Concepita come continuazione della mostra “storica” in Santa Giulia, Contempor’art si presenta volutamente con poche opere, scelte dalla triade galleristica composta da Massimo Minini, Albero Peola e Valerio Tazzetti.
Il Piccolo Miglio nel Castello di Brescia si presta particolarmente bene a questo tipo di operazione, essendo uno spazio sobrio e al tempo stesso suggestivo. L’unica pecca sono forse le didascalie, assenti accanto ai rispettivi quadri e collocate un po’ confusamente su un’unica parete. La mostra è uno sguardo al contemporaneo piuttosto efficace, che presenta un confronto tra i lavori di nove artiste, tanto diverse quanto simili. Ad accomunarle è forse la riflessione semiotica sul linguaggio artistico, la ricerca antropologica sui costumi, gli usi, i simboli, le icone, la filosofia della nostra cultura.
Da Monica Carocci (Roma, 1966), che tortura l’immagine fotografica con degli acidi per ottenere effetti pittorici visionari, a Sophy Rickett (Londra, 1970) che riempie di significato uno spazio nero, dal quale emergono alberi o raccordi stradali, luoghi che individuano un percorso o un semplice transito verso una destinazione. Sulla scia dei “non luoghi” è anche Candida Höfer (Eberswalde, 1944) che ama immortalare spazi pubblici come musei, alberghi, stazioni, teatri o in questo caso università: a colpirla è il silenzio dello spazio vissuto e l’emozione di un luogo d’incontro dove l’uomo non compare. Immortala la quiete come fosse la “rarità” del nostro tempo e non nasconde una critica, seppur sottile, nei confronti della condizione umana. Più mordace è invece Sandy Skoglund (Quicy, Massachusetts 1946) che dagli anni Ottanta riesce a fondere bizzarria surrealista e immaginario pop, in scenari a metà tra fantasia e realtà. I suoi lavori sono il risultato di installazioni studiate e preparate
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