere e trasformarsi. L’artista restituisce – attraverso un’arte che si è fatta narrazione – quel gigantesco affresco entro cui la vita di ognuno scorre, emergendo ogni volta dai diversi stadi del sentire cosciente, reale e del sogno. È come una grande narrazione in cui ognuno ha la possibilità di definire la propria identità personale; un’identità che si costruisce al margine tra la scoperta e l’invenzione.
27
marzo 2010
Anita Sieff – Ordine di Senso
Dal 27 marzo al 20 giugno 2010
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA
Venezia, Campo Santa Maria Formosa, 5252, (Venezia)
Venezia, Campo Santa Maria Formosa, 5252, (Venezia)
Biglietti
la visita all’esposizione temporanea è compresa nel biglietto di ingresso alla Fondazione Querini Stampalia
intero 10 euro, ridotto 8 euro
Orario di apertura
da martedì a domenica dalle 10 alle 19. Chiuso il lunedì
Vernissage
27 Marzo 2010, ore 18
Editore
GLI ORI
Autore
Curatore