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Il Padiglione raccontato dall’artista

di - 23 Marzo 2015
Chi rappresenta quest’anno la Russia di Putin? Irina Nakhova. Straordinariamente, una donna. La prima di sempre ad abitare il bel Padiglione che si apre a destra poco dopo l’ingresso dei Giardini. Classe 1955, formatasi a Mosca durante il tramonto dell’impero sovietico, ma professionalmente ben presente anche in Occidente, la Nakhova ha iniziato come pittrice per poi abbracciare altri media. Artista di spicco della scena concettualista moscovita, ha vinto il Kandinsky Prize lo scorso anno. Per la Biennale reinterpreta il Padiglione Russo, di cui proprio un anno fa si celebrava il centenario della costruzione, con una delle sue installazioni immersive. Ecco cosa ci dobbiamo aspettare dal suo intervento a Venezia, e non solo.
Irina Nakhova, cosa stai architettando nel Padiglione della Russia, per questa 56a Biennale di Venezia?
«È un onore partecipare alla Biennale di Venezia, ed è anche una grande opportunità di lavorare su una scala differente, con risorse maggiori. Sono sempre interessata nel creare nuovi spazi e il Padiglione è un meraviglioso lavoro di arte e sfida spaziale. È un piacere collaborare con il grande architetto russo Alexei Schusev, che costruì il Padiglione quasi esattamente 100 anni fa. Oltre a una collaborazione concettuale e spaziale con Schusev, voglio restituire tutta la dignità visuale all’aspetto esterno del Padiglione e riportarlo al suo colore originario che era un verde profondo. Per me, le facciate piatte dei muri verde scuro sottolineano l’eleganza degli elementi decorativi bianchi. In questo modo, inoltre, il mio padiglione si rapporterà dialetticamente al padiglione rosso (e vuoto) di Ilya Kabakov del 1993, definendo due fasi differenti del rapporto degli artisti d’avanguardia con le istituzioni. Il discorso dei colori sarà poi un punto cruciale anche all’interno, dove i visitatori potranno attraversare diversi ambienti, riprendendo in parte lo spirito delle mie Rooms degli anni Ottanta. L’intricato stile neo-russo del Padiglione guarda alla vecchia architettura russa del Palazzo Terem, la meravigliosa scatola del tesoro, magicamente dissolta nella natura, i Giardini, dove diventa una capanna senza peso e aperta all’aria. Questo esterno è per celebrare il compleanno del Padiglione».

Il tema della Biennale questa edizione è l’Angelus Novus di Benjamin. Cosa pensi del passato e del futuro?
«Ho iniziato a lavorare al Padiglione molto prima che il tema della Biennale fosse annunciato. Ci deve essere qualcosa nell’aria che rende la connessione tra passato e futuro un tema così persistentemente e bruciantemente topico e attuale da farne il tema della Biennale di Venezia. Quello che sto facendo per il Padiglione della Russia porta l’urgenza di quel sentimento, e cioè che il cupo passato è anche il nostro futuro inevitabile se non lo capiamo in tempo, e se non ne impariamo la lezione. Si ha anche l’impressione che stiamo tornando improvvisamente all’epoca oscura del Medioevo, a odi tribali per certe credenze, popoli che combattono l’uno contro l’altro come se l’epoca dell’Illuminismo non fosse mai esistita. O forse è un mondo parallelo mischiato brutalmente in un piccolo barattolo. Sono interessata alla vita in generale, il che significa che la storia è una parte della vita e della morte. Mi sento sempre essere parte della storia dell’arte. Ho un legame inestricabile con la storia dell’arte. Un tempo vivevo nel futuro, ma ora mi piace essere più nel presente, che è un’intersezione di passato e futuro, proprio sotto il mirino del tempo».

Sei la prima artista donna a essere stata scelta per rappresentare la Russia alla Biennale. Qualcosa sta cambiando?
«La Russia è essenzialmente una società patriarcale e ha bisogno a tutti i livelli di riconoscere l’uguaglianza tra uomini e donne. Se la mia partecipazione alla Biennale è un segno di cambiamento, allora sono molto contenta di questo. In Unione Sovietica vi era uguaglianza nell’oppressione. La lotta per i diritti umani era più importante di quella per la parità dei sessi. Il femminismo venne con la caduta dell’Unione Sovietica e una maggiore apertura a occidente. Il Femminismo è molto importante in Russia soprattutto come parte di una più ampia e sempre vitale questione dei diritti umani. Provo a partecipare a tutte le mostre femministe, quando posso, e a sostenere il movimento».

Cosa pensi delle Pussy Riot?
«Rispetto molto Pussy Riot, e sento che esprimono sinceramente i loro sentimenti in un contesto pubblico. Due di esse hanno fatto due anni di carcere per questo. Hanno mostrato la connessione tra Stato e Chiesa in un modo molto potente nelle loro performance, e lo Stato ha ribadito così questo potere ma, incarcerandole, ne ha fatto un fenomeno importante. Spero che possano trovare la loro propria voce dopo la prigione. Sarà difficile, secondo me».
Mario Finazzi

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