È un’Atene contemporanea quella di Carlo Maria Mariani (Roma 1931, vive a New York), una città dove il mito rivive nel presente e sembra non esserci più posto per i valori e la perfezione dell’età classica. Le sue sono visioni di un equilibrio infranto, ricco di citazioni colte del passato e di un intellettualismo che ricorda un po’ quello manierista. Ad ospitarle, non a caso, sono le stanze di Palazzo Te, affrescate da Giulio Romano. E con Romano, l’artista che a Mantova aprì le porte al manierismo, Mariani dialoga indirettamente, perchè entrambi voci di un’epoca in crisi e di una condizione alienante. Gli dei sono presenze illusorie, che nel nostro presente fin troppo corrotto, finiscono per suicidarsi o lanciarsi nel vuoto come angeli caravaggeschi (Into the light, 2005). Dannati che hanno perso ogni sicurezza, in un mondo altrettanto fragile e infantile, dove volano aereoplanini fatti di Lego. Non deve sorprendere se quel mondo che appare così incomprensibile e ambiguo è proprio il nostro, o se dietro The city 7 (2002) si nasconde lo sguardo vuoto e “impreparato” di una civiltà appena colpita da un attentato.
Le poche opere presenti risentono ancora di quell’atmosfera dechirichiana che contraddistingue l’Anacronismo degli anni Ottanta. Tornano i riferimenti a Brancusi, Calder e Picasso, in una lotta che sembra porre da una parte l’antinaturalismo cubista e dall’altra la ferma solidità della statuaria greca.
In sintesi è una mostra che meriterebbe di essere perfezionata, considerata la splendida cornice nella quale è allestita e considerato che è stata presentata in occasione di un evento come il Festivaletteratura, appena concluso. Il percorso di visita è piuttosto confuso e per raggiungere la mostra è necessario attraversare le altre stanze dei Gonzaga, quindi pagare l’ingresso a Palazzo, al contrario di quanto reclamizzato. Di nuovo una cattiva informazione e un’organizzazione ancora incerta, che rischia di intaccare una mostra valida.
valentina rapino
mostra visitata l’11 settembre 2005
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