Sei artisti nordici per una mostra che si farà ricordare. Sei diverse ricerche che pur mantenendo una poetica autonoma, presentano aspetti simili. Prima di tutto l’uomo, messo sempre al centro, in rapporto allo spazio o a se stesso. Come seconda cosa, la luce. Perché il concetto di Nord si basa innanzitutto su un modo diverso di intendere la luce, scelta per rischiarare un luogo conosciuto e familiare, naturale o domestico, caricandolo di interrogativi e ambiguità, rendendolo talvolta ostico. Una luminosità che porta ad una sensibilità più intensa e sofferta, ma anche ulteriormente pudica e inibita. Infine, la scelta di mezzi freddi per antonomasia, la macchina fotografica e il video, per una fotografia che diventa spazio di sperimentazione del reale.
Le ragazze adolescenti di Sarah Jones (Londra, 1959) non sono ritratte in modo convenzionale, ma come un insieme di elementi studiati con sguardo analitico per indicare malessere e preoccupazione. Le ragazzine incerte sembrano infatti ospiti all’interno delle loro stesse case come in luoghi ostili, mentre si rifugiano sotto un tavolo o si appoggiano al letto in cerca di un possibile aiuto. La donna è assoluta protagonista anche del lavoro della bravissima fotografa e cineasta Salla Tykkä (Helsinki, 1973), sempre in preda a situazioni misteriose casuali, a volte del tutto innocue, che scatenano paure e desideri nascosti di autodistruzione. Come in Cave, dove s
La ricerca intima di Elina Brotherus (Helsinki, 1972), che riprende nel pittorico Wanderer 2 il romanticismo e il posizionamento della figura dell’omonimo quadro del 1818 di Caspar Friedrich, diventa legame spontaneo con il dato naturale, presa di coscienza sul ruolo della donna attraverso la ricerca di gesti liberatori e primordiali. La svedese Annika von Hausswolff (Gothenburg, 1967) traduce invece il legame fisico uomo-oggetto. Mobili domestici comuni –una sedia, un armadio, un divano dai cuscini scomposti– prendono il sopravvento divenendo ricettacolo di ricordi e vissuti umani. Nel film Nightfall, i gemelli irlandesi Walker and Walker (Dublino, 1962) raccontano il viaggio solitario di un uomo in barca che si trasforma in un profondo soliloquio tre le luci del crepuscolo, interrotto dall’apparizione di un personaggio identico, quasi proiezione o sdoppiamento del primo, che crea un veloce disorientamento.
Il video e le fotografie silenziose di Walter Niedermayr (Bolzano, 1952), dal bianco abbagliante, dimostrano, infine, giocando sulla percezione spaziale, il predominio dello spazio alpino sull’uomo infinitamente piccolo che si muove a stento nella nebbia. Artisti che colpiscono dunque, al di là dell’apparente freddezza, per il calore interiore e il tormento che trasmettono. Un disagio interno misurato, senza drammatizzazioni eccessive.
Gli occhi atterriti della protagonista di Zoo, il fastidio delle adolescenti della Jones, lo sguardo lucido della ragazzina in Lasso di Salla Tykkä, fisso sul corpo maschile che salta la corda o la contemplazione della Brotherus, hanno la stessa metafisica inquietudine. E proprio in questo sta la grande forza dei nordici: nel non lasciar trapelare quasi nulla, se non un piccolo accenno. Che lascia però intuire un baratro.
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