Il segno, prima di tutto. Da creare attraverso i movimenti e la misura di rotte stellari che sondano i misteri del cielo riproducendone i percorsi. Walter Valentini (Pergola, 1928) s’ispira da sempre ad una precisa estetica della bellezza, per riportare all’interno della sua opera, con valenza quasi nostalgica, i valori perduti della misura aurea, dell’arte e della filosofia. E questo fin dall’inizio del suo percorso, da quando nel Palazzo Ducale di Urbino, alla Scuola del Libro sotto la guida di Carlo Ceci, scopre il fascino delle misurazioni, della luce e delle potenzialità del rapporto uomo – spazio. Dapprima dunque l’amore per l’incisione e in seguito per il dipingere esclusivamente con la materia, come nelle opere di questa sua ultima personale che vanno dal 2005 al 2006, sintesi di un’intera carriera.
L’ispirazione qui nasce da una stella misteriosa, Aldebaran, appartenente alla costellazione del Toro, visibile all’orizzonte verso l’alba e faro per i naviganti, protettrice della creatività e degli artisti. Valentini crea la sua personale mappa per raggiungerla, con un approccio suggestivo al disegno che rimanda ad una memoria romantica, pescando nelle reminiscenze del mito con una sorta di romanticismo ideologico legato in qualche modo ad una visione archetipica e astrologica del cielo. Ci riporta a quella concezione esoterica delle stelle propria degli antichi -che le identificava come simboliche guide e fonti di luce per i viaggiatori- compiendo un tragitto non soltanto nello spazio ma anche nell’anima, attraverso il pensiero e ideologie di armonia assoluta. Stelle dense, pianeti, nebulose, che diventano quindi sulla tavola segni geometrici, cerchi esatti e circonlocuzioni spiraliformi, concrezioni fluttuanti e sempre diverse seppur per piccoli particolari (Pegaso, Antares).
Ellissi e ascisse che si rincorrono lungo il tracciato in una perfetta e studiata ripartizione matematica degli spazi, segmenti che si muovono con un flusso multiforme dettato come dal disegno di un compasso, tangente alle linee e ai diversi punti di fuga, su fondi di sabbia, legni, terra e sassi poi rovinati e disgregati con lo scalpello e superfici scabrose perennemente in movimento. Sono pochi i colori essenziali che l’artista utilizza per delineare gli elementi dei suoi pianeti, il bianco, il nero e l’oro prezioso degli Egizi, talvolta il grigio. Ma non soltanto la geometria armonica interessa all’artista. Perché la ricerca di un ordine astrale può riflettere un’esigenza d’ordine interiore, un richiamo di carattere psichico, una vera e propria cosmogonia dell’inconscio. Andare verso Aldebaran, verso una stella che porta lontano, diventa così metafora di un tendere verso l’infinito, verso un viaggio della mente che di fatto non terminerà mai.
francesca baboni
mostra visitata il 30 aprile 2006
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