27 febbraio 2020

L’Urlo di Munch è a rischio: il dipinto sta perdendo il suo colore

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I pigmenti utilizzati da Munch nel 1910 si sono ossidati, portando a un inesorabile deterioramento del colore dell'opera

urlo-munch-1910
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L’urlo di Edvard Munch sta lentamente perdendo il suo colore. A rischio è l’ultima delle quattro versioni del dipinto che il pittore norvegese realizzò tra il 1893 e il 1910, la stessa che fu rubata nel 2004 e recuperata due anni dopo.

A diffondere la notizia sono stati gli esperti del Munch Museum di Oslo dopo i risultati emersi da uno studio iniziato nel 2012. Come riportato dal New York Times, grazie ai raggi X, laser e microscopi elettronici utilizzati per analizzare i pigmenti di colore, gli esperti hanno scoperto che le tonalità giallo/arancio dell’opera si stanno trasformando in bianco/avorio. Il motivo? Jennifer Mass, presidente del laboratorio di Analisi Scientifiche delle Belle Arti di Harlem ha spiegato che osservando la superficie del quadro al microscopio è possibile individuare delle piccole strutture simili a stalagmiti: si tratta di nanocristalli che stanno crescendo sul dipinto.

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Edvard Munch, L’Urlo, 1910

Questi nano cristalli stanno portando al deterioramento irreversibile dell’opera, soprattutto, come si vede dall’immagine, nelle zone di colore che interessano la figura centrale, il cielo e l’acqua.  Il sulfuro di cadmio giallo, a causa della prolungata esposizione, si è ossidato in due composti chimici bianchi, il solfato di cadmio (un sale) e il carbonato di cadmio. Il museo deve quindi capire al più presto come agire per trovare una soluzione che interessi sia i problemi di conservazione che la fruizione dell’opera.

Lo studio condotto sull’Urlo ha rivelato anche nuove informazioni riguardo alla modalità di lavoro e di utilizzo del colore da parte di Munch, fornendo importanti dati per la sua conservazione, ma non solo. Il problema di deterioramento del pigmento del giallo cadmio sembra, infatti, riguardare circa il 20% dei dipinti realizzati tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. I nuovi pigmenti sintetici, come il cadmio o il giallo cromo, ottenuti attraverso processi industriali, andarono a sostituire i i pigmenti di origine naturale, minerale e vegetale, e furono utilizzati con grande entusiasmo per sperimentare nuove tecniche e soluzioni cromatiche. Sebbene fossero molto più luminosi, la loro durata si rivelò non essere altrettanto eccezionale.

Nel 1988 fu proprio Van Gogh, in una lettera al fratello Theo, a riconoscere questo problema: «Tutti i colori che gli Impressionisti hanno reso di moda sono instabili, quindi a maggior ragione non bisogna aver timore di stenderli in modo troppo crudo…il tempo ne ammorbidirà i toni anche troppo». Per poi aggiungere in un’altra lettera, che «I dipinti svaniscono come fiori».

Van Gogh’s “The Bedroom” (1889), Vincent van Gogh Foundation; Van Gogh Museum
Van Gogh’s “The Bedroom” (1889), Vincent van Gogh Foundation; Van Gogh Museum

Il rapporto tra fisica, chimica organica e storia dell’arte non è sempre stato dei migliori. Come ha ricordato Kilian Anheuser, capo dell’equipe di scienziati che lavora nei laboratori del FAEI – Fine Art Expert Institute di Ginevra: «Fino a poco tempo fa, era lo storico ad avere l’ultima parola. Le cose sono cambiate solo dopo un certo numero di scandali legati alle falsificazioni, in cui alcuni degli aspetti decisivi sono stati portati alla luce dalle indagini scientifiche». Uno degli esempi più eclatanti è forse il caso di Van Gogh.

Negli ultimi anni infatti, il Museo Van Gogh di Amsterdam e il Metropolitan Museum hanno allestito mostre mettendo in evidenza la questione del cambiamento delle tonalità e dell’intensità dei colori nelle opere del pittore, come nel caso dei Girasoli. Teio Meedendorp, storico dell’arte e ricercatore senior presso il Van Gogh Museum, ha dichiarato: «È qualcosa che abbiamo realizzato solo negli ultimi 10 anni. La ricerca che si è focalizzata in modo specifico sugli aspetti tecnici ha cambiato radicalmente il nostro modo di pensare».

Ricostruzione digitale dei colori originali del dipinto di Van Gogh, “The Bedroom” (1889), Vincent van Gogh Foundation; Van Gogh Museum
Ricostruzione digitale dei colori originali del dipinto di Van Gogh, “The Bedroom” (1889), Vincent van Gogh Foundation; Van Gogh Museum

Di fronte a questo tipo di fenomeni, c’è poco da fare. Si può intervenire, ma fino a un certo punto. Recuperare le colorazioni originali è impossibile, applicare nuovi pigmenti per ricostruire lo stato iniziale non è una strada percorribile. L’unica soluzione che mette d’accordo tutti, per ora, è quella della “restaurazione digitale”.  Secondo Lena Stringari, vicedirettore del Solomon R. Guggenheim Museum and Foundation: «Il nostro scopo non è quello di applicare nuovi pigmenti sulla tela, ma piuttosto provare a invertire le lancette dell’orologio. Le ricostruzioni digitali potrebbero rendere al meglio la grandezza passata di un dipinto».

Forse, un giorno, ci basterà sollevare lo smartphone per poter osservare il colore autentico delle opere e, nel caso dell’Urlo, un po’ di sforzo in più per immaginare quel cielo al tramonto, giallo intenso e rosso sangue, che travolse Munch all’improvviso.

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