“Creare qualcosa come un cane o come le fiamme: qualcosa che abbia vita propria“: è questo il senso ultimo della ricerca artistica di Alexander Calder (Filadelfia 1898-New York 1976), che con le sue opere in movimento aprì la strada alla scultura della modernità. Una selezione di oltre 65 lavori dell’artista è esposta al Guggenheim di Bilbao, che con la sua struttura cangiante e multiforme non poteva fare da cornice migliore a questa mostra.
Forme che cambiano, vibrano, fluttuano come foglie al vento a seguito di un lievissimo urto o di una corrente d’aria, giocando con la gravità e l’inerzia, in una mimesi tanto moderna quanto antica della natura e del mondo. Stecche di metallo e lamine colorate con vernici a smalto, appese nel vuoto come ali, piccoli oggetti di legno apposti alle estremità di fili di acciaio come Costellazioni, foglie e tondini di alluminio in delicato equilibrio, che al brivido di un soffio si animano in un movimento fuggente per poi riassestarsi. Oppure strutture giganti, massicciamente radicate nel terreno, come lo
L’estetica di Calder è caratterizzata fin dall’inizio dal suo interesse per il cinetismo. Il movimento è vita cui l’arte deve tendere: “Perché l’arte deve essere statica? Quando guardiamo un’opera astratta, sia essa una scultura o un dipinto, vediamo un insieme eccitante di piani, sfere, nuclei, senza alcun significato. Sarebbe perfetta, però è sempre immobile. Il passo successivo nella scultura è il movimento“. Ecco dunque che il movimento imprigionato si libera dalla forma: i mobiles oscillano come rami, pesci, uccelli, alberi, petali e piume, azionati da piccoli motori o più semplicemente dai movimenti dell’aria; piccole lamine di acciaio attaccate a fili di alluminio pendono nel vuoto e producono, sfiorandosi al soffio del vento, un lieve tintinnio musicale, che diventa suono meccanico nei “gongs”. Il percorso espositivo si apre nell’atrio del Museo, dove, in una sintesi ottimale di spazi e figure, trovano una perfetta collocazione quattro sculture realizzate nel periodo centrale della sua ricerca: dalle forme colorate e in movimento di Red Lily Pads (1956) a Pittsburgh (1958), alle forme volatili di The
La mostra prosegue secondo una traccia tematica più che cronologica, focalizzando l’attenzione sulle opere astratte e in movimento dello scultore. Utilizzando materiali nuovi e industriali quali il legno, il ferro, il metallo e l’alluminio, lo scultore-artigiano realizzò opere che prendono spunto dalla vita organica e dall’ordine del cosmo e che riecheggiano le figure astrattamente biomorfe, oltre che i colori primari, di Joan Mirò: il nero, il bianco, il rosso, il giallo, il blu. L’estetica dell”instabilità” e il senso di trasformazione permanente che l’artista introdusse nell’arte plastica, in forma sempre ludica e giocosa, sono i motivi intorno ai quali si è voluta costruire questa esposizione. La cui vera peculiarità è da ricercare nella ottimale coincidenza tra le forme esposte e il contenitore museale, che con la sua singolare struttura è, esso stesso, “forma in movimento”.
laura terenzi
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