A partire da quei favolosi anni Ottanta qualcosa deve essere cambiato. Luca Lumaca (Modena, 1978), in questa personale d’esordio, recupera le schermate dei videogame con i quali giocava da bambino per riflettere su cosa sia effettivamente successo, nella società e nella mente delle persone. Con una poetica visiva e contenutistica da sempre attenta al sociale. Ricordiamo infatti, tra i suoi lavori precedenti, le valigie dei terroristi esaminate ai raggi x, o la serie No lego, nella quale utilizzava i celebri mattoncini come metafora di un mondo fittizio dotato di elementi ben specifici, al fine di rimandare alla realtà della società moderna. Stavolta, il giovane fotografo e videomaker modenese veicola la sua critica al sistema stampando su pvc alcune schermate di celebri videogiochi “arcaici” –Pac Man, Snake, Space invaders– che lontani dell’immaginario sofisticato ed esasperate della contemporanea Playstation, cercavano di rappresentare, con il semplice uso di essenziali pixel, metafore di situazioni reali. Una provocazione che non si mostra soltanto come pura riesumazione ed evocazione nostalgica, ma sottende una dinamica concettuale più complessa. Lumaca stampa l’immagine digitale traslandone successivamente il significato con l’ausilio del computer, mutandone così la chiave di lettura. Contamina semanticamente, decontestualizzandoli, i software originali manipolandoli in modo ironico, sostituendo ai simboli originari quelli delle corporation mondiali e dei brand multinazionali. Attualizza il videogioco invadendone lo spazio con innesti volutamente artificiali. Decostruisce per poi ricostruire un mondo che trova nella finzione elaborata una descrizione oggettiva della realtà.
E così lo skyline del videogioco Bomber –il cui
Il meccanismo è ben chiaro in una società in cui, come afferma l’artista “chiunque voglia uscire dal sistema viene subito bloccato o additato come terrorista.”
Lumaca pone in modo interattivo le situazioni davanti agli gli occhi dello spettatore, giocando e facendolo giocare a sua volta con codici precostituiti. Suggerendo che, si, qualcosa deve essere necessariamente successo negli anni Ottanta. Anche se la gente ha ormai smesso di pensarci.
francesca baboni
mostra visitata il 30 settembre 2005
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