I personaggi che animano le opere di Francesco De Molfetta (1979, vive a Milano) sono piccoli protagonisti di una folle parodia artistica. La loro è un’invasione silenziosa volta a stravolgere il significato più ovvio delle cose rendendolo portatore di idee innovative e stimolanti. Un gioco infinito, eccessivo, a volte crudele, ma sempre e comunque dissacrante. A metà strada tra Duchamp e i Fratelli Marx. Ed è proprio al cinema che l’artista fa più spesso riferimento, a cominciare dal titolo della mostra, quel Frankie goes to Hollywood ambiguamente diviso tra l’amore nei confronti di un luogo ricco di fertili memorie, il viaggio di Sinatra verso il tempio della cinematografia mondiale e la band musicale anni Ottanta. Ma non solo. Tutta la cultura pop viene utilizzata come strumento privilegiato per interpretare nuovamente la realtà attraverso l’arte: la televisione, la musica, la moda, lo sport.
De Molfetta aggredisce le immagini, i materiali e gli oggetti spogliandoli del loro significato originario ottenendo, grazie all’utilizzo di metafore argute, opere concettualmente penetranti e esteticamente efficaci. Il suo lavoro si estende al passato, riutilizzando riflessioni e motivi della storia dell’arte per amplificarne il messaggio. Se appare un po’ scontato sottolineare il legame con Andy Warhol e la Pop Art –soprattutto nella glorificazione ironica dell’oggetto e nella sua sensibilità plastica e cromatica– non lo è, invece, quello con Piero Manzoni, evidenziato in modo palese nei due omaggi del 2006 Merda d’artista e Mosche sulla merda. L’artista, denunciando tutta la sua ammirazione per la poetica dadaista, rivitalizza la celebre opera di Manzoni utilizzando le sue stesse armi: l’individuazione di una nuova dissacrante matrice concettuale, ci restituisce
E poi ancora omaggi, come quello a Lucio Fontana, Taglio di Fontina, quello a Alighiero Boetti, Omaggio a A&B, e infine quello a Mimmo Rotella, Mi manca una rotella…, dove la metafora oscilla tra la beffa intrisa di humour e nonsense e la dimensione magica dell’atmosfera sospesa.
In Codice a sbarre (la prigione dell’arte), del 2006, l’importanza dell’aspetto iconico e di quello semantico vengono rafforzati da una profonda riflessione sulla società dei consumi e sulla venerazione religiosa delle merci, simulacri tangibili di una realtà sempre più dominata dall’invadenza dei mass-media. Anche un tema esteticamente tragico e difficile come la crocifissione, non sfugge a questo violento e paradossale meccanismo creativo; e così Cristo finisce per vestire i panni di Superman (Jesus Christ Superstar, 2006), in un gioco che trova la sua forza nell’aspetto surreale dell’immagine. Quella di De Molfetta è una continua e irrefrenabile poesia visiva capace di produrre nuovi significati avvalendosi di operazioni artistiche e concettuali messe in atto per costruire ulteriori universi metaforici. Infine non va assolutamente dimenticato l’apporto fondamentale del titolo, sempre basato sul gioco di parole e sulla manipolazione del linguaggio.
nicola bassano
mostra visitata il 9 ottobre 2006
Dalla prima tappa berlinese di The Clock di Christian Marclay alle installazioni immersive di Petrit Halilaj, passando per pittura contemporanea,…
Al MA*GA di Gallarate, fino al 12 aprile 2026, il racconto di come si irradia in Italia l’astratto a partire…
Dopo una lunga attesa, parte ufficialmente la direzione di Cristiana Perrella: oltre alla grande mostra UNAROMA, dedicata allo scambio intergenerazionale…
John Armleder gioca con l'eterna ambiguità tra opera e merce, per proporre una concezione allargata dell’arte. E la mostra al…
In un’epoca che sottrae presenza alle cose, il grande fotografo Martin Parr ha lasciato un’eredità che appartiene a tutti: la…
Fiere, aste, collezionisti, maxi aggiudicazioni. Un racconto per frame, per picchi, per schianti, più o meno approfonditi e intrecciati tra loro,…