Nel linguaggio giuridico l’appropriazione indebita si definisce come l’azione di “chiunque, per procacciare a sé o ad altri un indebito profitto, si appropria di una cosa mobile altrui che gli è stata affidata”. Senza scomodare la più rinomata giurisprudenza interpretativa, va da sé che l’arte, soprattutto da quando si è mischiata con l’estetica (come sostiene qualcuno), abbia fatto un uso smodato di tale pratica. La diffusione di codesto modo di operare, per cui si cita ogni volta il buon Marcel Duchamp, si è perpetrata negli anni attraverso sempre nuove forme d’espressione.
Essa, solitamente, latita dai luoghi canonici di esposizione, per una sua strana attitudine all’illegalità. Il progetto di Kforumvienna tocca tutte queste sfere di interesse, e sembra addirittura uscirne “pulito”. Nello specifico, per quanto riguarda le azioni che hanno destato tentativi di denuncia, disapprovazione nel vicinato e parole non troppo gradevoli, curatori e galleristi si erano impegnati in richieste di permessi e avvisi notevolmente anticipati, rischiando di rovinare l’effetto sorpresa. Per Aldo Giannotti (Genova, 1977) e Stefano Giuriati (Vicenza, 1966) però, non c’è preavviso che tenga. La loro riflessione sulle identità nazionali nell’Unione Europea, che passa attraverso il viaggio di due carabinieri, sbarca a Bologna con dei toni a dir poco fragorosi. Fuori della galleria un’auto che si camuffa da “pantera” (volante dei carabinieri) sembra aver profanato un cassonetto, dentro lo spazio alcune foto documentano le principali tappe del tour europeo.
Ai visitatori, già all’esterno della galleria, non è permessa una fruizione sbadata, distratta. Il rombo di un motore segnala la presenza sonora di Jeroen Kooijmans (Schijndel, Olanda, 1967). Il suo autoritratto consiste appunto, nell’aver introdotto al posto del classico “vroooom” dell’acceleratore un più personale Jeroeoeoen (installazione audio, 1998).
Autorappresentarsi, quindi, non significa tracciare una copia di se stessi il più simile possibile al reale, ma reinterpretare il sensibile, il vissuto.
Daniela Comani, infatti, nel suo Ich war’s. Tagebuch/Sono stata io. Diario 1900-1999, rivive i fatti più tristi che hanno caratterizzato il secolo scorso. Recitando alla prima persona singolare le frasi di autoaccusa dei delitti, delle stragi o anche solo delle complicità, i reati assumono i connotati di una colpa collettiva, di una presa di coscienza (come chiarisce Emanuele Guidi nel testo in catalogo). Il peso del proprio io, l’insostenibile pesantezza dell’essere. Prova a liberarsene San Keller (Schlosswil Berma, Svizzera, 1971), che in The Great Lightning (video 112’52’’, 2003) attraversa New York trascinando, in un moderno Calvario, una pietra svizzera di un peso equivalente al suo, il giorno del suo sbarco negli States. Così la sua purificazione tramite sgretolamento della sua identità-palla al piede, diventa una partecipativa performance di arte relazionale. Ad uso pubblico e con l’aiuto del pubblico.
claudio musso
mostra visitata l’8 marzo 2007
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