In fondo è la morale di Benjamin: nell’età della riproducibilità tutto diventa pop, tant’è che molta parte dell’arte contemporanea si esprime secondo un codice linguistico che attiene ad un preciso immaginario iconografico, riproponendo una condizione che ha caratterizzato l’arte storica fino alla pittura en plein air e che il ‘900 aveva spazzato via. La differenza evidente sta nel fatto che se l’immaginario iconografico dell’arte storica occidentale, fondato sulle Sacre Scritture o su canoni celebrativi, si caratterizzava per una sostanziale fissità che confermava il dogma e
Nell’età della proliferazione dei modelli come può l’arte rifuggire dal rischio di apparire muta, operando sul veicolo segnico (Brandi), senza rischiare di farsi per contro effimera, qualora si occupi solo del designatum, ciò al quale il segno si riferisce? La soluzione, secondo Donald Baechler (n. Hartford, Connecticut, 1956), un caposcuola della pittura contemporanea non meno di Basquiat , è la ricerca dell’archetipo, forme elementari del linguaggio figurativo occidentale, dalle quali provengono i modelli della comunicazione odierna.
L’abecedario iconografico di Baechler si dispiega con un rigore perfetto, a partire dalla prassi stratigrafica: la tela è ricoperta di collage di stoffa dall’omogenea
Nelle carte l’attitudine al divenire si fa più evidente: gli inserti di ritagli di giornale, disegni rubati, descrivono una pratica archeologica che fa del ready made lo strumento che rivela le origini della moderna identità collettiva.
Nella splendida mostra di San Marino, organizzata grazie alla collaborazione dell’artista e dello Studio Raffaelli di Trento, sono in mostra 77 dipinti, la maggior parte di medie dimensioni (cm. 61×61). Un evento importante che rischia di passare sotto silenzio causa la totale assenza di promozione (perfino in città): un vero peccato.
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