09 marzo 2006

architettura_interviste Luce chiara camera oscura – parte I

 
Si può incontrare Stefano Mirti nel nord della Thailandia a scambiare playlist con un guardiano di buoi. O in un ristorante di Pechino mentre dimentica l’ultima uscita di Nox. L’uscita del suo libro è l’occasione per sapere cosa pensa delle archistars e delle installazioni...

di

Stefano Mirti e Rachaporn Choochuey hanno pubblicato per Postmedia Books Yung Ho Chang Luce chiara, camera oscura, testo dedicato all’architetto cinese direttore del dipartimento architettura del MIT di Boston. Lars Lerup, maestro di Chang, in un periodo in cui l’architetto cinese progettava per concetti, producendo soprattutto installazioni, gli disse: “tu lavori in una camera oscura…”, motivandolo ad affrontare la professione senza limitarsi alle attività teoriche. Abbiamo scambiato alcune opinioni con Stefano Mirti, sull’architettura, sulle installazioni e molto altro.

Vista la tua attività nell’ambito dell’Interaction Design Institute di Ivrea, potremmo dire che nella camera oscura ti ci trovi fantasticamente…
Mi ci trovavo… Dopo cinque anni eporediensi, mamma Telecom (proprietaria di IDII) ha deciso di spostare il tutto a Milano, confluendo in Domus Academy. A quel punto, assieme al gruppo di persone con cui lavoravo (la e1, exhibition unit), si è pensato che fosse arrivato il momento di provare a progettare in autonomia. In termini tecnici si chiama spin-off. In termini realistici, ci diamo il 2006 per vedere se riusciamo a stare in piedi.

La dimensione dell’installazione. Raccontacene tre diversissime degli ultimi anni, rigorosamente prodotte da architetti. Viste le tue abituali frequentazioni geografiche che ne dici di Hybrid Muscle di R&Sie del 2003? Concept alla Fitzcarraldo: immagazzinare la forza di un pachiderma (sostituito poi da un bufalo albino) sollevando un contrappeso da due tonnellate e trasformare questa energia in elettricità per poter alimentare qualche laptop. Il tutto protetti da fogli di gomma che l’elettricità statica fa lavorare come fossero foglie di teak.
Hybrid Muscle, François Roche, Stéphanie Lavaux, Jean Navarro, Philippe Parreno

Ok. So rispondere perché ci sono stato. Quest’estate ero a Chang Mai, nel nord della Thailandia, dove Rirkirt Tiravanija ha messo su The Land, una comunità di artisti che ha a che fare con le bio-tecno-ecologie. Per trovare l’Hybrid Muscle ci abbiamo messo un intero pomeriggio di peregrinazioni sul tuc-tuc (ed ero con Racha, che essendo Thai rendeva tutte le operazioni vagamente più semplici). Alla fine arriviamo. Tutto era completamente deserto tranne per una signora che guardava due bufali del vicino. Io mi immaginavo tutta una roba di fricchettoni new age, zen tantrico, i nipotini di Arcosanti incrociati con Christiania. E invece non c’era nessuno.
Abbiamo fatto un primo giro ed era bellissimo. Tutto in rovina, probabilmente mai utilizzato dopo il photo-shooting per le riviste internazionali. Straordinario.
Racha ha chiesto alla signora dei bufali dove si fossero cacciati gli artisti. La signora ha farfugliato di alcuni occidentali che ogni tanto vengono, ma che era da un sacco di tempo che non si vedeva più nessuno.

Anche Luce chiara camera oscura inizia con l’elenco dei danni subiti da un’installazione di Chang nel 2004 nel trasporto Parigi-Bucarest, mixato al rapporto dei danni subiti da Chang stesso in un serio incidente stradale. “comunicazione verbale: limitata; pannelli in metallo zincato: danni vari; comunicazione internet: temporaneamente sospesa…”
Si, il libro inizia con questo testo straniante di Yung Ho Chang, una chicca direi. Un po’ come arrivare a The land sul tuc-tuc sotto il solleone e trovare tutto deserto. Ecco, forse più che Herzog è il Tarkovskji di Stalker. Molto suggestivo e stimolante.
Le installazioni vengono fatte per la foto che le deve raccontare. Un’installazione ben fatta deve contenere in sé una buona dose di menzogna in una modalità completamente diversa rispetto all’architettura.
The polycarbonate house: anna barbara, rachaporn choochuey, stefano mirti, akihiro otsuka, luca poncellini, andrea volpe / BRIGATA TOGNAZZI
L’architettura ha come desiderio quello di rimanere per sempre. L’installazione non deve crollare fino allo scatto dell’ultima foto. In tutto e per tutto è come una scenografia cinematografica. Girata la scena, spente le luci, smonta tutto che c’è un’altra scena da girare.
Sull’Hybrid Muscle non ho granché da aggiungere. In foto bellissimo, dal vero claudicante. Che se poi R&Sie avessero dovuto fare un muscolo ibrido che funzionava per davvero sarebbero dovuti rimanere lì dieci anni assieme alla signora dei bufali e ai bufali.

Sembri clemente nei confronti dell’approssimazione di alcuni dettagli. Nella tua vecchia Polycarbonate house, a parte la bassissima tecnologia (un cutter?), le soluzioni di connessione dei pannelli erano geniali.
Mah. La Polycarbonate house è un progetto temporaneo fatto a Tokyo dalla oramai disciolta Brigata Tognazzi. I giunti erano fatti così perché non potevamo permetterci di comprare i telai metallici. Diciamo che in foto sono di un’intelligenza strepitosa, mentre costruire la casa con il silicone fu un totale inferno. Non a caso, nonostante ci abbiano chiesto almeno cinque volte di ricostruirla, non se ne è mai fatto nulla. Errare è umano…
The polycarbonate house: anna barbara, rachaporn choochuey, stefano mirti, akihiro otsuka, luca poncellini, andrea volpe / BRIGATA TOGNAZZI
In Luce chiara camera oscura un incontro architettonico nella Chinatown di Bangkok spiega l’atteggiamento che forse ti interessa…
Si, camminando per i vicoli ad un certo punto sentiamo il rumore di una colonna sonora, ci avviciniamo ad una folla di persone. Gente seduta sui marciapiede, altri organizzati con stuoie e cuscini. La strada abbastanza stretta ed uno schermo fissato con delle funi agganciate agli edifici. Un proiettore da 35 mm. Un intervento architettonico minimo (vogliamo chiamarlo un lenzuolo appeso?) e un risultato spaziale di rara forza. Allora pensiamo: perché le riviste di architettura si concentrano sui prodotti patinati e non cercano di afferrare questa energia impressionante?
Cioè, lo sappiamo tutti benissimo. Però ancora è interessante provare a lavorare su materiali esistenti, banali. Il policarbonato, un lenzuolo teso tra due edifici che diventa schermo cinematografico, i ponteggi Innocenti. Progetti fatti di nulla.


link correlati
http://projects.interaction-ivrea.it/exhibitions 
www.cliostraat.com/show.php?baby=157
www.postmediabooks.it 
www.new-territories.com 

luca ruali
also available architecture
www.alsoavailable.net

[exibart]

1 commento

  1. Da: domenico olivero
    Data: Sat, 11 Mar 2006 08:28:41 +0100
    A: “redazione Domus”
    Oggetto: x Stefano Boeri

    Sono rimasto perplesso da quanto affermato da Stefano Mirti in un suo
    intervento su Exibart, egli dichiara :o/oo … Ok. So rispondere perché ci
    sono
    stato. Quest’estate ero a Chang Mai, nel nord della Thailandia, dove
    Rirkirt
    Tiravanija ha messo su The Land, una comunità di artisti che ha a che
    fare
    con le bio-tecno-ecologie. Per trovare l’Hybrid Muscle ci abbiamo messo
    un
    intero pomeriggio di peregrinazioni sul tuc-tuc (ed ero con Racha, che
    essendo Thai rendeva tutte le operazioni vagamente più semplici). Alla
    fine
    arriviamo. Tutto era completamente deserto tranne per una signora che
    guardava due bufali del vicino. Io mi immaginavo tutta una roba di
    fricchettoni new age, zen tantrico, i nipotini di Arcosanti incrociati
    con
    Christiania. E invece non c’era nessuno.
    Abbiamo fatto un primo giro ed era bellissimo. Tutto in rovina,
    probabilmente mai utilizzato dopo il photo-shooting per le riviste
    internazionali. Straordinario. Racha ha chiesto alla signora dei bufali
    dove
    si fossero cacciati gli artisti. La signora ha farfugliato di alcuni
    occidentali che ogni tanto vengono, ma che era da un sacco di tempo che
    non
    si vedeva più nessuno….o/oo

    Mi domando una rivista come Domus, che enfatizza tanto questo
    atteggiamento
    glamour/artistico dell`arte, che cosa può dire a proposito di tutti
    questi
    interventi che proponne ma che forse sono più atti giornalistici che
    reali
    interessi al quotidiano, sia esso artistico che del design eetcc?

    le situazioni pre e post patinatura sono fantastiche ma non solo in campo
    strettamente artistico. come lo vedi un documentario fatto da una serie
    infinita degli ultimi dieci/15 minuti prima di chiudere le tavole di tot
    concorsi? ah, volevo inoltrare al direttore dell’almanacco di topolino ma
    non c’ha la mail.
    infine…
    caro domenico olivero, caro mir, visto che per il pezzo su exibart ho il
    solito taglio secco appena arrivato alle 3500 battute, vi spiace se sposto
    il vostro dialogo nei commenti all’articolo?

    ancora tra i fiordi?

    luca ruali / also available architecture http://www.alsoavailable.net

    —– Original Message —–
    From: “Stefano Mirti”
    To: “Stefano Boeri” http://www.exibart.com

    saluti

    d.o)

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