È una creatura bizzarra Devendra Banhart (Houston, 1981; vive a New York), eccentrico songwriter americano, artista versatile e pieno di talento, alla sua prima vera personale dopo l’esordio newyorkese alla Andrew Roth Gallery del 2004. Dopo aver frequentato nel 1998 il San Francisco Art Institute, decide di assecondare la sua vocazione musicale, esibendosi in molti locali tra Los Angeles e San Francisco. Ma è l’incontro casuale con l’ex-cantante degli Swans Michael Gira a sancire l’esordio discografico di Banhart, che nel 2002 registra, per l’etichetta indipendente Young Gods l’album Oh Me Oh My…The way the day goes bythe sun is settino dogs are dreaming lovesongs of the Christmas spirit. A questo disco faranno seguito altri tre lavori, due nel 2004 –Rejoicing in the hands e Nino Rojo– e uno nel 2006 dal titolo Cripple crow.
Osannato, sin dal suo esordio, dalla critica mondiale, pronta a coniare per la sua musica l’etichetta di “pre-war folk”, Devendra colpisce per il suo look stralunato da freak, a metà strada tra un mistico indiano e un cantante glam londinese dei primi anni Settanta. Le sue canzoni, minimali, a volte incompiute ma sempre dense di atmosfere rarefatte, melodrammatiche e fumose, sono dominate da liriche lievi, cariche di humour, colte, emotivamente sofferte. È proprio sulle copertine dei suoi album che il cantante propone per la prima volta alcuni dei suoi disegni, per sua stessa ammissione parte fondamentale di un processo creativo che non si limita all’aspetto musicale. Questa sintesi perfetta tra arte e musica, sottolineata con forza dal curatore della mostra Diego Cortez, sembra attingere a piene mani da un universo immaginario dominato dall’introspezione, geograficamente affine a quello grottesco e darkeggiante di Tim Burton. La personale di Modena presenta una serie di disegni inediti su carta, a tecnica mista, realizzati tra il ‘99 e il 2006; opere bidimensionali costruite grazie all’intreccio di linee, simboli e segni in un linguaggio visivamente onirico che può prestarsi a molteplici interpretazioni.
Le figure che dominano la scena sembrano partorite da una coscienza finalmente libera di esprimersi e recuperare i segni di antiche civiltà. La memoria si abbandona al flusso inarrestabile dell’artista che lascia dietro di sé paesaggi fuori dallo spazio e dal tempo e sagome deformate da una spiritualità debordante e incontrollata. Il risultato di tutto ciò è un mondo artificiale, volutamente sviluppato in superficie, graficamente scarno e essenziale ma comunque animato da inquietanti presagi. È una realtà sospesa, strutturata sulle deboli fondamenta dell’inconscio, frutto di combinazioni grafiche automatiche che racchiude nella disarmonia delle leggi che la animano un profondo e inaspettato senso del sacro.
nicola bassano
mostra visitata il 4 luglio 2006
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tra tanti artisti cantanti, ci voleva un cantante artista per avere un po' d'arte arte!
forse parli di nico vascellari ? i lavori della sua mostra a monitor erano molto belli.
Lui é un pó troppo hippie per moda per i miei gusti, pero quando canta é uno spettacolo. Alla mostra comunque devo ancora andare, quindi... Mi ricorda un poco la storia di Vincent Gallo, della mostra alla (ormai defunta da tempo) Lotta Hammer Gallery, anche se i due sono molto molto differenti...