È accaduto a Milano. Stessi giorni, due luoghi, due modi diversi di intendere la danza. Di là gli spazi sfarzosi del Teatro degli Arcimboldi, sforzo economico mastodontico per colmare il vuoto creato dalla Scala in ristrutturazione; di qua gli spazi austeri del MIL a Sesto S. Giovanni nelle ex officine della Breda. Di là il quartiere Bicocca, con la grigia e cubica cittadella universitaria, di qua il Museo dell’Industria e del Lavoro. Di là la grande etoile che balla esibendo tecnica formidabile e pura, di qua le nuove tendenze della danza d’oriente. Di là Sylvie Guillem, di qua Yun Myun Fee. Encomiabile lo sforzo intrapreso dal Teatro dei Filodrammatici, che decide di investire in un luogo molto lontano dal centro cittadino milanese, ma integrato con l’ex-città operaia molto attenta ai nuovi fenomeni culturali, per sostenere una programmazione teatrale alternativa alle grandi stagioni.
Sotto la guida di Kuniaki Ida, docente della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, e con il sostegno della Japan Foundation, i sestesi (e i milanesi) hanno avuto l’opportunità di gettare lo sguardo un po’ oltre gli angusti confini dell’occidente fatto di lustrini e gambe a 180°, solleticando la curiosità su ciò che propone il paese del Sol Levante. Gli echi del Butoh si percepiscono appena nei movimenti coreografici delle nuove leve nipponiche, per nulla a digiuno di tecnica accademica (anzi!). Inoltre, i gruppi che si sono avvicendati nella tre giorni del MIL utilizzano con collaudata padronanza i linguaggi dei loro coetanei d’oltreoceano: video, musica tecno, teatro e gestualità.
In Canary and commitment, la coreana Yun Myung Hee irrompe con violenza tumultuosa sul palcoscenico disvelando il lato demoniaco della danza, alternata ad ampi intervalli di lentezze dinamiche, completamente a
costantino pirolo
spettacoli visti il 20 e 21 febbraio 2007
arteatro è una rubrica a cura di piersandra di matteo
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