Che il nostro mondo occidentale, ed europeo soprattutto, intrattenga rapporti culturali con l’Oriente, medio o estremo che sia, la storia dell’arte ce lo insegna ormai da tempo. Oltre al nuovissimo interesse che Cina, Giappone e paeso limitrofi stanno riscuotendo dal lato ovest della Via della Seta, si narra un proficuo e ormai pluricentenario scambio di idee.
La mostra, che non cela velleità antologiche e pretese di esaustività, traccia uno spartiacque proprio alla metà dell’800, quando in Francia, Inghilterra e Germania inaugurano negozi che vendono gli oggetti più disparati, purchè esotici, che di quelle culture diventano il simbolo: vasi, stampe, tessuti, le cosiddette chinoiserie<. Il contagio è irreversibile. L’arte non tarda ad accorgersene e, com’è noto, nell’ambiente simbolista Gauguin e i Nabis, ma anche lo stesso Van Gogh, saccheggiano a piene mani gli elementi costruttivi di quelle immagini così lontane dalla piramide prospettica, così vicine al linguaggio della grafica, dell’affiche, della moderna pubblicità.
Nelle sale al piano inferiore è privilegiata la rassegna dei nomi tedeschi. I rappresentanti degli interscambi in ambito espressionista sono Nolde, Schmidt-Rottluff e Kirchner, che già nel nome del proprio movimento (Die Brucke) si proponevano uno scavalcamento del presente attraverso un legame, un passaggio, un ponte per l’appunto.
Il parallelo tra le due culture si fa più stretto verso gli anni Venti e Trenta del Novecento, tanto da diventare a tratti poco visibile. Dadaismo e Surrealismo imperversano in Europa e Nord America, la Russia è avvolta dal vento delle Avanguardie post-rivoluzionarie, mentre dall’altra parte del mondo Murayama Kosaku segue la grande onda fondando MAVO.
In architettura è l’anno dell’Internazionale Socialista, che sancisce l’avvento dell’influenza del Bauhaus (che è presenza dirompente persino nella struttura museale) sugli architetti giapponesi Yamawaki Iwal (Nagasaki 1898-1987) e Mizutani Takehiko (Tpkyo 1898-1969). E non è ancora finita. Proprio all’alba degli anni Sessanta il gruppo Gutai e Fluxus sembrano condividere intenti ed espressioni di poetica, eliminando d’un colpo la distanza che intercorre tra Wiesbaden e Tokyo, Berlino e Osaka.
Il percorso sembra finire imbrigliato dai “pattern a pois”, specchiati e riflessi nel “mondo a colori” di Yayoi Kusama (Nagano 1929, vive a Tokyo). Al primo piano invece i volumi riquadrati dallo spoglio geometrismo miesiano, sono sconvolti da un moto ondoso che altera -e ricopre- il pavimento (Toyo Ito & Associates). Dispensata l’istituzione museale da ogni responsabilità sugli eventuali “scivoloni” dei visitatori, alcuni esponenti della scena contemporanea creano questo paesaggio come estrema riflessione sull’abitare. Dalle capsule spaziali claustrofobiche ai progetti avveniristici di riutilizzo energetico: su tutto regna indiscusso l’alveare, forma armonica e simbolica di vita collettiva (Shintaro Miyake).
claudio musso
mostra visitata il 6 luglio 2006
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