Un’intima relazione tra le opere presentate e l’architettura, tra i quadri esposti e lo spazio concesso all’artista: Peter Weiermair – direttore della GAM e curatore di questa importante personale dedicata a Marco Tirelli – parte da quest’aspetto. In mostra quarantaquattro opere del pittore. Ponendosi al centro ci si trova così immersi in una contemplazione d’infinite figure. Attorno alla stanza centrale ruotano poi altre stanze più piccole che, percorse e visitate, mostrano ognuna una serie di opere ad approfondire il nostro cammino nella poetica dell’artista.
Sono dipinti poligoni regolari e compositi, l’uno diverso dall’altro, disegnati a tre dimensioni con colori neutri. Eppure quando siamo davanti ai quadri di Tirelli non possiamo cadere in una lettura strettamente geometrica. Come Giorgio Verzotti sottolinea in catalogo, esse “sono la resa formale, per progressiva spoliazione dei tratti, di immagini del visibile, figure soggette all’esperienza, addirittura oggetti e arredi domestici. Una ricerca delle essenze che non dimentica la loro vicinanza ai fenomeni.”.
Un ruolo importante nell’opera di Tirelli è rivestito infatti dall’uso di simboli. Lui stesso più volte ha ribadito la necessità di sviluppare nei suoi lavori la ricerca di “immagini che abbiano una forte carica simbolica e da lì avviare un processo di
Per comprendere appieno il lavoro di Tirelli va infine approfondito il concetto di spazio. Tutte le sue figure emergono infatti da uno sfondo che è quasi sempre molto scuro. Sembrano venire dall’infinito, come se oltrepassassero una soglia solo per farsi solo immaginare. La superficie del quadro è quindi l’istantanea di una forma carica d’immaginario che si propone avvicinando all’Assoluto. Un Assoluto con cui da sempre la nostra mente cerca di entrare in
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