Larry Fink (Brooklyn, New York, 1941; vive in Pennsylvania) ha cominciato a fotografare all’età di soli tredici anni e già da allora le sue immagini preferite erano i protagonisti più o meno affermati del mondo jazz, personaggi del calibro di Thelonius Monk, John Coltrane, Kenny Dorham e Steve Lacy.
Fink è un bianco che entra in punta di piedi nei club di musica jazz di New York -che negli anni Cinquanta erano quasi esclusivamente frequentati da neri- assorbendo le vibrazioni di quell’ambiente, che diventa per lui gradualmente simbolo di uno stile di vita. Con la fotografia riesce a partecipare empaticamente al ritmo degli habitué del Village e di Harlem. Affascinato dalla loro energia, espressa nella ribellione al pesante razzismo dell’America di allora, sceglie come mezzo ottimale istantanee in bianco e nero dal forte impatto chiaroscurale.
L’effetto caravaggesco dei contrasti di luce-ombra è messo in evidenza dall’uso costante del flash: il sudore che scorre sulla fronte di Horace Parlan al piano (1960), i muscoli guizzanti di Don Ayler (1966) e quelli di Sirone -intento a suonare il contrabbasso in una jam session della Revolutionary Ensemble (1972)- fanno assumere ai soggetti ritratti tutta la sensualità di un Ercole canoviano.
Fink ritrae indistintamente musicisti più e meno noti: il musicista della metropolitana o quello all’angolo della strada ottiene la stessa attenzione (Ray Kirk, Washington DC Dicembre 2002 e New York street Musician, Aprile, 1966). Esattamente come Russell Rudd e Steve Lacy (luglio 1964), che suonano a testa bassa e con la fronte corrugata, così come Dave Burrel, (agosto 1966), che china il capo sulla tastiera come fosse inginocchiato in preghiera.
Lo strumento musicale dunque diventa oggetto mistico: il sassofono di John Coltrane, posato su una preziosa sedia in velluto a fiori, è quasi un’icona sull’altare. Come la mano del bambino che affettuosamente Roland Kirk (NYC luglio 1965) bacia. La stringe alle labbra come il suo sassofono, confermando ancora una volta l’idea che il suo lavoro e il suo intimo siano indissolubili.
La famiglia è anch’essa quotidianamente coinvolta: l’immagine di Buck Hill (dicembre 2002) seduto nella cucina di casa, con il suo sassofono e con un’arancia in primo piano posata sul tavolo fa sorridere e ricorda gli scatti dei momenti di intimità di Garry Winogrand e Lee Friedland.
Come dichiarava Diane Arbus negli anni Sessanta “…l’apparecchio non è più da considerare un oggetto freddo nelle mani dell’operatore, bensì un allargatore delle potenzialità psicofisiche possedute dal soggetto”. Analogamente, ma con risultati totalmente diversi, Fink utilizza la macchina fotografica per raccontare la passione dei suoi eroi.
alessandra cavazzi
mostra visitata il 16 settembre 2006
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