10 agosto 2001

Attualità Ara Pacis: tra le polemiche il progetto di Richard Meier

 
Un progetto nel centro storico di Roma: i lavori sono iniziati... ed anche la polemica. Exibart propone una ricostruzione delle opinioni contrastanti...

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I lavori per la realizzazione del progetto di Richard Meier per l’Ara Pacis sono già iniziati e il padiglione di Morpurgo, costruito nel 1938, è stato demolito. Ma l’esito della vicenda è incerto e non mancano spunti su cui riflettere. La demolizione del vecchio padiglione ha, infatti, messo in luce nuovamente la ferita urbana creata dallo sventramento fascista della Piazza Augusto Imperatore, che ha compromesso una zona già lacerata dalla distruzione dell’antico Porto di Ripetta.
Il progetto ha scatenato la reazione contraria del sottosegretario ai Beni Culturali Vittorio Sgarbi. Sgarbi ha contattato il sindaco Veltroni e ha organizzato al Ministero una riunione con tecnici e soprintendenti, tra cui Adriano La Regina ed Eugenio La Rocca per discutere dell’argomento Ara Pacis. La mancata gara d’appalto per l’affidamento dell’incarico e i problemi che aprirebbero gli scavi necessari alla realizzazione del progetto di Meier, sono alcune delle perplessità espresse da Sgarbi, il quale prospetta in alternativa “un involucro leggero che suggerisca la memoria del padiglione di Morpurgo”. Afferma inoltre “ho parlato con Massimiliano Fuksas, con l’ingegner Tamburrino che ha un progetto alternativo e con l’archeologo Alessandro Bianchi per formare una commissione” (come riporta Francesca Giuliani su “La Repubblica”, cfr. anche “Il Tempo”, 19 Giugno 2001).
Intanto proseguono i sondaggi archeologici e, intorno al perimetro dell’Ara Pacis, bisognerà inserire dei micropali di rinforzo alla struttura prevista dal progetto di Meier. Eugenio La Rocca spiega che il terreno in quel punto è di riporto ed è quindi un’operazione necessaria per la sicurezza del monumento. La stratigrafia è comunque simile a quella dei Fori Imperiali, spiega, costituita dalle cantine delle case rinascimentali e medievali mentre “le preesistenze antiche, nei punti dove scaviamo, possono riguardare soltanto le strutture relative al Tevere, tracce di moli, cose di questo tipo non eclatanti”. Afferma comunque che il monumento deve essere protetto da vibrazioni, rumori, luce “niente che possa essere garantito da un ‘involucro leggero’”.
Finiamo raccontando l’opinione di architetti appartenenti, tra l’altro, al mondo universitario.
Per Antonino Saggio l’apertura di un cantiere nel centro di Roma rappresenta un evento per la città, ormai caratterizzata da interventi temporanei e da una tendenza alla musealizzazione. La scelta di Meier è stata ottima, sennonché il progetto che ne è risultato, anche a causa di compromessi, è di media qualità e, nonostante una certa eleganza, è deludente. L’errore è stato dell’amministrazione Rutelli, nell’aver circoscritto l’incarico alla riprogettazione di una “teca” per l’Ara Pacis. Infatti il vero problema rimane quello della sistemazione dell’intera area, compromessa da una serie di errori sommatisi nel tempo, e che ora avrebbe bisogno di una politica diversa, che ridesse un senso all’ambito urbano che va da Trinità dei Monti all’ex Porto di Ripetta. All’interno di questo “nuovo senso”, continua Saggio, si può decidere più in dettaglio la strategia per la sistemazione del Mausoleo, della piazza Augusto Imperatore e dell’Ara Pacis (cfr. A. Saggio, “No Limits al Progetto”, cfr. Arch’it)
Infine l’opinione di Valter Bordini è che il progetto di Meier rischia di compromettere definitivamente la sistemazione dell’area di piazza Augusto Imperatore con una soluzione sbagliata. Secondo Bordini, prima ancora di dissertare sulla sua validità estetica, bisognerebbe rilevare che il progetto è sbagliato perché è un fuoriscala, essendo due volte e mezzo più grande del padiglione di Morpurgo. Inoltre il vuoto creatosi dopo la demolizione, ha reso più evidente la necessità di una riconnessione, riapertura della piazza verso il Tevere, mentre il progetto di Meier chiude definitivamente in una scatola, “con una retorica quarta parete”, l’antico Mausoleo. Il vuoto materiale e il cambiamento di giunta suggeriscono secondo Bordini, una pausa di riflessione e di ripensamento. Si potrebbe anche ipotizzare di spostare altrove l’Ara Pacis, in un museo, oppure come aveva suggerito Piacentini, dentro al Mausoleo stesso, e di “sfondare verso il fiume, ritrovando il piano archeologico e parte Ara Pacis di Neronedell’antico Porto di Ripetta” (cfr. “Il Tempo”, 19 Giugno 2001).
Alcuni spunti sulla riconnessione della piazza al fiume sono venuti dal concorso di idee per architetti e artisti, promosso dall’Archivio di arte Contemporanea Crispoldi e dall’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia.


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Richard Meier

Angelica Fortuzzi

[exibart]

20 Commenti

  1. Quello che lascia perplessi, e che probabilmente politici non architetti non sono stati in grado di valutare, sono le dimensioni del nuovo intervento; valutazione che già un programma funzionale faraonico avrebbe dovuto segnalare. Il nuovo edificio è troppo alto. Chiude l’espansione dal lungotevere verso il mausoleo, che nato in rapporto con il fiume viene ora a trovarsi in una misera piazza urbana tutt’altro che romana. E non basta trasformare una quinta in sedile per recuperare un progetto nato male. Ma abbiamo iniziato a realizzarlo … allora andiamo avanti … basta con i tentativi di frenare.

  2. La copertura vecchia di Morpurgo non tutelava il monumento dalle vibrazioni (ricordiamoci che vicino ci passa il lungotevere, che oltre ad essere un meravigliosissimo viale è anche una sorta di superstrada…) e dall’inquinamento (altissimo per il motivo superstradale di cui sopra).

    Dunque non sono affatto daccordo con gli assunti del professor Sgarbi (peraltro ottimo nelle sue prese di posizione sull’obelisco di Axum ed altro) che in questa questione ha dimostrato un pizzico di nostalgismo…

    Il problema della copertura di Meier è una sorta di peccato originale: mi pare di leggere che l’incarico gli è stato dato senza una gara di appalto. Ovviamente una commissione cosi importante assegnata senza la necessaria trasparenza crea tutti tuttissimi i problemi del caso.

  3. il punto è che vista la moda una capitale non è tale se non ha un “meier” … e Rutelli si è adeguato … ma ora, con la Chiesa del 2000, ce ne troviamo due di Meier, e se si pensa che a Roma quasi non c’è nient’altro … sono un po’ troppi!

  4. UN AIUTO PER SALVARE L’ARA PACIS

    Global? no Global!

    Nell’era della globalizzazione, a differenza dei “seguaci” dell’architettura Globale, noi siamo convinti che non possa esistere un unico linguaggio per tutti i luoghi della terra: se esiste un lexicon architettonico, questo è diverso da Paese a Paese, da Regione a Regione, da Città a Città, non esiste un de vulgari eloquentia, ma una miriade di dialetti, gli stessi dialetti che caratterizzano e caratterizzeranno per sempre (speriamo), i vari centri. Dunque non possiamo ammettere, nel cuore di Roma, che un anonimo edificio di “Stile Internazionale” inglobi uno dei più importanti monumenti della storia dell’umanità, che un edificio realizzabile in qualsiasi altro luogo della Terra (il clone di quello realizzato da Meier a Barcellona) sostituisca e mascheri un monumento della Storia dell’Arte, che infine, anche il centro storico venga “violentato” alla stessa stregua delle brutte ed invivibili periferie di tutto il mondo che, “internazionalmente”, si assomigliano tutte. Risulta paradossale che, il monumento della grande Pax Augustea si tramuti, duemila anni dopo, in un “casus belli”.

    Ara Pacis: da espressione della Pax Augustae al Casus Belli?

    È impossibile non denunciare, in nome dell’amore per Roma, lo scempio che sta per operarsi a danno dell’Ara Pacis su progetto di Richard Meier, esso mortificherà non solo l’Ara Pacis ed il Mausoleo di Augusto, ma tutta la zona interessata dall’edificio, così i romani e i turisti, provenienti dal quartiere Prati, non godranno più della vista delle chiese di San Girolamo dei Croati a Ripetta e di San Rocco all’Augusteo, ma si troveranno davanti un altro muraglione (non bastavano quelli del lungotevere), fatto di materiali e forme assolutamente decontestualizzati: era proprio necessario tutto ciò? Era proprio indispensabile offendere Roma arrogandosi il diritto di realizzare un “nuovo presunto monumento”? Ci si è resi conto che l’edificio nasce con l’intento di competere con i monumenti presenti sul posto? Ci si è resi conto che questa competizione non potrà mai essere vinta da Meier, e che l’unico risultato che si raggiungerà sarà quello di aver speso miliardi di denaro pubblico per massacrare la città? Non bastavano le “offese-fallimenti” del Beaubourg di Parigi e della Haas House di Vienna?
    Roma non è un luogo qualsiasi, è il cuore culturale del mondo, è la biblioteca vivente ove tutti hanno diritto di imparare, è un patrimonio che non può e non deve essere violentato, è proprio ciò che Ferdinando Gregorovius nelle sue “passeggiate romane” ha scritto: “in nessun’altra parte della Terra l’anima è tanto presa dalla malinconia quanto ai piedi dell’antica Roma, che tra le rovine dei secoli sorge bella e triste, nemesi mutilata della storia, stringendo nella mano il volume su cui sono descritti i destini dei popoli”. Né Meier, né altri che non vogliano impegnarsi a leggere questo “volume”, hanno il diritto di scarabocchiare o strappare le pagine in esso contenute!

    senso civico

    Riteniamo che gli interventi urbanistici o architettonici, per qualsivoglia contesto antropizzato, debbano dialogare e rispettare i caratteri storici e tradizionali ivi presenti: come ad un bimbo si insegna il significato di rispetto degli altri e quello del senso civico, altrettanto gli architetti e gli urbanisti debbono fare con sé stessi prima di intervenire su di un tessuto urbano. A tal proposito risulta fondamentale una riflessione sulle parole dell’architetto egiziano Hassan Fathy: “io dico che la bella architettura è un atto di civiltà verso chi entra nell’edificio; si inchina a voi ad ogni angolo, come in un minuetto … ogni costruzione brutta o insensata è un insulto a chi le passa di fronte. Ogni edificio dovrebbe rappresentare un ornamento e un contributo alla propria cultura. Avendo deciso di abbandonare il passato, in quanto irrilevante, sono andati perduti o distrutti elementi di valore incalcolabile. La conoscenza rivelata del saggio è ora sostituita dalla scienza analitica moderna, e la macchina ha rimpiazzato l’abilità della mano artigiana”.

    Il modernismo e la reale modernità

    Gli architetti del Rinascimento e del Barocco sono stati modernissimi pur basando la loro espressione sul patrimonio artistico tramandatogli, solo l’architetto “modernista” ha avuto la presunzione di fare a meno di tutto ciò, … e i risultati si sono visti!
    Oggi però, possiamo ancora credere in una rinascita della regina delle arti, e per far ciò è assolutamente necessario riscoprire le nostre origini: il nostro futuro è nel passato, come ha scritto Edmund Burke una civiltà sana è quella che mantiene intatti i rapporti col presente, col futuro e col passato. Quando il passato alimenta e sostiene il presente e il futuro, si ha una società evoluta! E ciò è altrettanto valido per l’architettura.

    un dovere morale

    Volendo oggi esprimere il concetto di quello che dovrebbe essere il dovere morale dell’architetto, non v’è nulla di più esplicativo delle parole di J. Plecnik, un architetto boicottato dalla sua epoca ma che, nel suo profondo, ha rappresentato una grandissima espressione di modernità legata alla storia, un architetto che aveva, sin dagli albori dell’era “modernista”, ben chiaro lo scenario che oggi abbiamo di fronte e che abbiamo il dovere morale di combattere: “L’architetto, al suo più alto grado, ha il compito di attestare il ben-fondato. Questo vuol dire che, al proprio livello, l’architetto deve imporre a sé stesso il compito di presentarsi come lo spirito che dà fondamento al bene, perché il bene e il bello si co-destinano: in vista di questo progetto, di cui l’architetto è l’elemento ordinatore, deve saper fare cooperare l’insieme più ampio possibile delle attività artigianali. La missione architettonica – ma anche armonica – dell’architetto consiste nel mantenere la dignità operativa di tutti gli stati socio-corporativi che partecipano all’atto di costruire e che sono minacciati dall’industria.
    Arti e Tecniche si fondono una nell’altra solo quando l’architetto ne assicura la vicinanza e l’articolazione; la tradizione dell’artigianato e delle corporazioni – fabbri, intagliatori in pietra, incisori, ceramisti, stuccatori, carpentieri, parquettisti – può mantenersi quindi solo all’interno dell’armonia complessa e diversificata dell’opera architettonica, nel rifiuto della modernità rappresentata dal “principio dell’economia”, distruttore dell’arte nella sua stessa essenza.
    L’opera architettonica deve essere espressione di questa completezza risolta. Interamente disegnata, formata, costruita operata, perfino nelle parti non visibili dell’edificio, un microcosmo in cui sono accolti e dotati di forma tutti i materiali che l’universo può offrire.
    L’arte è in grado di portare un contributo determinante alla nascita di un mondo migliore”.

    ETTORE MARIA MAZZOLA

  5. Ettore Maria Mazzola, vai un po più piano. il Movimento Moderno nasce con obiettivi molto precisi e di inportanza fondamentale nella storia della creatività umana per la volontà di migliaia di architetti, urbanisti, artisti, sociologi, economisti, scrittori, visionari, poeti, di migliorare la vita di milioni di persone: città strutturalmente avanzate, ricche di servizi efficienti, di vie di comunicazione, abitazioni sane, luminose, servite, per le nuove masse cittadine che finalmente possono essere realizzate grazie al basso costo della produzione industriale, la quale è anzi stimolata dai nuovi bisogni, eccetera eccetera… e si basa sulla superiori tecniche scoperte e dall’intera organizzazione della città e dell’intera società industriale. non ti ricordi? lo hai studiato…

    il brutto non è l’international style – tra l’altro parola insignificante che riduce il modernismo a una questione di stile… rendendo vulnerabile di capricci il giudizio su una colossale, sistematica volontà democratica. il brutto è il fatiscente, l’oggetto architettonico sciatto e realizzato alla cazzo di cane, con imbrogli evidenti nel manufatto, incompleto, nel posto sbagliato, nella posizione sbagliata, privo di manutenzione, degradato per qualunque motivo, disprezzato da chi lo abita, preda costante di vandali… un fatiscente edificio vecchio è uguale. mi paragoni le periferie a basso costo nate per necessità con gli splendori del barocco? che senso ha? dovremmo metterci a costruire periferie a mano con stucchi e capitelli? quello sì, che sarebbe vomitevole, volgare e totalmente fuori dalla storia. per fare un’abitazione a un operaio, impegnare mille artisti, metterci dieci anni e spendere dieci miliardi in manod’opera e materiali… paghi tu? cosa sarebbe questo, un ritorno al Cinquecento progettato sulla tua scrivania? dobbiamo mandare tutto il mondo a quel paese? far implodere tutta la società per un capriccio? ognuno è libero di sostituire le pessime architetture con ottime architetture. ma è finito il tempo in cui il Re poteva fare tutto a sua immagine e somiglianza. e soprattutto, dovrebbe (almeno in teoria) essere finita l’architettura retorica guidata per mano dalla politica. la politica dovrebbe semmai stimolare la creatività e l’avanzamento verso architetture sempre migliori. insomma, non puoi negare l’immenso valore del pensiero di Loos, le corbusier, mies van der rohe, nymeyer, nè quello di archigram, soleri, makoto sei watanabe. che senso ha dire: “no, le cose moderne no, sono tutte brutte”. la questione eterna è sempre quella di costruire ogni volta l’architettura migliore possibile senza prendere in giro nessuno. e poi cosa sono gli stili? parti da zero, come diceva bruno zevi. dalla caverna alla capsula spaziale la distanza è breve: basta smetterla di far la guerra di stili e concentrarsi sull’idea universale di architettura, e desiderare la sua evoluzione (interagendo col mondo), senza ridurla a un bambino bonsai travestito, architettura con umiltà. come i primitivi, che non facevano cose brutte perchè non avevano morale che li fregasse nel plasmare la materia. erano liberi e facevano quello che dovevano fare, per gradi, imparando a fare sempre meglio. come le case dei tartari, scavate, semplici e bellissime come la natura. erano organiche. erano LA natura. e non c’era quello che diceva “io invece voglio fare delle decorazioni a forma di questo e di quello (per quale motivo?), poi decido che il colore di sempre, usato per motivi ragionevoli, non mi va, e voglio magari fare dei pallini, perchè mi piacciono i pallini… erano dotate di senso di architettura. un edificio barocco rispecchiava la società del milleseicento. non vedo perchè, nascendo il terzo millennio, adesso dovremmo rincoglionirci tutti e rispecchiare la società del milleseicento. sarebbe ridicolo come impiegare 4 cavalli e un cocchiere invece di puntare sul motore a idrogeno o elettrico o che ne so. e avere in Italia 200 milioni di cavalli che cagano sulle strade.

    sono comunque perfettamente d’accordo – una volta finite le discussioni cosmiche – che per costruire a Roma e nelle città d’arte è necessaria tripla prudenza. e anche impedire veramente che in questi casi gli architetti siano troppo personali: mi spiego: non vedo più un architettura che mi appresto a studiare, ma vedo un prodotto firmato dai soliti architetti. uh, quanta strada, in questo paese, ancora da fare prima ancora di partire… rifiutare l’approccio solito dei concorsi (“vi abbiamo portato l’indiscutibile grande architetto”…), partire da zero, da progetti umili e veri, invece di fermarsi all’apparenza dell’apparenza dell’apparenza… all’esercizio di stile, all’esibizione di una formula personale proposta ogni volta, accostarsi all’architettura antica senza negarla, senza umiliarla, ma arricchendo di senso il tutto. non impoverendolo nè riducendo, nè denigrando. e quindi partendo con responsabilità dalle funzioni da assolvere. costruire creando un sostegno all’esistente architettura antica, non rinchiuderla come una merdaccia malata, ma farla pulsare se possibile, non cancellare la storia, ma nemmeno piangerci sopra. proseguire con la massima attenzione a dove si mettono i piedi e le mani e con grande responsabilità e capacità; e solo allora, da questo punto e con queste premesse, accendere la migliore creatività, ispirata creatività. Al diavolo il modello pubblicitario e modaiolo dell’architettura. e – peggio ancora – al diavolo questa proposta di mode già passate… stiamo entrando adesso nel postmoderno quando all’estero ne sono usciti 10 anni fa e studiano già da anni la filosofia decostruttivista. Faremo il possibile per tuffarci di testa in essa solo quando sarà stata superata. Non speriamo poi di ricevere applausi. siamo in ritardo di 10 anni nel pensiero architettonico applicato. Ma, nella mentalità, penso di 500 anni.
    meier ha fatto alcune architetture riuscite ma non a caso è di quelli più fossilizzati in marmorei volumi classicheggianti tra gli architetti del nostro tempo. la prossima volta chiameremo philip johson e il suo vecchiume postmoderno modaiolo e puttanesco. ma alla fine, è morto?

  6. non è una scoperta dell’ultimo minuto che in occidente si sta purtroppo disimparando a fare le cose colle mani. non sappiamo fare più niente, e non sappiamo riparare più niente. la colpa non è della tecnica industriale, ma della pubblicità che vuole vendere i prodotti senza neanche farteli vedere bene, senza spiegarteli, ma cercando di distrarti e convincerti per fede. la colpa è dei consumatori che preferiscono non pensare al prodotto che comprano, non capire mai come è o come dovrebbe essere fatto, non giudicarlo mai. e denigrare il lavoro manuale come “troppo umile”. michelangelo forse era troppo umile per queste persone. da disprezzare, evidentemente, perchè sapeva usare le mani.
    ma il rimedio non è un artigianato che si metta a copiare gli stili come farebbe una ditta di vu cumprà. stili di secoli troppo diversi dal nostro, e che non hanno più alcun significato oggi. vaghe, seriose statue di uomini in mutande o a cavallo… ma per favore!
    piuttosto dovrebbero insegnare a tutti nelle scuole a manipolare un pò la materia. ma poco, mi raccomando! pooooooocoooo, che altrimenti rischiamo di diventare bravi!!!!!!!!

  7. Che bravo! È proprio il caso di dirlo, chi, non firmando il messaggio, dichiara, forse un po’ ri petendo a cantilena ciò che ha imparato all’università, o magari ha propinato a qualche studente dall’alto di una cattedra universitaria, “parti da zero” (Come diceva Bruno Zevi). Forse che Bruno Zevi è partito da zero? O forse c’è partito Le Corbusier? Magari il grande Mies? No, loro no! Loro, disgraziatamente per noi e per chi li ha seguiti, il passato e la storia l’hanno studiata e qualcuno pure ne ha tenuto conto per i suoi progetti. Ma noi no! Noi non dobbiamo seguire la storia per non trovarci infangati in un rinascimento a-temporale che non è e non può essere in alcun modo “moderno”.
    Noi che dobbiamo fare? “Dovremmo metterci a costruire periferie a mano con stucchi e capitelli?” Ma scherziamo? E poi per farci vivere chi? Qualche miserabile operaio? Che non merita di vivere fra stucchi e capitelli come invece ancora oggi continuano a vivere chi i soldi ce li ha e li spende per vivere bene o nel lusso! Allora mi chiedo: Ma il signor tetsuoii@interfree.it dove vive adesso? Certamente no in qualche centro storico, dove peraltro i prezzi degli immobili del seicento saranno sicuramente fra i più bassi della sua città; più bassi perfino delle periferie, perché una buona periferia, progettata da un buon architetto, come se ne vedono tante ai margini delle nostre città (Roma, Milano, Firenze,ecc..) premia chi compra solo per il fatto di esistere o di essere stata progettata da qualche clone di Le Corbusier (unità di abitazione di Marsiglia)! Mi chiedo: chi non vorrebbe vivere in tali periferie?
    Noi cittadini moderni non possiamo “…fare un’abitazione a un operaio, impegnare mille artisti, metterci dieci anni e spendere dieci miliardi in manod’opera e materiali…” ,non possiamo pensare un po’ meno in grande o magari pensare alla qualità della vita di chi, dentro queste architetture, deve viverci, no non possiamo! Non possiamo rinunciare a pensare le nostre architetture come oggetti di design, come “segni sul territorio” espressamente pensati e progettati da un grande architetto che della funzionalità, dell’estetica o dell’armonia d’insieme e quindi della decorazione costosa e non conveniente (soprattutto per chi costruisce e non certo per gli artigiani che la realizzano) non può occuparsene. No! Non possiamo in alcun modo!
    Quello che possiamo fare come umili e disgraziati costruttori di città, se ancora c’è qualcuno che riesce a portare a casa la pagnotta, è costruire mastodontiche case in linea dove vivere tutti insieme “accartocciati” ( perché forse così stiamo più al calduccio e magari risparmiamo sul riscaldamento e sul buco dell’ozono) in 50 mq, ma tutti rigorosamente in una progettazione d’alta architettura moderna, perché siamo cittadini moderni e non possiamo vivere come quei disgraziati borghesi malinconici che si accaparrano appartamenti nel centro storico per il gusto di buttare i propri quattrini. Noi siamo certamente più furbi perché spendiamo poche lire, o forse pochi euro, per le nostre abitazioni che durano molto più di quelle del seicento e che non hanno bisogno di alcuna manutenzione perché sono moderne, ma soprattutto non impegnano mille artisti, non durano dieci anni, salvo qualche caso molto isolato, e non usano materiali costosi e oggetti decorativi che comunque non piacerebbero ai nostri Le Corbusier e Mies Van Der Rohe! Non possiamo far implodere la nostra società in questo modo! C’è sempre un’ alternativa… per far implodere la nostra società!!! Perché in fondo chi può “…negare l’immenso valore del pensiero di Loos, le corbusier, mies van der rohe, nymeyer, nè quello di archigram, soleri, makoto sei watanabe”?

    Siamo comunque molto fortunati: abbiamo a Roma un architetto come Meyer, e siamo noi che lo abbiamo chiamato… potevamo forse utilizzare menti architettoniche nostrane? No! Potevamo utilizzare i secoli di cultura e storia architettonica in cui noi italiani eravamo considerati come i primi al mondo? No! Potevamo considerare che gli studenti di mezzo mondo venivano a studiare l‘architettura a Roma e non certo per vedere le nostre periferie? No! Ed infine potevamo considerare che i turisti di tutto il mondo vengono nelle nostre città per ammirare quello che è stato prodotto tra arte e architettura prima del movimento moderno?
    La risposta è no! Non potevamo perché noi siamo cittadini moderni!!!

    Paolo Vecchio

  8. VOLGARITA’,IGNORANZA, PRESUNZIONE ED ARROGANZA, MA PERCHÈ POI?

    A causa di un lungo ed intenso periodo di lavoro (oltre che svolgere la libera professione, insegno Storia e Progettazione Urbana in una Università Americana) non ho più avuto tempo di leggere i dibattiti d’architettura presenti sul sito di Exibart.
    Solo oggi, dunque, ho finalmente potuto navigare nuovamente nel sito e, non so ancora se con dispiacere o meno, ho avuto modo di leggere il patetico commento che un anonimo, arrogante e volgarissimo individuo ha scritto relativamente al mio intervento sull’Ara Pacis.
    L’indecisione sul mio reale stato d’animo è dovuta al fatto che probabilmente, più che arrabbiarmi con questo individuo (il quale non ha nemmeno il coraggio di firmarsi), devo probabilmente limitarmi a compatirlo: mi dice che «devo andarci piano», mi accusa di «non ricordare» o di «non aver studiato» le Origini e gli Intenti del Movimento Moderno.
    Ebbene, fermo restando che purtroppo anche io ho dovuto subire il tentativo di “lobotomizzazione” operato mediante il bombardamento monotematico modernista da parte dei docenti universitari, a differenza dell’individuo, il quale si è limitato ad accettare passivamente quanto inculcatogli “a bastonate” (per parafrasare Woody Allen di Radio Days), da parte dei suoi professori, io ho saputo – sin da quando ero studente e venivo aspramente criticato per questo – combattere per i miei ideali, che sono poi gli stessi di tutta quella massa di gente che prova disgusto per quasi tutto ciò che gli architetti, gli ingegneri e gli urbanisti hanno prodotto negli ultimi 70 anni.
    Il saccente individuo purtroppo non conosce la fondamentale differenza esistente tra “moderno” e “modernismo”, quest’ultimo infatti è un’aberrazione del moderno, ed è esattamente ciò che non ci piace!
    Nessuno ha pregiudizi verso il moderno, nessuno ha intenzione di operare uno squallido Post-modernismo (che da quanto detto tra le righe pare essere totalmente misconosciuto dall’individuo). Nessuno vuole cristallizzare il mondo e riportarlo ad un ipotetico 1600, l’unica cosa che è importante è riflettere sulla storia, tutta quella che i “suoi amici” hanno rinnegato, questo aiuterebbe anche a conoscere quella Storia che non è mai stata insegnata nelle università di architettura, ovvero quella dell’architettura del primo novecento caduta nell’oblio per colpa della damnatio memoriae sentenziata dalle follie futuriste, razionaliste, funzionaliste, ecc.
    A differenza della “divinizzazione” di tutti gli “ismi” del novecento operata nelle Università, oggi dovremmo imparare a leggere finalmente in maniera asettica e imparziale tutto quanto di buono e di cattivo è stato prodotto nel secolo passato.
    Il novecento ci ha insegnato che con l’arroganza e la parlantina dei critici si possono creare degli artisti, che i grandi nomi possono crearsi a tavolino se fa comodo a qualche politico (vedasi il caso Jean Nouvel). Il novecento ci ha insegnato altresì che gli architetti contemporanei amano auto-glorificarsi sulle riviste che scrivono per se stessi, o nei convegni per soli addetti ai lavori, noncuranti se poi all’esterno di questi spazi la gente vorrebbe ammazzarli.
    Non è un caso se Tom Wolfe, che è un “semplice” giornalista, ha scritto “Maledetti Architetti”, libro che dovrebbe essere usato come “vaccino anti-lobotomia” pre-universitario per i futuri studenti di architettura. Chiedo dunque all’individuo: Ma non le pare che sia veramente triste il punto a cui siamo arrivati per colpa delle idiozie moderniste? Se invece di dare retta a Gropius prima e al demiurgo locale che lei tanto ama e cita a sproposito (Zevi) che proponevano – nel solo interesse dell’edilizia e mai dell’architettura – di azzerare la storia, avessimo continuato a seguire la tradizione, così come tutta la storia ci aveva insegnato, non pensa che oggi probabilmente avremmo delle città più vivibili, più belle, più rispettose, in una parola, più MODERNE?
    Se lei non lo sa, negli anni in cui all’estero ed in Italia si operavano le peggiori nefandezze e si scrivevano le peggiori idiozie alla base del Modernismo, tipo l’8° punto del Manifesto Futurista di Sant’Elia in cui si diceva «da un’architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali dell’architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà. Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città; questo costante rinnovamento dell’ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del “Futurismo”, che già si afferma con le “Parole in libertà”, il “Dinamismo plastico”, la “Musica senza quadratura” e l’”Arte dei rumori”, e pel quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista» oppure nella “Ville Radieuse” di Le Corbusier dove si leggeva: «le città saranno parte della campagna; io devo vivere a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; anche la mia segretaria vivrà a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile. Dobbiamo usarla fino a stancarla, consumando strada, superfici e ingranaggi, consumando olio e benzina. Tutto ciò che serve per una grande mole di lavoro … sufficiente per tutti», ebbene, in quegli stessi anni, una schiera di architetti, boicottati dai cosiddetti benpensanti, specie stranieri, si batteva ancora per degli ideali tradizionali e, al contempo, ultramoderni, anch’essi ammettevano gli errori dell’800 ma, al contempo cercavano di evitare gli orrori del 900 appena iniziato. Uno tra tutti, che ho il piacere di farle conoscere, si chiamava Quadrio Pirani, egli sì che fu moderno.
    Operando nel settore delle case popolari di Roma, e contrario ad ogni “classismo proto-fascista” che lei rivendica nel suo testo, ebbe la capacità di porsi problemi non solo attuali, ma addirittura rivolti al futuro. Egli scriveva: «non solo la casa”bella all’esterno e pulita all’interno” contribuisce all’elevazione delle classi che la abitano, ma che un giusto impiego di materiali durevoli, quali i laterizi e le maioliche, porta ad una diminuzione nel tempo delle spese di manutenzione degli edifici soprattutto quando si tratti di edifici a più piani riuniti in un isolato o in un quartiere urbano ».
    A far da contro altare alle architetture portate avanti da personaggi come Pirani, Sabbatini, Magni, Giovannoni, Frigerio, ecc., sbeffeggiata da chi la definiva “creature del ridicolo”, c’erano i suoi “Dei”, quelli che proponevano l’architettura caduca, la sperimentazione ed ogni altra mostruosità, ovviamente da realizzarsi a carico dei cittadini visti come cavie … le loro case ed i loro studi, infatti, rimanevano in begli edifici storici!
    A conferma di quanto le dico, voglio ricordarle, se lo ha dimenticato, due dei suoi miti più recenti, citandole una vergognosa frase di Mario Fiorentino, emulo del suo maestro Mario Ridolfi, il quale col grande orgoglio auto-celebrativo tipico dei modernisti, disse del mostro che aveva concepito e realizzato: «ci sono due modi di fare architettura … o forse ce n’è solo uno … c’è quello semplice e pacato dell’utilizzazione degli schemi super testati che l’edilizia pubblica in Italia – e non considero solo quella romana – ha più o meno accettato. E poi c’è quello sperimentale, che è il metodo a cui l’esperienza di Corviale appartiene. Io ricorderò sempre come Ridolfi, che è stato il mio vero maestro, sempre mi diceva: “quando progetti per un cliente (e l’edilizia pubblica è un cliente come un qualsiasi altro privato), senza rivelarglielo tu devi sempre sperimentare” perché, in effetti, queste sono esattamente le opportunità nelle quali gli esperimenti possono essere fatti!»
    I danni sociali di Corviale fanno si che questa frase non meriti commenti!
    Ironia della sorte, le case realizzate da Pirani a San Saba ed al Testaccio, nate tra gli anni ’10 e ’20 come popolari, oggi sono tra le più ambite di Roma; Corviale, costruito tra il ’75 e l’82 è oggi oggetto di manifestazioni cittadine pro-demolizione e, insieme ad esso, la maggior parte degli edifici modernisti sono rifiutati dalla massa!
    Allora, ancora una volta, la invito a riflettere sul concetto di modernità e di modernismo e le rigiro la domanda che lei mi ha rivolto: “chi paga per i costi di manutenzione delle porcherie caduche che tanto la ammaliano?”. La risposta purtroppo è: non lei ma tutti noi!
    … Tutti noi siamo costretti a pagare delle tasse per la manutenzione di tanti edifici pubblici o privati (palazzine condominiali) che non ci piacciono: forse sarebbe più giusto tassare a vita i responsabili di tali brutture, sollevando da quest’incombenza la “povera ed ignorante” gente che non comprende, non conosce, o si rifiuta di capire le ragioni del modernismo!
    La verità che traspare dalle sue gratuite, volgari ed insensate accuse, tipiche dei modernisti ed alle quali il suo Dio Zevi ci aveva abituato, può riassumersi in questa massima di Viollet-Le Duc: «amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano con il disprezzo … ma sdegnare non significa provare!»

    Ettore Maria Mazzola

  9. “Quello che lascia perplessi, sono le dimensioni del nuovo intervento. Il nuovo edificio troppo alto? Chiude l’espansione dal lungotevere verso il mausoleo, che nato in rapporto con il fiume viene ora a trovarsi in una misera piazza urbana tutt’altro che romana…”
    Concordo con quanto espresso e aggiungo che non conosco a fondo il progetto di R. Meier (forse altre foto e documenti, aiuterebbero a visualizzare meglio l’interazione con quello spazio).
    Concordo con quanto detto dall’architetto, che la costruzione di un altro muraglione avrebbe un impatto gigante sull’area di Ripetta. Non so quale sia la situazione del traffico attuale in quell’area, ma sarebbe auspicabile, a mio avviso, mantenere quella continuità e rapporto con il Tevere e il porto di Ripetta.
    Un ripristino con un intervento aggressivo e una sostituzione radicale, certamente cambierebbe quelle caratteristiche peculiari di quella piazza e della così famosa ARA PACIS.

  10. Ettore Maria Mazzola, grazie di aver commentato il mio commento al tuo commento. anche io l’ho potuto leggere solo oggi, ritornando casualmente in questa pagina per un errore mio di navigazione. ho dovuto rileggere tutto, anche quello che avevo scritto io, dal momento che non mi ricordavo nemmeno più di cosa si stava parlando, essendo passato quasi un anno dal mio post.
    ma come sarebbe a dire “non so ancora se con dispiacere o meno”? io speravo ben che ti avesse fatto piacere sapere che mi sono messo a leggere il tuo lunghissimo pensiero fino alla fine e, non pago, io ti abbia risposto; e perdipiù cercando di eguagliarti in lungaggine.
    comunque, non capisco alcune cose (me le spieghi?):
    hai scrutto “ho avuto modo di leggere il patetico commento che un anonimo, arrogante e volgarissimo individuo ha scritto relativamente al mio intervento sull’Ara Pacis.”
    1: non capisco perchè mi hai chiamato anonimo, visto che il mio nick era appunto “che bravo”. è un nick come un’altro. se mi fossi firmato pippo o mefistofele sarebbe stato diverso? perchè ti soffermi sulla forma delle parole al punto da non riconoscere il posto che occupano? ti faccio un esempio. la parola “parolaccia” non è una parolaccia. la parola “stupido” non è di per se una parola stupida, e la parola “cacca” non puzza.

    2: arrogante io? che ho detto di male? ho detto qualcosa di male nei tuoi confronti?

    3: volgarissimo? ah, forse ti riferisci a una frase in cui ipotizzavo una terrificante situazione in cui, pur di restare incollati al progresso del passato – che in quel caso ormai non rappresenterebbe più un progresso ma piuttosto un retaggio – oggi le strade fossero intasate di cavalli che defecano in continuazione.
    aiuto, che volgarità, si salvi chi può. ho capito che con te non si può parlare, pena il rischio di essere chiamati volgari. anche in questo caso anneghi in un bicchier d’acqua: ti fermi alla forma delle parole e ti scappano le frasi. si può dire “ti scappano” o questo verbo sa già di cosa volgare? se invece per caso ti riferivi a qualcos’altro, beh: non ho capito cosa; e sfido chiunque a capirlo. comunque, adesso ti spiego una cosa banale: quando si accusa qualcuno esclusivamente per mezzo di un aggettivo, si deve spiegare esattamente in quali episodi precisi si è vista quella “volgarità”, “anonimità”, “arroganza”, ecc… primo, per poter sostenere il tuo pensiero con l’altra persona, e poi per permettere a chiunque sia in ascolto di capirlo.
    hai scritto: “L’indecisione sul mio reale stato d’animo è dovuta al fatto che probabilmente, più che arrabbiarmi con questo individuo (il quale non ha nemmeno il coraggio di firmarsi), devo probabilmente limitarmi a compatirlo: mi dice che «devo andarci piano», mi accusa di «non ricordare» o di «non aver studiato» le Origini e gli Intenti del Movimento Moderno.”
    ecco, bravo, sia lodato il tuo stato d’animo. e insisti con questa storia della firma come se fosse il nocciolo della questione. io sono molto iconoclasta e da sempre coi nomi preferisco giocarci a pallamano, specialmente i nomi lunghi e tripli, quindi fattelo bastare. inoltre guarda che ti ho lasciato la mia email, puoi anche scrivermi se ti va, anche se non lo farai mai, perchè al massimo “mi compatisci”. beh, grazie, non vorrei averti come nemico perchè ho forse saresti di una noia (e per di più altezzosa, tanto per renderla ancora più grande) mostruosa.
    certo, ti ho detto di andarci piano, ma non ti ho affatto accusato di non ricordare o di non aver studiato: se vai a leggere bene, ho chiesto se per caso ricordavi tali cose. e, per sgridarti – come dire che dovresti conoscere anime, protagonisti, progetti e realizzazioni del movimento moderno – ho aggiunto che dovresti averli studiati.

    allora, idealista anti-movimento moderno, educatone (che però non accetta di andarci piano) chi ti da il permesso di dichiarare “purtroppo ANCHE io ho dovuto subire il tentativo di “lobotomizzazione” operato mediante il bombardamento monotematico modernista da parte dei docenti universitari, a differenza dell’individuo, il quale si è limitato ad accettare passivamente quanto inculcatogli “a bastonate” (per parafrasare Woody Allen di Radio Days), da parte dei suoi professori, io ho saputo – sin da quando ero studente e venivo aspramente criticato per questo – combattere per i miei ideali, che sono poi gli stessi di tutta quella massa di gente che prova disgusto per quasi tutto ciò che gli architetti, gli ingegneri e gli urbanisti hanno prodotto negli ultimi 70 anni.”?????????????????

    dopo la tua citazione colta, dalla quale apprendo che poverino sei stato bombardato, sappi che io invece non sono affatto stato bombardato ma monotesi moderniste. anzi, ho avuto la fortuna di assistere alle lezioni di splendidi, preparatissimi ed estremamente cauti (ma non per questo poco appassionati o critici) insegnanti, come il prof. Olmo e il prof Demagistris. chi ti ha dato il permesso di dichiarare qualcosa sugli ambienti da me frequentati senza conoscerli? guarda che a me non hanno inculcato proprio niente, anzi quello che ho scritto nel post è in linea con la mia curiosità, passione e studio totalmente esterno all’ambiente universitario, che a parte gli esempi citati ho sempre odiato perchè troppo maledettamente accademica, amichevole e aperta a parole (ma a volte nemmeno in quelle), e troppo chiusa e impenetrabile nei fatti.
    ma per tornare ai fatti, sappi che negli ultimi 70 anni che tu regurgiti in blocco (meritandoti di vivere per sempre ibernato negli anni 30, che quindi per te sarebbero gli ultimi bei tempi in architettura), si sono susseguiti tanti e sempre più sofisticati (anche nelle correnti contrarie) pensieri architettonici protesi in avanti, e non uno è stato animato da pulsioni che non fossero positive, tecnicamente avanzate, psicologicamente favorevoli all’uomo, sostenibili e democratiche (tranne appunto il post-modernismo). certo, poi, la pratica delle costruzioni spesso ha distorto il messaggio, anzi, se ne è proprio fottuta del messaggio e si è limitata a far soldi dando in cambio tante schifezze, riciclando male le idee e le invenzioni, diffondendo ignoranza architettonica (e abitudine a un apratica urbanistica poco seria, frammentata, incoerente) e malessere nell’abitare, depredando l’apporto fantastico di tanti creativi e pensatori.. specialmente, in italia, per la fretta di costruire negli anni 60. ma anche i casi positivi sono tantissimi. purtroppo in italia il discorso rimane molto compromesso per tanti anni, e lo è ancora. su questo ti do prefettamente ragione.

    in generale, non capisco perchè te la prendi con me. in tutto il mio post, io ho esposto l’idea che bisogna andarci piano col condannare il movimento moderno, perchè, nei suoi presupposti, esso è fondamentale e non dovrebbe fermarsi mai, e per fortuna non si fermerà mai, in barba a te. il post moderno io lo conosco benissimo, e lo disprezzo perchè è un pensiero reazionario all’idea del moderno, e infatti salta fuori in un periodo di crisi nei valori del moderno, e ha contagiato molta architettura privata e pubblica per un infausto decennio (da noi continua ancora tranquillamente), è inconsistente e la sua anima è capricciosa, spesso infantile, e ultimamente invece di spegnersi ha intaccato perfino il disegno industriale dei prodotti di consumo più beceri, e anche il disegno dell’automobile ha spesso fasi postmoderne, stupide, capricciose, sconclusionate, il più possibile modaiole).
    i “miei amici” chi sarebbero? ma di quali amici parli? cosa vuoi sapere? o melgio, cosa credi di sapere sul mio conto? lasciami in pace.

    specialmente considerando le cose mostruose che poi dici, peggiorando sempre di più:
    tu condanni tutto, condanni il funzionalismo – ma ti rendi conto che condannare in blocco il funzionalismo porta direttamente all’opposto e cioè al fottersene della funzionalità? se le cose non sono funzionali (già spesso non è che lo siano tantissimo), se non si fa il possibile nella direzine della funzionalità, di cui il funzionalismo è manifesto, è un caos, è la fine; tu condanni senza appello le corbusier, dall’idiota a tutti, a creativi che hanno speso la vita per salvare l’umanità dalla concentrazione, dalla mancanza di infrastrutture e strutture per abitare, tu fucili chi ha speso la vita per darci buone architetture, per fornire l’umanità di urbanistica appropriata ai bisogni, in mezzo a due guerre mondiali, in mezzo alle forze contrarie del nazismo, del provincialismo, di un tradizionalismo mascherato e inadeguato, del fancazzismo recente… condanni anche gropius, padre del disegno industriale, dai del folle a tutti!! il folle sei tu. gropius non voleva distruggere niente, proponeva, da quel punto in avanti, di avvalersi solo di conoscenze recenti e adeguate ai problemi che si affacciavano, perchè sosteneva che in tali situazioni di emergenza e contemporaneamente di avanzamento tecnico, bisognava guardare il presente e avanti, per costruire, perchè studiare il colosseo non era di nessuna utilità (i materiali erano diversi, il bisogno della sua sezione aurea era ormai arbitrario e ormai abbandonato da secoli, la destinazione d’uso era totalelmente diversa e non sarebbe più ritornata come quella)…. cose condivisibilissime, anzi nessuno oggi si sognerebbe di contestarle frontalmente; certo, si può discutere sul fatto che magari studiare un tempio romano sia utile nel progettare un aeroporto o un condominio stretto e alto 10 piani (secondo me, proprio poco). ma non puoi scagliarti contro l’intera spinta del movimento moderno, che è una motivazione universale, senza forma di per sè, è pura volontà di conoscenza e di costruzione con i migliori ideali immaginabili.

    dire che Zevi si è battuto per l’interesse dell’edilizia e mai dell’architettura è una scemenza che non ha senso nemmeno commentare. zevi ha avrebbe dato la vita pur di continuare a studiare, divulgare, organizzare gli scritti e le idee, e perfino precedere il pensiero architettonico e urbanistico. e come se non bastasse, lo ha fatto in modo molto critico e con infinita partecipazione. al punto che ha creato un pensiero di Zevi, un approccio, mosso da ideali e intelligenza che si ritrovano in totto ciò che è valso, dai pionieri anonimi dell’antichità e gli apporti di un pensiero già razionale, sia pur quasi inconscio, diffuso in quelle epoche, poi con brunelleschi, a michelangelo, a morris, a gaudì, a mendelsohn-wright, a gehry e a tuo nonno. quello che tu vedi come uno stacco avulso da tutto in realtà è stata solo una formidabile accelerazione, che negli anni 20 e 30 e poi negli anni 60 e oltre, postmodern permettendo, e poi ora, dagli anni 90, con gli architetti olandesi, tedeschi, (inglesi per l’hi-tech) giapponesi, con frange mai rimaste indietro della scuola californiana, e molti altri apporti frutto non solo di progettazione ma anche di ideazione al computer, e di filosofie moderne sulla complessità, hanno avuto massimo slancio. se tu sei superiore a tutto questo, allora costruisci qualcosa, poi lo valutiamo. invece di fare il profeta della marcia indietro a tutti i costi. dimostra coi fatti quello che dici. mettiti in azione. il più lontano possibile. io non ce l’avevo con te, ma tu mi hai attaccato ogni due righe dall’alto della tua nostalgia, e hai sparato merda su tutto e tutti nell’arco di quasi un secolo, e che cazzo… i nazisti hanno cacciato, imprigionato e a volte perfino ucciso giovani architetti moderni, pittori moderni, scrittori moderni, dicevano le stesse cose che hai detto tu.

    non distingui le correnti architettoniche da correnti artistiche generiche. il futurismo non è mai stato architettura, e il massimo punto in cui si era avvicinato all’architettura è stato appunto coi disegni visionari e magnifici di sant’elia. il futurismo era ed è uno slancio dell’anima, e infatti le realizzazioni futuristiche si sono avute nella poesia, nel disegno, nella scultura, ma mai direttamente nell’architettura e tantomeno nell’urbanistica. il futurismo è uno steminato e meraviglioso campo aperto ma per certi aspetti decisamente utopico, almeno in questa realtà di oggi. e poi, dico, non sei nemmno in grado di apprezzare non dico le opere concrete, me neppure la passione che le anima.
    e comunque selezionare e poi prendere alla lettera quello che ti fa comodo al fine del tuo discorso, e cioè un tratto delle aspirazioni utopiche-poetiche dei futuristi, come se rispecchiassero il movimento moderno in architettura e urbanistica è spregevole. nessun grande architetto moderno ha mai pensato di creare edifici che si distruggessero da soli in poco tempo. stai travisando un sacco di cose. e comunque, persino nell’utopia più sfrenata e provocatoria dei futuristi, è evidente un grande entusiasmo nel rimodellare frequentemente la materia e il mondo che ci circonda. se non cogli nemmeno questo, non so cosa dirti.

    e continua a inventarsi delle cose: “….contrario ad ogni “classismo proto-fascista” che lei rivendica nel suo testo”
    COSA? io rivendico cosa? ma stai scherzando? dove e quando io avrei fatto rivendicato qualcosa del genere? e non ho mai nemmeno parlato di nulla di simile. ti sfido a indicare un passaggio in cui io avrei anche solo lontanamente accennato a questa tua invenzione.


    bene, rispettiamo quindi l’architetto Quadrio Pirani per le cose sacrosante che ha espresso (anche se scontatissime. non vorrei che questo fosse tutto il suo pensiero architettonico). ci mancherebbe. oggi, specialmente, sarebbe utile, visto che ultimamente i condomini sono costruiti alla cazzo di cane e la qualità di materiali e manodopera è molto scaduta.
    come ti permetti di appiopparmi perfino degli “dei”? che ne sai che io abbia degli dei? che ne sai? io non ho mai parlato di dei, ma di creativi illumintati si. illumintati rispetto alla lora epoca, ovviamente. poi, ci sono stati nuovi progressi.
    e chi ha lodato la caducità degli edifici? io, forse? lo hai fatto tu, tirando fuori i futuristi. mi hai messo non so più quante parole in bocca che io non mi sono sognato di dire nè di pensare. sei prorpio un attaccabrighe. briccone!

    un altro esempio: “voglio ricordarle, se lo ha dimenticato, due dei suoi miti più recenti, citandole una vergognosa frase di Mario Fiorentino, emulo del suo maestro Mario Ridolfi….” ma chi cazzo ha mai parlato di mario fiorentino? come fai a dire che è uno dei miei miti? hai finito? riguardo al corviale, non lo ho mai visto. però mi piacerebbe molto visitarlo, per vedere se i problemi di cui si parla sono causati da un’architettura “troppo moderna” o in che senso “troppo moderna”, oppure se dal fatto che ci stiano, altre a persone civilissime e oneste, anche diversi vandali, e dal fatto che molte persone lasciano in giro siringhe e fanno disordine, perchè se dipende dalle persone è un’altro discorso. per esempio, se i cancelli si lasciano aperti di notte a chiunque, c’è poco da lamentarsi. da qualche parte arriveranno, no? e se ci abitano, vuol dire che il germe è già dentro. non credo che l’edificio generi da solo siringhe o rompa i vetri o picchi la gente o svuoti gli appartamenti. certo, un’ambiente può favorire o meno azione di certe persone, e in quel caso è una cattiva architettura. ma io conosco architetture simili, in cui la gente è educatissima. non in italia, comunque.
    ma in ogni caso io non ho mai difeso il corviale, perchè non lo conosco neppure. quindi, togliti dalla testa quest’idea.

    la massa rifiuta il moderno? ma cosa dici? la massa rifiuta la cattiva architettura. evidentemente il corviale è cattiva architettura. dire che è moderno, è da vedere, perchè se non contiene i presupposti validissimi dell’architettura moderna, (per i quali puoi leggerti, se non ti piacciono le 7 invariabili del codice moderno, altri scritti autorevoli e riconosciuti, che abbondano), si tratta solo di architettura supereconomica o architettura disumana o quello che vuoi, ma non moderna. non basta essere privo di fronzoli per essere moderni. è già un primo passo, ma non implica modernità.

    e poi, che vai farneticando? i costi delle porcherie caduche dovrei pagarli io? ma se io ho sempre lottato perchè le cose si facciano al massimo della qualità e della durata!!!TU CONFONDI ARCHITETTURA MODERNA CON ECONOMIA A TUTTI I COSTI O TRUFFA EDILIZIA, SEI FUORI! da quando sono nato ho sempre odiato le cose fatte male, che ti si spaccano in male, e necessitano in continuazione di manutenzione straordinaria per non crollare. questo altro pensiero che mi butti addosso non mi appartiene proprio. sei invadente e il vero presuntuoso sei tu, che pretendi di parlare 2 volte: per te e per me. ma adesso ti ho risposto e sono soddisfatto. anzi, sono esausto. ciao!

    FIRMATO: “CHE BRAVO”

    PS: dove la vedi l’architettura moderna in italia? io vedo solo vomitevoli condomini postmoderni e villette a schiera da pacolino, centri commerciali nauseanti e pacchiani a più non posso, finti lampioni tipo vecchia londra e giardini coi nanetti. questa è l’italia oggi. stai tranquillo, non c’è pericolo che diventi troppo moderna. semmai ancora più postmoderna, più stupida e finta, le case col naso e le orecchie e il cappello. “a misura d’uomo”, così siamo tutti più felici e rassicurati, come a disneyland. no, perchè la direzione oggi, qui, è quella.

  11. Architettura? Prima regola: imparare il rispetto per gli altri.

    Caro il signor “che bravo di Torino”
    Questa storia inizia davvero a disgustarmi, non so per quale assurdo motivo lei abbia preso in maniera così personale questa faccenda, in ogni modo risulta quanto mai puerile il suo atteggiamento.
    Pur ritenendo assurda questa corrispondenza epistolare su di un pubblico sito web, non posso esimermi dal risponderle perché chi non è a conoscenza possa avere le idee chiare sul perché di questa mia comunicazione.
    Le rammento che tutto è nato da una mia lettera di denuncia relativa al problema dell’Ara Pacis a Roma; questa lettera era stata inviata ad Exibart perché nessuno, fino a quel momento, ci aveva concesso alcuno spazio per cercare di difendere il centro storico di Roma da un progetto inutile, insensato e decontestualizzato. Diversamente Exibart, dietro mia richiesta, diede la possibilità di avere un referendum on-line, i cui risultati la dicono lunga sull’opinione pubblica.
    Il Comune di Roma, a più riprese, ci ha fatto sapere di non avere nessuna intenzione di concederci l’autorizzazione ad esporre una serie di progetti redatti, in epoche non sospette, da grandi architetti quali Colin Rowe, Leon Krier, Maurice Culot, Liam O’Connor, Michael Lykoudis ed altri, nonché dei contro-progetti elaborati dagli studenti della University of Notre Dame in risposta all’arrogante progetto affidato a Meier senza alcun concorso e senza alcun coinvolgimento dei cittadini.
    Questo atteggiamento dittatoriale dell’amministrazione comunale ha suscitato una sorta di rivoluzione popolare in città. Italia Nostra si è schierata al fianco di un comitato di quartiere del quale fanno parte persone di ogni estrazione sociale e culturale (inclusi molti architetti ed ingegneri), tutti indignati dall’orrore del progetto (“clone” di un altro edificio costruito da Meier a Barcellona) e dalla procedura scandalosa che lo ha generato.
    La Sovrintendenza, opportunamente plagiata da chi ha interesse in questa sporca faccenda, non si è nemmeno presa la briga di rispondere ai nostri appelli, nel frattempo la Corte dei Conti ha scoperto una falla economica di svariati miliardi di vecchie lire generati dalla allegra gestione del progetto: mentre un comune mortale deve seguire una lunga pratica burocratica, al signor Meier è stato concesso di eseguire un progetto senza avere il titolo per esercitare in Italia (senza sostenere gli eventuali esami necessari ad equiparare il suo titolo di studi nel nostro Paese, due anni dopo aver presentato il progetto, e quando già il cantiere si stava avviando, l’Universita di Napoli gli è ha “concesso” l’abilitazione ad esercitare in Italia … il giorno dell’esame, il presidente della commissione esaminatrice l’ha pure introdotto agli altri esaminandi come una povera vittima della stupida burocrazia italiana). Questo comunque non è nulla se viene rapportato a ciò che è stato fatto in corso d’opera: nessuna indagine preliminare era stata fatta per le strutture di fondazione; dunque, in corso d’opera, si è stati costretti a modificare la fondazione con dei “meravigliosi” pali e zatterone sovrastanti le strutture del Porto di Ripetta e dei reperti archeologici ivi presenti facendo levitare i prezzi in maniera esponenziale: in una conferenza presso l’Accademia Americana il collaboratore neozelandese di Meier ebbe a dire “nessuno ci ha mai detto che esistesse un Porto in quella zona” (sic). La ciliegina sulla torta l’ha messa il soprintendente La Rocca il quale, sul Giornale dell’Architettura, ha bellamente affermato che sarebbe stato assurdo chiedere a Meier di modificare il progetto per accontentare i contestatori, né che fosse necessario imporre all’architetto di seguire tutta la prassi burocratica comune … Genio Civile incluso, poiché il nome Meier è (per il Sovrintendente) garanzia di qualità. Questo equivale a dire che in Italia la Legge è uguale per tutti … ma per alcuni è più uguale!
    Tutto questo è avvenuto con i nostri soldi … inclusi i suoi che se la prende tanto!
    In fondo, come si dice, paga sempre Pantalone!
    Spero che questa spiegazione le basti a comprendere il risentimento mio personale e quello dell’intera cittadinanza romana nei confronti del progetto modernista di Meier.
    Spero anche che la “storiella” del Porto di Ripetta la aiuti a riflettere sull’importanza dello studio della Storia prima di bestemmiare dicendo che “studiare il Colosseo non è di nessuna utilità”!
    Veniamo dunque a noi. Si altera perché la considero anonimo? Bene, penso proprio che nascondersi dietro in nickname sia davvero puerile, a meno che non ci sia dell’altro sotto.
    Visto che è tanto fiero delle sue idee, perché non ha il coraggio di firmarsi con il suo nome e cognome e magari domicilio? Ha paura che qualcuno la scopra? A paura che qualcuno possa deriderla sapendo il suo punto di vista? Personalmente, tra l’altro, non credo minimamente che lei sia di Torino, così come non credo che lei si sia accorto accidentalmente della mia replica alla sua precedente lettera visto che era stata seguita da altri interventi.
    Ha preso in modo personale una faccenda che, almeno apparentemente, non la riguarda, così ha deciso di offendermi e, conseguentemente, ha anche offeso questo encomiabile sito web con parole volgari e paragoni sconclusionati che denotano una profonda ignoranza sia della materia che del modo di rapportarsi con le persone. Infine ha avuto il coraggio di rivoltare la frittata e accusandomi di averla offesa.
    Fortunatamente tutti i testi sono lì, on-line, e, come si dice, scripta manent!
    Paradossalmente chiede a me di “lasciarla in pace”: cos’è, soffre di manie di persecuzione oppure ha qualcosa di personale in questa vergognosa storia? A me non interessa nulla di lei, e non mi tange minimamente l’idea di doverla attaccare personalmente come lei ha fatto con me. Mi sono limitato a risponderle a tono alla sua squallida e vergognosa lettera personale.
    Non comprendo come mai non si sia adirato allo stesso modo con un altro lettore indignato dalla sua lettera (tale Paolo Vecchio): come mai non ha replicato a quel signore? Credo di saperlo!
    Si è anche risentito del fatto che la ho definita “volgare”.
    Voglio sorvolare sull’uso improprio del “tu” nei confronti di una persona che, apparentemente, non si conosce, tuttavia non posso esimermi dal chiederle come possa definirsi un individuo che, su di un sito d’arte di dominio pubblico, si esprime con frasi come: “far cagare i cavalli”, “fancazzismo”, “hai sparato merda su tutto e tutti”, “e che cazzo”, ecc.
    Devo in ogni modo rallegrarmi del fatto che si sia ricreduto sul mio conto: nel messaggio precedente mi accusava di voler cristallizzare il mondo in un presunto 1600, oggi leggo che merito “di vivere per sempre ibernato negli anni 30” … un bel passo avanti, no?
    Spero che prima o poi possa leggersi attentamente le mie parole e possa rendersi conto che non ho alcun interesse a fermare il tempo, penso però che sia assolutamente importante ricominciare a pensare all’Architettura, e soprattutto all’Urbanistica, ripartendo dal momento in cui, in nome della speculazione mascherata dall’idea distorta di modernità (Modernismo), si sono dimenticate le esigenze della gente comune e si è focalizzata l’attenzione sull’ego dell’architetto e sul portafogli del costruttore … un’attenta lettura della storia dell’ICP la aiuterebbe molto in questa ricerca.
    Invece di intimidirsi davanti a stupidi concetti di “Stile” e di “Falso Storico”, personalmente penso che tutti gli architetti, prima di intraprendere dei progetti farebbero bene a studiare la Sociologia Urbana. Le mostruosità urbanistiche ed architettoniche concepite negli ultimi 70 anni infatti, oltre che far felici i costruttori ed alcuni architetti ed ingegneri compiacenti, hanno rimpinguato le tasce di molti psicoanalisti. Non c’è da rallegrarsi di questo!
    Il problema di fondo del Modernismo, se le risulta proprio difficile comprenderlo, è stato quello di “fregarsene” delle esigenze della gente, i teorici del Modernismo si sono arrogati il diritto di decidere quali fossero le esigenze umane, hanno preteso di poter decidere per tutti ciò che era giusto, il risultato di tutto ciò è stato il rifiuto delle loro “architetture” da parte della gente comune la quale è stata costretta a vivere in luoghi che non le appartengono. L’altra faccia della medaglia ci mostra però che, la quasi totalità degli autori di queste nefandezze, ha la sua casa o il suo ufficio negli edifici più belli del centro storico delle città, perfino la Fondazione Terragni di Como ha sede in un edifico antico … non le sembra un atteggiamento contraddittorio? Non le sembra che questa gente sia Modernista per comodità? Io penso che gli architetti debbano usare anche l’orecchio ed ascoltare ciò che la gente vuole.
    Nella Repubblica Romana 3.1 di Varrone, a proposito del rapporto tra città e campagna, si legge: «La Divina Natura ci diede la campagna, l’abilità umana costruì le città». Nelle parole dello scrittore latino si leggeva un grande senso di orgoglio e di apprezzamento per ciò che gli architetti e i costruttori erano stati in grado di realizzare a quell’epoca … cosa potremmo dire noi dell’operato degli architetti e dei costruttori che nell’arco di poco più di mezzo secolo hanno edificato dieci volte di più di quanto non si era fatto in tremila anni? È molto triste dover ammettere la sconfitta degli ultimi decenni, ma solo accettando l’idea del fallimento sarà possibile risollevare le sorti della regina delle arti: finché si avrà la presunzione dell’infallibilità nulla potrà cambiare!
    Il disprezzo dei modernisti nei confronti di chi cerca di lavorare in continuità con l’architettura e l’urbanistica del del passato è immediatamente comprensibile se si analizza il comportamento dei leaders politici o dei “santoni” delle sette misteriche: è un’abitudine dei “corpi” ripudiare le proprie origini e sostenere di derivare i propri titoli da se stessi.
    Questo è stato il grande errore, ed il grande inganno, di chi ha deciso che bisognava azzerare la storia!
    Nel suo testo, con la “eleganza” che la contraddistingue, mi accusa di “fottermene della funzionalità”. Ebbene io sono profondamente convinto che essa sia importante, tuttavia occorre fare un distinguo tra ciò che risulta funzionale e ciò che invece è semplicemente funzionalista intendendo con questa accezione la visione distorta della funzionalità. Le forme architettoniche sono sempre state relazionate alle richieste del tempo, l’esigenza di costruirsi un riparo per isolarsi dal caldo e proteggersi dal freddo è la stessa che l’essere umano ha sempre avuto. Tuttavia oggi, a causa delle “moderne” pareti leggere, sentiamo ancor di più l’esigenza di costruire in maniera saggia come la tradizione ci ha insegnato: l’aver creduto infatti di poter manipolare oltremodo la natura, l’aver creduto che gli impianti di raffreddamento e di riscaldamento potessero essere utilizzati scriteriatamente per supplire alla mancanza di funzionalità delle cosiddette Architetture Funzionaliste, ci ha portato a dover riflettere sulla necessità di ridurre le emissioni gassose che stanno compromettendo il nostro pianeta, (ovviamente quei Paesi che sono i maggiori responsabili di questi problemi, con il loro abuso di aria condizionata; quei Paesi che vogliono “colonizzare artisticamente” il Vecchio Continente con le loro orribili Architetture che tanto affascinano i modernisti, si sono rifiutati di sottoscrivere il trattato di Kyoto che imporrebbe loro di rivedere il modo di produrre e costruire).
    Perché si possa obiettivamente raggiungere un’Architettura che sia nostra, sarà necessario studiare a fondo, e non solo in maniera retorica come spesso si fa, l’Architettura del passato, è necessario raccogliere tutta la documentazione possibile, per conoscere quanto è stato fatto dai nostri predecessori, e approfittare dell’esperienza acquisita. Non ha alcun senso passare del tempo a ricercare la soluzione a dei problemi già risolti, bisognerà limitarsi a partire dal livello raggiunto!
    Nel suo testo in cui spara a 360° su tutto ciò che crede sia alla base del mio pensiero arriva ad credere che io possa essere un Post-Modernista. Bene, io fondamentalmente ripudio ogni “ismo” e, come tale, anche l’opera Post-Moderna, soprattutto perché essa, con l’uso gratuito di segni del passato, ha generato le ragioni delle accuse nei confronti di chi, come me, cerca di lavorare in continuità col passato fondando la sua opera sulla ricerca e non sul “gesto”. Chi a priori pensa di essere il demiurgo che ha la medicina per salvare il mondo, e questo e ciò che i fondatori e gli aderenti agli “ismi” hanno fatto, non fa altro che far derivare i propri titoli da se stesso, e questo è ciò che non si deve fare, noi abbiamo il dovere morale di rispettare le persone e non di violentarle!
    L’effetto Disneyland che lei descrive non è certo ciò che mi auguro per il futuro, anzi esso lo considero solo l’effetto deleterio di una società che ha fallito e che bada all’apparenza e non alla sostanza.
    Certo di averle chiarito ciò che penso, la invito dunque a moderare i suoi termini. Non la biasimo più di tanto poiché resto convinto che anche lei sia una vittima di insegnamenti sbagliati che ha accettato passivamente.
    Impari a rispettare le persone, è un primo passo per imparare a produrre architetture rispettose della gente che dovrà abitarle o passargli di fronte.
    concludo menzionandole una frase del compianto architetto tradizionale egiziano Hassan Fathy: «io dico che la bella Architettura è un atto di civiltà verso chi entra nell’edificio; si inchina a voi ad ogni angolo, come in un minuetto … ogni costruzione brutta o insensata è un insulto a chi le passa di fronte. Ogni edificio dovrebbe rappresentare un ornamento e un contributo alla propria cultura. Avendo deciso di abbandonare il passato, in quanto irrilevante, sono andati perduti o distrutti elementi di valore incalcolabile. La conoscenza rivelata del saggio è ora sostituita dalla scienza analitica moderna, e la macchina ha rimpiazzato l’abilità della mano artigiana».

    Ettore Maria Mazzola

  12. Cari Colleghi,ho riletto tutta la discussione fino ad ora prodotta e credo che in ambedue gli interventi prevalga il bello dell’architettura come concetto generale. Il fatto è che di architettura non c’è ne. E’ assurdo mettere l’architettura moderna del Maier sull’ara Pacis come è altrettanto assurdo fare la pensilina di Isozaki a Firenze. Nelle città (metropolitane) sta avvenendo un processo di saturazione che sta portando le città a livelli entropici mai vissute prima. La mancanza di idee sulla città produce solo omologazioni di manufatti che se pur hanno bisogno della tecnologia moderna non riesco a produrre la vita. Essa oggi si svolge nei supermercati e negli iper-magazzini.Tutto il resto è solo autostrada. Cordiali Saluti

  13. gentilissimo Augusto,
    ho apprezzato molto il tuo intervento, soprattutto il riferimento all’obbrobrio di Isozaki.
    La nostra classe politica, di qualunque colore essa sia, pensa troppo a farsi propaganda, si crede che mettendo un nuovo oggetto architettonico si possa migliorare la vita delle città … purtroppo questa idiozia non viene dall’interno della classe politica ma dall’interno delle università.
    Credo sia necessario iniziare a rivedere il modo di insegnare architettura, partendo dalla impossibilità di scindere l’architettura dall’urbanistica. Finche si continuerà ad insegnare ai futuri architetti che scopiazzare le riviste di architettura è il giusto modo di produrre modernità continueremo la marcia verso un punto di non ritorno, finché ci si fossilizzerà in modo fondamentalista sulle teorie del modernismo non ci sarà spazio per la qualità della vita. Leon Krier, al discorso per la premiazione del Dreiehaus Prize ha acutamente osservato :”il Modernismo è l’unico movimento che si rifiuta di imparare dagli errori commessi!”
    Invito tutti ad unirci per combattere per questi ideali, non in nome di un gratuito post-modernismo ma in nome della nostra grande tradizione. La recente istituzione della commissione per l’architettura moderna, che dovrà decidere sui bandi di concorso per i nuovi interventi di architettura in Italia sta mettendo in serio pericolo le nostre città, mentre nel resto del mondo si inizia a fare autocritica con la nascita di movimenti quali il “New Urbanism”, noi, che deteniamo la maggior parte del patrimonio architettonico ed artistico mondiale, ci avviciniamo ad un appiattimento internazional-modernista. Chi ci guadagna da tutto ciò: LA LOBBY DELL’EDILIZIA!
    Ettore Maria Mazzola

  14. caro Ettore Maria Mazzola, il mio nome, visto che continui a pretenderlo come se fosse il nocciolo della questione, è Alberto Caprioglio, e sono proprio di torino, e la mia email ce l’hai già. adesso dimmi che differenza ci sarebbe se mi chiamassi Paperino e vivessi a parigi. nessuna. non fossilizzarti su questo.
    piuttosto, quando leggevi quello che ti avevo scritto, eri davvero interessato a cercare di capire il mio (che non è solo mio, ma lasciamo stare, non mi interessa far parte di alcunchè) punto di vista o no? io non ho fatto altro che dire – e lo ridico – che non ha senso prendersela con tutta l’architettura moderna (anzi, più precisamente con ciò che storicamente è considerato movimento moderno in architettura, insomma le famose avanguardie) in quanto tale. pur essendo consapevole, rispondendoti, di dire cose banali, le ho dette, perchè tu contestavi perfino quello. punto. dimmi cosa dovrebbe esserci di folle in questo. anzi, non dirlo, nessun hardisk sarebbe abbastanza capiente. pensa che ho dovuto comprare una nuova scheda grafica e collegare 10 monitor uno sopra l’altro per riuscire a leggere la tua lettera fino alla fine senza diventare epilettico o invecchiare. già mi sono scusato per essermi dilungato troppo nella mia lettera, in risposta alla tua, a sua volta infinita: la prossima volta puoi essere più sintetico?

    comunque, finalmente hai detto quello che avrei voluto sentire da subito (e mi riferisco ormai all’anno scorso!!!!!). finalmente; dopo le divagazioni sui principi, da cui non avevo capito altro se non che, a sentire te, il progetto di meier sarebbe stato negativo semplicemente in quanto moderno. se mi sbagliavo, beh, tu, continuando a denigrare in massa futuristi, lecorbusier, loos ecc, me ne offrivi l’occasione perfetta. ma dimentichiamoci gli equivoci. adesso, dopo tutto questo tempo, racconti dei dettagli importanti, come il marciume burocratico che affiora, i truschini, la superficialità nella stesura del progetto, le irregolarità che hai denunciato ecc. ma se queste cose le dicevi prima, io ti davo ragione da subito su quasi tutto. ti sei deciso a parlare in modo preciso del progetto in questione purtroppo dopo esserti reso da solo passibile di pregiudizio, sparando a zero sulle avanguardie storiche senza appello. permetterai che qualcuno ti faccia un appunto, no? volevo solo chiarire il motivo del mio disaccordo. tutto qua.
    non ho preso in modo personale la discussione, anzi mi sembra che tu la abbia presa in modo personale, canzonandomi e attribuendomi parole che non ho detto. io ho citato in modo preciso quelle tue frasi che non condividevo e ho spiegato ogni volta il motivo. se ci siamo capiti, non stare a replicare un’altra volta, non ce n’è più bisogno.
    mi sono sbagliato su alcune cose: alla luce delle ultime cose che leggo, non credo più che tu sia totalmente antimoderno, ma piuttosto molto preoccupato da alcuni, forse tipici errori e involuzioni di ciò che dovrebbe, potrebbe essere felicemente moderno. ok. lo sono anch’io. e anche di questo progetto di meier. fai benissimo. ho infatti espresso delusione per la scelta dell’architetto in questo… chiamiamolo concorso, e dubbi riguardo al progetto stesso già solo vedendolo da lontano.

    in particolare mi fa rabbia questo atteggiamento, da te denunciato, di ossequio nei confronti dell’architetto meier, come per far sembrare, ad occhi stranieri, che in italia le cose filino liscio come l’olio, e che la burocrazia sia efficiente e sana, salvo però rendere la vita impossibile a qualunque altro architetto italiano al suo posto.
    solo su un fatto non sono del tutto d’accordo: sinceramente, obbligare gli architetti stranieri, che magari lavorano da molti decenni, a iscriversi all’università o comunque sedersi ai banchi per semestri o anni o dare degli esami solo per il fatto che la nostra università è diversa da tutte le altre del mondo, ogni volta che un’architetto straniero (caso rarissimo, comunque, e chissà perchè….) vince un concorso in italia o più semplicemente deve costruire qualcosa nel nostro paese, è…. giudicatelo voi. poi lo credo che l’italia è esclusa da tutto, dall’innovazione architettonica, dalle riviste di architettura, dai critici, da tutti gli altri.

    semplicemente penso che oggi, con l’egocentrismo di molti architetti, che si manifesta con l’attaccamento morboso e stupido ad alcune forme riconoscibili da tutti in una frazione secondo e la ripetizione continuata delle stesse (pensare a mario botta che vede sempre solo cerchi è talmente automatico che la frase si giustifica da sola), non trovano giustificazione (a parte un eventuale demente attaccamento che saprebbe perfino di superstizione), che in un modo incriticabile eppure perfetto di:
    1
    aggirare la presunta e auspicata anonimità del progetto in fase di concorso, come se non ci fossero altri modi per farlo e ammesso che seriamente sia richiesta questa segretezza. non so molto di burocrazia e concorsi pubblici.
    2
    essere facilmente fatta ingoiare (l’architettura) dai cittadini. basta citare il nome famoso per far battere le mani. “vi abbiamo portato il famoso architetto…!” (e ciò denota nessun rispetto per l’intellgenza dei cittadini, a torto o a ragione, e non è una cosa bella).
    3
    fare da richiamo per turisti superficiali che sospirano “oooohhhhh” e rimangono a bocca spalancata. essere facilmente pubblicizzabile sempre citando il nome dell’architetto.

    concludo in negativo…
    …dicendo che la scelta di meier, proprio in quanto architetto che fa sempre le cose “alla meier”, e conoscendole (non perchè siano negative, ma perchè sappiamo che in questo caso non vanno bene) è pessima per il concorso in questione. e il suo progetto lo trovo discutibile, e anche ingiustificato.
    …dicendo che se quello che dici è vero (e non ho dubbio di crederlo), i burocrati italiani hanno fatto davvero una porcata come al solito
    … e naturalmente con te:
    non mi dispiace di essere chiamato volgare da te per il fatto di aver detto la parola “culo” o “cazzo”, perchè mi piace chiamare le cose col loro nome, anche se adesso non ricordo la frase esatta.
    inoltre, i funzionalisti, al contrario di quello che hai dichiarato, non si sognavano nemmeno di distorcere il concetto di funzione. che motivo avevano di farlo? loro hanno dato delle risposte, che parevano sensate. e di solito erano sensate, otlre che ambiziose e coraggiose. anzi hanno avuto proprio il merito (e non il demerito) di non essersi fatti sedurre da uno stanco e inadeguatissimo tradizionalismo ideologico e impaurito di massa che, dal basso poteva trascinare a fondo l’architettura facendo fallire la sua missione di dare una casa minima ma vivibile a milioni di emigranti, da campagna a città, da stato a stato, da regione a regione, di costruire, ricostruire dopo le devastazioni ecc.
    i teorici del movimento moderno, non si sono arrogati il diritto di decidere quali fossero i bisogni dell’umanità, e tanto meno se ne sono fregati, ma li hanno studiati, hanno proposto delle soluzioni io credo in buona fede, e i politici li hanno accettati. gli unici che hanno dichiarato guerra alle avanguardie erano i regimi di hitler, che voleva tutto cristallizzato nella perfezione classica, e di stalin, che ha elevato delle spaventose caserme di granito ad altezze chilometriche che schiacciavano tutto. affossare architetture semplicemente recenti e non confacenti esattamente agli obiettivi del movimento moderno (anche perchè ben più recenti) solo per arrivare condannare tutto il movimento moderno, è sleale. lo so benissimo che sono state fatte tante porcate, ma DI SOLITOi maestri hanno fatto buone architetture e ragionevoli impianti urbanistici, specialmente coi tempi che correvano.
    le invivibili periferie, i casermoni angusti, bui, incrostati e pieni di tendoni o mutande appese della periferia romana, torinese o milanese o che so io, le altalene in rettangolini di terra senza erba su cui defecano solo cani, non le hanno fatte lecorbusier, loos, wright o barragan. le hanno fatte dei nessuno, in fretta, in modo irresponsabile e anche un po stronzo. finisco con questa parola solo per simpatia.
    bacioni!

    anzi, no, cito ancora due tue frasi: “Le forme architettoniche sono sempre state relazionate alle richieste del tempo”. mica vero. mica sempre. l’uomo ha prodotto delle mostruosità anche nel passato. ok, ok, fai finta che non lo abbia detto, altrimenti mi toccherà leggere altre tue decine di pagine…
    “L’esigenza di costruirsi un riparo per isolarsi dal caldo e proteggersi dal freddo è la stessa che l’essere umano ha sempre avuto.”. che c’entra? fino a un certo momento si. adesso ci sono anche altri bisogni. e poi dipende dalla geografia. a cuba fa caldo e le case di cuba sono diverse dagli igloo, dove fa freddo e la densità demografica minima. non devono fare condomini gli eskimesi. noi siamo tanti, soffriamo sia il caldo che il freddo, abbiamo giustamente bisogno di almeno 2 bagni, garage ecc. e poi abbiamo bisogno di privacy e tanto altro. se bastasse sempre solo ripararsi dal caldo o dal freddo avremmo case come quelle dei vichinghi del medioevo in inverno e tende del deserto in estate.
    riguardo ai gas serra da te citati, saltando di palo in frasca, non so se sono gli usa a produrre il grosso dei gas serra, piuttosto che l’asia, che dell’ambiente se ne fotte nel modo più assoluto, o l’europa, che preferisce bruciare petrolio a tutto andare o meschinamente lavarsene le mani facendolo fare ad altri e poi comprandolo dall’asia, visto che gli usa utilizzano così tanto l’energia atomica (che è la fonte energetica assolutamente meno inquinante dopo quelle rinnovabili) e così tanto le fonti alternative. forse si, forse no. non ne sono mica sicuro come sembri essere tu dividendo il mondo in due, vestitendoti da quello bravo che dice cose accettabili e genuine e facili da maurizio costanzo show commuovendo la gente.
    per il resto, sono pienamente d’accordo con te, anche perchè il resto, e cioè la sequela di frasi fatte (la superiorità della “sostanza sull’apparenza”…) che hai tirato fuori sono per lo più sensate, quindi non ho nulla da aggiungere. toh, sono perfino d’accordo sulla perdita incalcolabile della mano artigiana e di tante cose…. cosa vuoi di più da me, che sono o sembro essere il tuo nemico?
    ascolta, concentrati sulla tua opera di contrasto al bieco progetto di meier, non perdere tempo con me, dai, non ne posso più. ignorami. dimenticami. per favore, ignorami. sarai esausto anche tu. combatti meier, non me.

  15. caro Augusto, anche io penso che il problema principale in architettura-urbanistica oggi, in italia, oltre ai problemi che si trascinano da tempo, e cioè gli errori del passato, specialmente gli edifici e l’urbanistica inadeguati, scomodi, tristi, poco vivibili, ma anche quelli “vivibili ma orribili”, pacchiani, diseducativi, ai quali forse preferisco i primi… sia appunto la mancanza di idee, o meglio: da una parte il soffocamento delle idee coraggiose e veramente buone, per dar da lavorare sempre ai soliti – e qui salta fuori la farsesca situazione dei giovani che in italia stranamente ormai da decenni non emergono mai (saranno mica più deficenti degli altri?), e dall’altra l’accettazione passiva, anzi dell’invocazione dello star system dei soliti architetti, quelli internazionali come quelli italiani. coll’aggravante che in italia di solito, fra i pochi architetti stranieri che riescono a sopportare la difficoltà di costruire in italia, ci rivolgiamo alla retroguardia dell’avanguardia, concentrandoci ancora più sull’adeguatezza del compromesso perfetto dato dall’immagine dell’architetto o quello che evoca (famoso ok; poi, moderno ma possibilmente già vecchio. candido e marmoreo così la gente coglie le citazioni quasi colte e sorride. e contemporaneamente inespressivo, così la gente crede di guardare una cosa moderna. insomma, in una parola, uno come meier. perfetto per l’italia. insomma, fare architetture autentiche no?) che sull’architettura stessa. perchè meier, con tutti gli architetti in gamba che ci sono in giro? perchè siamo malati con questa mania dei divi, al punto da desiderare di accaparrarci pure i divi in pensione.

  16. però, Augusto, non so come prendere la tua affermazione “E’ assurdo mettere l’architettura moderna del Maier sull’ara Pacis come è altrettanto assurdo fare la pensilina di Isozaki a Firenze”: non capisco se dai per scontato che si seguano sì le indicazioni generali (che evidentemente sono di costruire un’architettura), ma pensi che non debba essere moderna, o non debba essere di meier, oppure se, ripartendo dall’inizio, ovvero dall’architettura esistente, se pensi che non si debba costruire nulla di nuovo.
    premesso che non conosco bene il luogo nè il progetto, condividerei le seguenti possibilità, in questo ordine:

    1 non costruire niente.

    oppure

    2 fare crescere la presenza della natura, solo lei

    3 costruire, ma ovviamente senza scimmiottare l’ara pacis con qualcosa di finto. ne consegue: costruire un’architettura semplice, austera (ma non tetra) come si conviene per rispetto del passato, utile e funzionale.

    dal punto 3 consegue che, a prima vista e con possibilità di sbagliarmi, e a prescindere dalla collocazione dei vari elementi, che in fondo, i volumi informali, quelle spesse lastre di cemento aperte della piccola fotografia in alto a sinistra, non sembrano poi così malvage e così tanto fuori strada. nonostante siano di meier. mi sembrano perfino discrete. quasi consapevoli. un approccio tra scarpa e eisenman. apprezzo lo sforzo per un intervento così difficile. ma, ripeto, non conosco bene il lotto nè le intenzioni del progetto.

    ok, chi vuole insultarmi mi insulti pure, tanto adesso io vado a nanna, domani mi alzo prestissimo

  17. Le ragioni del mio dissenso.
    È stata dura, ma alla fine ci si intende

    Caro Alberto Caprioglio,
    finalmente posso parlare ad un essere umano e non ad un nickname.
    Vorrei essere breve, ma ciò che ho da dire non so se me lo consentirà, pertanto mi scuso se il testo potrà sembrare troppo lungo … in ogni modo non pensavo che i miei scritti fossero così importanti da “costringere” la gente a comprare nuove schede madre e nuovi monitors per essere letti … anche i tuoi testi però non scherzano in termini di lunghezza!
    Scherzi a parte, passo anc’io al “tu” perchè tra colleghi penso sia più logico.
    Sin dal primo messaggio pensavo di aver chiarito in maniera inequivocabile la sporca faccenda dell’Ara Pacis, sicuramente ho voluto “condirla” con altri riferimenti, ma questi sono sempre collegati alla vergognosa situazione che abbraccia il panorama architettonico mondiale e italiano in particolar modo.
    Che la mia posizione sia contraria alle avanguardie forse può sembrare vero, tuttavia il mio punto di vista è essenzialmente questo: non penso possa considerarsi un linguaggio universale in architettura, bensì penso che esistano mille dialetti, tutti meritevoli di essere studiati e rispettati.
    Alla luce di questo,posso dire che, progetti come quello di Meier (che comunque continua a disgustarmi – se non altro per lo squallore del fatto di essere il clone di un altro già visto e che dunque si pone come l’espressione di un “pianeta che vive di luce riflessa” piuttosto che della “star” che ci viene raccontata, e che non si “spreca” a fare nuovi progetti poiché il suo nome gli consente di fare tanti soldi cambiando le intestazioni sulle tavole) in quartieri “moderni” tipo l’EUR di Roma probabilmente non mi creerebbero problemi … la situazione è così compromessa che forse, alla fine, può solo che essere migliorata. Dunque, alla base di tutto il mio modo di vedere c’è un concetto basilare “sfuggito” a tutti coloro che hanno predicato il modernismo: il DECORUM, o, se vogliamo l’appropriatezza!
    Se tanto mi interessano ed affascinano gli architetti che hanno operato nel primo novecento, è proprio perché essi cercavano di produrre il nuovo imparando dal passato, senza ripetere le idiozie ottocentesche figlie del Neoclassicismo mal interpretato e dittatorialmente imposto dall’Academy des Beaux Art prima e da Napoleone poi!
    Se proprio devo dirla tutta, penso che Francesco Milizia, con il suo fondamentalismo purista e la sua repulsione nei confronti di tutto ciò che era stato prodotto dal Barocco, sia da considerarsi il teorico del Modernismo ante litteram!
    Dico questo perché egli, descrivendo l’architettura Barocca così usava esprimersi « … cose che non si possono guardare senza ripugnanza e distrazione» mentre, a proposito di Michelangelo ebbe modo di scrivere «sarebbe stato meglio non fosse mai nato!»
    Quella del Milizia fu una reazione da “jihad” – per usare una terminologia molto attuale – alle esagerazioni Tardo Barocche in nome di un tentativo di far rinascere il Classicismo. Il risultato di questa reazione fu quello della nascita del Neo-Classicismo che, spesso, si limitò alla irrazionale imitazione dell’antico, senza vita e fisionomia propria: i 5 ordini del Vignola divennero la “Sacra Bibbia” dove gli architetti dovevano attingere per le loro costruzioni. Come ricordava Giulio Magni « … All’indomani della Rivoluzione Francese Napoleone volle dare alla civiltà latina una nuova espressione nel campo del Diritto, delle Lettere e delle Arti: era la morte definitiva di ogni tentativo di espressione libera in nome della volontà dell’Imperatore. Un nuovo stile sorse nelle arti, a suggello di quel pensiero classico ed imperialista che caratterizzò tutte le manifestazioni estetiche del primo quarto dell’800 …».
    Alla fine dell’ottocento, l’esasperazione dell’approccio Beaux Art all’Architettura aveva portato – così come oggi accade col Modernismo – all’esasperazione della gente comune, tanto che Giovannoni, in occasione degli incontri per la creazione della scuola di Architettura Romana, agli inizi del secolo XX diceva: « … Ma quanto all’indirizzo didattico io credo che appunto quel desiderio che ho testé espresso ci spinga ad abbandonare l’Accademia pel tema costruttivo e pratico, svolto in tutti i suoi particolari tecnici. L’architetto deve essere anzitutto un costruttore e dalla struttura profondamante intesa devono derivare le forme: fare l’inverso con l’immaginare la composizione astratta, il prospetto vuoto, l’edificio che va dal fuori all’indentro è procedimento irrazionale, da cui il giovane non riuscirà mai più a guarire. E comporrà nella vita professionale castelli in aria costosi ed inabitabili, solo perché il disegno gli sta bene, e farà maledire l’architettura, che già è tanto sul naso del pubblico, dei tecnici, degli artisti …»
    Già nel 1885 dunque, Giulio Magni, scrivendo al grande Raimondo D’Aronco, che come lui era stato costretto a lasciare l’Italia per poter emergere, aveva avuto modo di esprimere la necessità dell’Architettura del suo tempo di liberarsi delle catene impostegli dall’Accademia: « … colui che deve lavorare si trova nel bivio difficilissimo se cioè fare come la ragione lo guida o come il generalizzato sentimento gli impone … affrontare l’impopolarità è certo un eroismo e chi si sente forte nella battaglia da combattere, scenda in campo con quel coraggio che dà la sicurezza della vittoria. E noi giovani che coltiviamo questo ideale nella nostra mente, dobbiamo difenderlo e sostenerlo con tutte le nostre forze, studiando alacremente con la ferrea volontà di riuscire!»
    Gli architetti del primo novecento (di cui Magni e Giovannoni possono considerarsi i capostipiti) dunque, aborrendo la retorica dell’Architettura del loro tempo, si misero alla ricerca della tradizione. Questo fece loro comprendere come il carattere delle città fosse soprattutto dato dalla cosiddetta edilizia minore o “vernacolare” la quale risultava comunque nobilitata da piccoli dettagli che la rendevano gradevole anche se priva del “monumentalismo a tutti i costi” dell’ottocento: gli edifici post-unitari (alveari umani) avevano appiattito larghi brani di città con volumetrie inumane, monotone e prive di carattere, diversamente, lo studio dell’edilizia minore, anche quella dell’esagerato periodo Tardo Barocco, mostrava loro come essa avesse saputo integrarsi perfettamente con tutto il resto, limitandosi ad impreziosire un portone, un angolo, un cornicione o un comignolo. Così, forti di questa loro ricerca, iniziarono a produrre nuovi edifici, assolutamente moderni e perfettamente integrati nei contesti in cui andavano sorgendo: il senso di DECORUM, dimenticato dall’ottocento, stava riappropriandosi del suo ruolo guida!
    La nascita dell’Istituto Case Popolari, nel 1903, aveva creato il terreno fertile su cui sperimentare questi nuovi studi e, come la realtà dei fatti di oggi ci dimostra, quegli architetti avevano “imbroccato” la via giusta per il “riscatto”, costruendo una serie di edifici e quartieri moderni che ancora oggi vengono considerati quali migliori esempi del costruito novecentesco. A far da controaltare a questi illuminati studi ovviamente, c’era l’altra faccia della medaglia, quella della speculazione edilizia.
    Gli innumerevoli studi obiettivi dell’urbanistica post-unitaria infatti, ci dimostrano come la pianificazione urbana sia sempre e solo stata dettata dagli interessi personali della lobby dell’edilizia, piuttosto che dalla logica e dalla volontà comune.
    Fino agli anni ‘30 del novecento, la produzione edilizia, grazie al lavoro di personaggi come Pirani, Magni, Giovannoni, Sabbatini, Broggi, Palmerini, Marconi, ecc. seppe rispettare gli interessi comuni ed il senso del decoro, tuttavia all’orizzonte si prospettavano le fosche nubi delle nascenti teorie architettoniche reazionarie le quali, ovviamente, trovavano terreno fertile presso la lobby edilizia interessata alla drastica riduzione dei costi ed al massimo dei profitti: l’avvento del Fascismo – partito del quale ovviamente facevano parte i più grossi costruttori italiani – allo stesso modo in cui Napoleone aveva fatto con il Barocco, sancì la fine della ricerca sull’architettura in nome di un orribile appiattimento modernista. Prima di arrabbiarvi vi invito a continuare la lettura perché avro modo di dimostrare le mie parole forti.
    Non scopro l’acqua calda se dico che chi ha la possibilità di gestire, e dunque manipolare, i mass media ha la certezza di incrementare il suo potere. Ce lo dimostra tutti i giorni la politica e, ad un occhio attento, anche la “stampa specializzata” che ci riguarda più da vicino: quanti progetti di Architettura Tradizionale sono stati pubblicati negli ultimi anni sulle centinaia di riviste che “infestano” le edicole e le librerie? ZERO!
    In questo Paese si costruisce poco e scrive troppo, e quello che si scrive è monotematico … ma questo non è un male recente, occorre tornare indietro nel tempo di qualche decina di anni. Fino al 1931 la rivista Architettura ed Arti Decorative dava spazio a tutti … nonostante il regime, poi qualcosa cambiò, e con questo qualcosa mutò il modo di insegnare l’Architettura e di costruire.
    A chi non mi crede, voglio citare quanto Carlo Belli scriveva sul n°35 di Quadrante del 1936 nel paragrafo intitolato “dopo la polemica” – per celebrare la vittoria del Modernismo conseguente la costruzione della Casa del Fascio di Como, la quale aveva causato un putiferio a carattere locale e nazionale.
    L’intera città si era indigniata per la costruzione di Terragni: il progetto presentato ed aprovato era totalemente diverso da quello realizzato, e tutto era avvenuto su suggerimento del Podestà locale, il fratello del Terragni, il quale, dall’alto della sua posizione scrisse al fratello «presenta un progetto il stile, poi quando tiri su i ponteggi fai quello che vuoi» (cfr. Alberto Artioli, “La Casa del Fascio di Como”). Oggi questo si chiamerebbe interesse privato, e i responsabili andrebbero dietro le sbarre .. forse! L’indignazione era talmente forte che la popolazione si rifiutò di assistere all’inaugurazione dell’edificio e si dovette ricorrere astutamente ad una cerimonia di commemorazione dei caduti della Prima Guerra Mondiale per far confluire il popolo nella “piazza” antistante la Casa.
    Lo stesso Mussolini era rimasto profondamente turbato dall’edificio ma poi, la potenza politica del Podestà Terragni da una parte, e la “furbizia lessicale” di Marinetti dall’altra, “coniarono” la giustificazione plausibile all’edificio: esso trasformava in Architettura ciò che il Duce aveva detto, «il Fascismo è una casa di vetro!». Fu così che il Duce fece sua l’idea dell’edificio.
    Forte di questo successo politico, Carlo Belli sul citato numero di Quadrante diceva: «Non so quanti, in Italia, potranno capire oggi la nostra gioia per il compimento della Casa del Fascio di Como. Quando, tra qualche anno, un’adesione universale conforterà quest’opera di Terragni, allora sì, molti si arrenderanno, per riconoscere onestamente che avevamo ragione. […] Ma, ora, possiamo rispondere che vogliamo la Casa del Fascio di Como, intanto, come modello-base per tutti gli edifici d’Italia (compresi i ministeri). […] l’idea di un “Nuovo Vignola” dell’architettura italiana, idea ventilata in questi giorni, più che originale, assai più che brillante, è una proposta veramente saggia da attuarsi subito per l’onore e la salvezza del nostro prestigio in fatto di architettura. In questo manuale la Casa del Fascio di Como sarà la tavola logaritmica delle costruzioni del genere, il vocabolario in cui sono espresse nella loro forma migliore, tutte le soluzioni più esatte dei più complicati problemi. Un prontuario di bellezza, un paradigma di saggezza: un’opera completa sotto tutti i punti di vista».
    Davanti a cotanta fermezza e furbizia non c’è da meravigliarsi se il Regime, di fatto, per la prima volta, arrivò ad imporre il nuovo modo di concepire l’Architettura.
    Un regime totalitario che racconta di dare delle case moderne, simbolo di libertà e di progresso, non può che essere apprezzato … peccato però che gli abitanti degli edifici nati seguendo questi dettami non hanno mai ritenuto di vivere negli spazi che avrebbero sognato e anzi, molto spesso, ci abbiamo lasciato definizioni come quartieri ghetto, edifici lager, eccetera.
    Si noti che lo stesso n°35 di Quadrante, considerata una “rivista autorevole”, in un altro capitolo gettava fango su tutta la Storia dell’Architettura, dagli egiziani all’Era Fascista, dimostrando con un grafico delirante chiamato “Il progresso dell’Aria Luce”, che l’unico futuro possibile era quello Modernista.
    Sebbene possa sembrare impossibile che questo “piccolo” evento comasco possa aver avuto una risonanza drammatica sul nostro Paese, la lettura di un testo di legge emanato due anni dopo ci dimostra che la delirante richiesta modernista di Belli, Pagano, Terragni, ecc., ben presto venne tramutata in realtà.
    Nel 1938 – nell’interesse dei soli “palazzinari” – affinché non si osasse più costruire in modo tradizionale, a cura del Ministero della Pubblica Istruzione Italiano venivano promulgate le “Istruzioni per il Restauro dei Monumenti” il cui punto 8 così recitava: «per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale, è assolutamente proibita, anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico, la costruzione di edifici in «stili» antichi, rappresentando essi una doppia falsificazione, nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte».
    L’Architettura era morta in nome del Modernismo di Stato, ma da noi continuano a farci credere il contrario!
    Cosa accade oggi?
    Nonostante le norme europee e nazionali, i sindaci di Roma, Milano, Firenze, ecc. Si permettono di affidare direttamente degli incarichi a personaggi dello star system i quali, dall’alto del loro autocelebrazionismo modernista, si permettono di violentare le nostre città a loro piacimento, ecco dunque il Museo dell’Ara Pacis di Meier, la porcheria degli Uffizi di Isozaki, la distruzione della Scala di Milano di Botta, il Museo dell’Opera del Duomo di Calatrava, ecc. BASTA!!!!
    Basta con questi soprusi fatti sotto l’egida di chi dovrebbe tutelare il nostro patrimonio e le nostre città, basta con i grandi nomi e largo ai giovani, le cui attuali norme stanno penalizzando gravemente: solo per fare un esempio, voglio ricordare a tutti che, per poter partecipare al Concorso per la Nuova Stazione Tiburtina di Roma, bisognava dimostrare di avere non meno di 12 dipendenti da oltre due anni e un volume d’affari di 50 miliardi!!! Se questa è la strada intrapresa saremo fagocitati dalle società di ingegneria delle multinazionali dell’edilizia … ma si, tanto questa si che è modernità, non fa niente se gli edifici della Grandheur di Mitterand o quelli del Millennium di Blair hanno fallito, oggi tocca all’Italia, e il nostro corpo docente è ben contento di questo – probabilmente perché non è in grado di fare qualcosa di meglio – così lobotomizza a dovere i suoi studenti in modo che non si possano vedere le differenze! Sembra di vedere ciò che i Talebani fanno con i loro sudditi.
    Ma noi crediamo davvero nei Concorsi? Crediamo davvero che, così come oggi sono concepiti, possano migliorare le nostre città? Crediamo davvero che i membri delle commissioni siano così onesti e pluralisti dall’esprimere il loro giudizio seguendo gli interessi delle città? Io sono convinto di no, e la ragione è immediatamente dimostrabile quando si vanno a leggere i nomi delle commissioni e quelli dei vincitori di vari concorsi in giro per il mondo: immediatamente ci si accorge che, quasi fossero stati ispirati dalla “Politica del Trasformismo” di Urbano Rattazzi, le stesse persone risultano a “a rotazione” i giurati ed i concorrenti e, se non lo sono direttamente, sono loro legati da rapporti di collaborazione. Lo sappiamo tutti gli architetti, ma nessuno ha il coraggio di dirlo a voce alta perché, prima o poi, tutti sperano di entrare a far parte della “cricca”. Perdonatemi, ma tutto ciò è vergognoso e si chiama omertà!
    Ecco che immediatamente risulta chiaro che, poiché “tra cani non ci si morde”, nessuno si ribella al sistema e la gente comune viene costretta a subire.
    L’unico modo dunque perché un concorso possa rispecchiare democraticamente la volontà cittadina, è che il giudizio venga espresso dalla gente, magari tramite un referendum. Questo risulta necessario almeno fino a che le cose non cambiano all’interno delle università!
    Penso che l’unico modo di uscire da questa squallida situazione sia quello di unire le forze in nome della nostra tradizione, solo così potremo ricominciare a produrre nuovamente architetture nuove, moderne e degne di tale nome, architetture che siano uniche ed irripetibili. Non abbiamo bisogno di cloni, né di scopiazzare le opere delle “stars”. Se riuscissimo tutti a fare autocritica, se riuscissimo tutti a leggere la verità all’interno dei libri di storia, se, invece di seguire le mode effimere, seguissimo l’insegnamento di Giulio Magni « … colui che deve lavorare si trova nel bivio difficilissimo se cioè fare come la ragione lo guida o come il generalizzato sentimento gli impone … affrontare l’impopolarità è certo un eroismo e chi si sente forte nella battaglia da combattere, scenda in campo con quel coraggio che dà la sicurezza della vittoria. E noi giovani che coltiviamo questo ideale nella nostra mente, dobbiamo difenderlo e sostenerlo con tutte le nostre forze, studiando alacremente con la ferrea volontà di riuscire!» se, dunque, facessimo tutto questo, sono sicuro che riusciremo a risollevare le sorti della Regina delle Arti!
    Ho 38 anni, lavoro da 12 come architetto ed amo questa materia più della mia vita! Putroppo però, come anche voi fate notare (Alberto e Augusto), devo fare i conti con quella che è la situazione del nostro Paese, tanto che ora insegno presso una prestigiosa Università Americana (nemo profeta in Patria!) – è inutile nasconderci dietro un dito, in Italia se non hai santi in Paradiso ti puoi scordare di fare carriera, a Roma (dove ho svolto il ruolo di assistente volontario per 11 anni) basta leggere i nomi dei vincitori dei dottorati di ricerca per verificare che non c’è speranza di cambiare!
    L’unico modo di cambiare le cose è forse quello di fondare una nuova scuola, semplicemente rispolverando le indicazioni lasciate dal Giovannoni quando pianificava il modo e le materie da insegnare presso la nascente Facoltà di Architettura di Roma, indicazioni completamente disattese da chi successivamente ha diretto la Facoltà, e totalmente misconosciute alla quasi totalità di chi insegna oggi.
    A quelle materie, a scopo “immunitario”, penso debba aggiungersi l’insegnamento della Sociologia Urbana, scherzo usando il termine immunitario perché essa, non trattando di “stili” ma solo di fatti concreti, dà la possibilità agli studenti di comprendere i danni che l’architettura e, soprattutto la pianificazione urbana, errati hanno creato!
    Una ulteriore “vaccinazione anti-lobotomia” può operarsi leggendo “Maledetti Architetti” di Tom Wolfe, libro che da solo serve a farci vergognare per quello che la nostra categoria ha fatto!
    Augusto si chiede se è giusto far prendere il titolo di studio italiano ad uno straniero per esercitare qui da noi … io dico sì! È così per noi all’estero, deve essere così per loro da noi anzi, a maggior ragione, conoscendo molto bene le realtà universitaria americana e di altri Paesi, vi assicuro che è necessario che essi studino un pò di più prima di mettere le mani sulle nostre città!
    Un ultimo chiarimento è d’obbligo. L’errore fondamentale del Post-Modernismo è stato quello di utilizzare gratuitamente “segni” classici e, in situazioni più estreme come quelle americane, quello di considerare nuovamente il trattato del Vignola, anzi peggio, “the American Vignola”, la Bibbia per gli architetti. L’errore neo-classico evidentemente non era bastato a far comprendere a questa gente cosa non si doveva fare!
    Se vogliamo risollevare l’Architettura abbiamo l’obbligo morale nei confronti degli abitanti del Pianeta Terra di liberarci da pregiudizi, dagli stili, dagli “ismi” e da tutte le forzature possibili ed immaginabili, basta guardarci attorno per renderci conto che i nostri centri storici “funzionano” da secoli … cerchiamo di capire il perché!
    Abbiamo il vantaggio di conoscere tutto quanto era già stato fatto all’inizio del ‘900 e poi frettolosamente abbandonato, dobbiamo seplicemente limitarci a ripartire da lì.

    P.S. – Piccola nota polemica con Alberto – il buco nell’ozono è cosa diversa dall’effetto serra, i responsabili del “buco” sono i clorofluorocarburi prodotti dagli impianti di aria condizionata dei cosiddetti edifici “funzionalisti” a “pareti leggere o vetrate” i quali, dunque, non funzionano per difenderci dal caldo e dal freddo: giapponesi e americani, ovvero i maggiori responsabili di questa situazione con il loro abuso di aria condizionata obbligato dagli edifici che si sono costruiti, sono coloro i quali si sono rifiutati di firmare a Kyoto!

    Cordialmente
    Ettore Maria Mazzola

  18. mmm…

    “l’avvento del Fascismo (…) sancì la fine della ricerca sull’architettura in nome di un orribile appiattimento modernista.”

    non è vero: il fascismo non fu mai compattamente moderno, nè stabilì una direzione obbligatoria in architettura, e nemmeno forse nelle altre arti. tanto è vero che in epoca fascista sono state costruite cose molto diverse tra loro. l’unica costante erano le chiacchiere, la retorica, la morale legata a tutte le cose e anche all’architettura; ma questo senso di moralità ognuno lo adattava alla propria utopia: chi alle lastre di cemento senza fronzoli ai quali da bravi italiani del ca..o già davano chissà quale significato (quando in realtà avrebbero potuto/dovuto semplicemente essere quello che erano, cioè elementi costruttivi, senza trascinare dietro tanti ideali e cercare di servire a qualcosa), chi alla celebrazione di una classicità italica fatta di statue, colonne e capitelli. il fascismo fu il solito tragico mare di retorica in cui qualche illuminato, e molti cerebrolesi complicati e farneticanti in stile eternamente e tipicamente italico, crearono architetture anche molto diverse tra loro con impulsi diversi. da terragni, concentrato su piante nuove e su strutture senza fronzoli a piacentini. il fascismo fu anche e soprattutto il regno di cose tipo piacentini, monumentale, retorico, retrogrado e ideologico. ma tutto era ideologico, porca vacca, come al solito. in italia è tutto maledettamente connotato: del centro commerciale all’ufficio delle poste deve sempre essere retorico. si pensa solo alla forma in tutte le cose e in tutti i campi. poi fu anche il regno di costruzioni austeramente eleganti e di gran qualità di materiali come la ricostruzione di via roma di Torino, che è considerata un’ottimo intervento, e secondo me lo è.
    in un certo senso, il fascismo non fu un “fascio” in architettura. fu semplicemente tipicamente politica italiana piena di chiacchiere. fu una m.rda molto agitata, guerra, contrasti, molta carne al fuoco, botte in testa e cittadini sballottati.

    come adesso. anzi: per quel che riguarda la serenità, leggermente peggio di adesso. per quel che riguarda la creatività, forse perfino leggermente meglio di adesso. l’architettura italiana di oggi non è forse diversa? non è forse una m.rda rappresa gestita dai soliti 3 o 4? e poi senti come mi fai parlare: io che mi metto a usare il passato remoto… sto diventando pazzo.

    non credo che oggi in italia essere controcorrente sia essere tradizionalisti. oggi la massa è antimoderna, diffidente e rinunciataria. ma in compenso si esalta per la forma di questi telefonini di m.rda che sembrano essere diventati la cosa più importante della giornata. tutti vogliono vivere in villette a schiera e i babacci e l’orologio a pendolo; vero, di plastica o come sia; l’importante è che alberghi in ogni cazzo di salotto, con l’uccellino che fa cu-cu; oggi walt disney è imperante. era meglio terragni di walt disney. oggi ha molto più le palle un architetto che usa con coscienza e competenza materiali nuovi, che usa i pannelli solari, che sa isolare le case – siano di cemento o di gomma o di quaglia non mi interessa – piuttosto della solita megaditta o del solito studio stanco di paese che disegna le solite casette che invadono tutte le campagne d’italia come un’immensa periferia. e quando disegna i condomini di 8 piani li fa esattamente con la stessa retorica da pacolino men che piccolo borghese con l’illusione di avere la natura vicino. e sempre più inferriate medievali metallizzate, sempre più nani in giardino, sempre più lampioncini da vecchia londra, sempre sempre fino a coprire mari, montagne, laghi, campi, foreste.
    io voglio vivere nelle grotte per non vedere più questo nanismo cerebrale e contemplare una simile ingombrante pochezza e ignoranza. oggi, c’è ignoranza senza gusto. un’ignoranza spaventata che si aggrappa a qualcosa di passatista e rassicurante, anche se finto e creato prontamente dall’industria e dalle grandi imprese di costruzione disneyane-tamarre. vendono superstizioni ai superstiziosi, ecco cosa fanno. via da me! fa lo stesso loos o bruce goff, perchè emerga l’intelligenza in architettura. la coscienza ambientale e funzionale. la bellezza della natura. anche il desiderio e l’anelito di simboli, se vuoi. di pulizia o di rigogliosità. la conoscenza tecnologica più avanzata applicata anche nelle “piccole” cose come l’abitare. ora, adesso! e lasciate finalmente spazio a i giovani, oscuri mangioni che non siete altro! oggi lavorano solo i fabbricanti di stereotipi più dementi, e gli altri non riescono nemmeno a ottenere il permesso di aprire una finestra su un cortile o sono bloccati all’università a rincretinirsi e sorbirsi soprusi tipo lavorare gratis per un professore col ricatto dell’esame. schifo! schifo! schifo! anche in questo momento mi sto accecando per aiutare mio fratello a fare un rilievo secondo modalità assurde per un professore, gratis et amoris, perchè questo professore ne ha bisogno nel suo lavoro, e allora lo ha camuffato da esame, come fanno tanti professori. perchè non pagano dei professionisti a lavorare per loro per settimane, senza ricattarli con la storia degli esami? gli studenti in tutto il Paese sono sfruttati in cambio di niente e poi questi se ne fottono del loro futuro e della formazione, ci dicono “eh, ma poi voi ci fareste concorrenza”: lo hanno ammesso, sono arrivati a dircelo in faccia che ci avrebbero impedito di andare avanti! schifo!
    sono d’accordo con te praticamente su tutto. e adesso, al lavoro. (che miraggio!!!)

    “P.S. – Piccola nota polemica con Alberto – il buco nell’ozono è cosa diversa dall’effetto serra, i responsabili del “bucoâ€? sono i clorofluorocarburi prodotti dagli impianti di aria condizionata dei cosiddetti edifici “funzionalistiâ€? a “pareti leggere o vetrateâ€? i quali, dunque, non funzionano per difenderci dal caldo e dal freddo” : ma io infatti mi riferivo alla produzione di energia basata su combustibili, e di conseguenza all’effetto serra, per non parlare delle malattie da inquinamento e di qualche milione di cancri che aumentano sempre. invece, per quel che riguarda il buco nell’ozono e le pareti vetrate o non vetrate che disperdono calore, è ovvio che sono d’accordo con te, così come è vero che esse sono totalmente inadeguate. è assurdo rifiutarsi di isolare per poi dover bruciare petrolio o comunque produrre più energia per scaldare o raffreddare. e se proprio vogliono usare il vetro, dovrebbero metterlo doppio, triplo, quadruplo, per evitare l’idiozia della dispersione termica. o trovare altre soluzioni e limitare il vetro alla semplice dimensione sufficiente all’illuminazione naturale e non oltre. insomma, basta: uniamoci!
    tetsuoii@interfree.it

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