22 ottobre 2020

Raffaello, il Maestro: la mostra all’Accademia di San Luca

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Essenziale e rigorosa, la mostra all'Accademia di San Luca racconta l’ascendente esercitato dal grande Raffaello su intere generazioni di artisti

Questo 2020 non sarà certamente ricordato come uno degli anni migliori ma gli appassionati d’arte potranno almeno ripensare con un po’ di positività alle iniziative per le celebrazioni del quinto centenario della morte di Raffaello, che vanno avanti seppur tra mille difficoltà, perché molto spesso si è trattato di progetti caratterizzati da un alto valore scientifico. Tra questi, c’è certamente quello promosso dall’Accademia Nazionale di San Luca che, dal 22 ottobre, ospiterà a Palazzo Carpegna la mostra dal titolo “Raffaello. L’Accademia di San Luca e il mito dell’Urbinate”. Nessun effetto speciale e nessun orpello inutile: un’esposizione che bada al sodo, essenziale e rigorosa ma di grande qualità, che prende in considerazione una conseguenza fondamentale della carriera di Raffaello, l’ascendente enorme che ha sempre esercitato nel nei secoli su intere generazioni di artisti.

Raffaello all’Accademia di San Luca: il percoro espositivo

Il legame tra l’Accademia e il pittore marchigiano è simbolicamente rappresentato nel percorso espositivo dal dipinto, tradizionalmente attribuitogli, che raffigura San Luca che dipinge la Vergine, da secoli divenuta l’icona stessa dell’istituzione. Per l’occasione, il dipinto è stato affiancato dalla copia che Antiveduto Grammatica realizzò nel 1623 e che si trova sull’altare della chiesa patronale dei Santi Luca e Martina: il confronto, accompagnato da altre stampe e disegni, testimonia il successo dell’immagine ed è solo una goccia nel mare di ammirazione che ha travolto, nel tempo, l’arte di Raffaello.

Altra testimonianza di questo successo, che solo in rari momenti della storia si affievolisce un po’, è il misterioso Putto reggifestone, derivazione diretta dell’affresco con il Profeta Isaia che il pittore dipinse in Sant’Agostino e ritenuta di sua mano, seppur in assenza di notizie certe, fin dall’arrivo in Accademia nel 1834. Quel che è sicuro è che gli artisti la accolsero come opera del maestro e come tale fu oggetto di molte derivazioni tra cui una delle più famose è quella di Gustave Moreau, qui esposta grazie al prestito concesso dal Musée Gustave Moreau di Parigi.

L’interesse continuo degli artisti, e degli aspiranti tali, era stimolato dai professori dell’Accademia: l’esercizio di copiatura delle opere di Raffaello era parte integrante della didattica e una interessante sezione è dedicata proprio alle esercitazioni dei giovani allievi, intenti a lavorare sia sui grandi affreschi, come quelli Vaticani, sia sui volti, in particolare sulla resa delle espressioni.

C’è poi un disegno molto particolare, che racconta bene la devozione, finanche agli eccessi, riservata al maestro: Tommaso Minardi, pittore faentino dell’Ottocento, eseguì a matita il ritratto del cranio dell’urbinate. Questo perché per molto tempo l’Accademia di San Luca ha conservato un teschio che si riteneva fosse proprio quello di Raffaello – anche se in realtà non lo era, visto che si trova al Pantheon – e come tale trattato da reliquia con poteri taumaturgici: alcuni addirittura lo toccavano con il proprio pennello, come se quelle ossa potessero infondere l’aura del suo talento.

L’eredità di un Maestro

L’aspetto didattico, la devozione, l’ispirazione: tutti elementi che emergono durante il percorso e che forniscono ulteriori chiavi di lettura e di comprensione sull’importanza di Raffaello. La mostra si conclude con alcune opere di artisti ottocenteschi e novecenteschi che diedero vita addirittura a dei movimenti artistici ispirati all’urbinate, come per esempio quello del Purismo nel XIX secolo.

Il tassello che l’Accademia Nazionale di San Luca inserisce nel puzzle delle celebrazioni raffaellesche è piccolo ma davvero prezioso, raccontando e valorizzando in maniera filologicamente perfetta il rapporto tra l’istituzione e il pittore o, per meglio dire, visto che l’Accademia nacque quando lui era già morto da 73 anni, l’incidenza che la sua arte ha avuto sui suoi allievi, sui suoi professori e di riflesso su intere generazioni di artisti.

1 commento

  1. Fermatelo. Rendere innocuo Vittorio Sgarbi dovrebbe essere il principale compito della cultura italiana. Gli accostamenti campati in aria di questo personaggio che crede di essere immaginifico inquinano l’onesto avvicinamento del pubblico all’arte. Chiassate inaccettabili.

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