Categorie: Design

design_fermenti | Designer a domicilio

di - 31 Gennaio 2008
Prendere la materia e farci poesia. Materia che è odore, peso, colore, tempo depositato e tempo dilavato. Materia che non sono alberi e pietre, ma sedie e tavoli. Mezzo secolo fa Giorgio de Chiricorappresentava le facce altre della realtà. Oggi un designer, Giovanni Delvecchio (Cesena, 1981), fa della realizzazione delle possibili alternative alla realtà materiale la propria professione.
Già membro del gruppo Dorothy Gray, a un certo punto Delvecchio ha una visione: “Cosa succederebbe se tutti i designer andassero dai loro vicini per intervenire all’interno delle loro case?”. Ed ecco che, in piena globalizzazione, a fare concorrenza all’idraulico polacco nasce la figura del designer a domicilio.
Che è cosa diversa dall’interior designer, il cui lavoro consiste nel calare dall’alto un progetto a cui la materialità dell’arredo si deve adeguare. Non l’“idea” costituisce il momento sorgivo del design a domicilio, ma la situazione contingente che s’incontra in un appartamento popolato da oggetti che hanno una loro storia, un loro vissuto, particolari idiosincrasie. Siamo agli antipodi di Gillo Dorfles e del design inteso come progettazione di oggetti producibili in serie.
Certamente, in questo modo di fare design, sempre in presa diretta, “artigianale” ma sofisticato, c’è qualcosa di molto vicino all’arte pubblica, e non a caso una volta terminato il suo intervento su una camera da letto, un soggiorno o una cucina, Delvecchio non esita ad attribuire loro un titolo, come se si trattasse di installazioni artistiche. Eppure, ci tiene a precisarlo, il suo lavoro non è arte, è design.

Di sicuro è un nuovo modo di esercitare la professione del designer, nato come conseguenza di un’esigenza poetica prima che economica. Ti senti schiacciato dall’ottusa coerenza degli oggetti che ti circondano? Chiama il designer a domicilio, lui arriva con la sua Uno bianca piena di strumenti e confusione, ti guarda in casa e vede magia dove tu vedi polvere, gli offri un caffè, ti chiede se può fumare o se deve andare sul balcone, conversate un po’, lui ti ascolta, annusa i tuoi oggetti, magari intanto ti sfoghi e quando stai meglio vi salutate.
Oppure scoprite che i vostri sogni in qualche punto si toccano e allora osi, ti lasci coinvolgere dalle visioni del designer a domicilio e ti accorgi che il tuo paesaggio domestico non è solo ciò che è ma anche qualcos’altro, ti rendi conto che i tuoi oggetti, proprio quelli e non altri, hanno mille volti che non ti hanno mai mostrato perché costretti in un piano d′arredo spesso improvvisato o, peggio, progettato che prevedeva ti rivolgessero sempre la stessa faccia, intrappolando anche te in una ormai ingiustificata fissità delle cose.
In fondo, è una sfida: “Io vado dal cliente e gli dico: tu mi dai 500 euro e io ti trasformo la stanza da letto a partire da quello che hai in casa”. Non si tratta di pianificare un intervento progettuale ma di muovere dalla sensibilità di oggetti specifici (preferibilmente plasmati dagli anni e realizzati in materiali densi di senso, come il legno o il ferro battuto) per accoglierne in sé le storie e le pieghe caratteriali, sempre uniche, e farne inattesa poesia materiale.
Oggi che la realtà si è fatta fluida, il fatto che le cose siano come sono ci appare non come una necessità ma come un un fatto contingente: che una sedia sia proprio una sedia è un fatto accidentale che come tale può essere anche in un altro modo. Interagendo con questa nuova antropologia, il designer a domicilio entra negli appartamenti e a un prezzo politico si mette a frugare in cerca di alternative ai precipitati materiali delle nostre quotidianità. Si tratta di intraprendere (nella realtà, non nei sogni) un viaggio come quello di Alice nel paese delle meraviglie, che poi non è altro che il mondo in cui viviamo: “Ogni casa è un mondo. Ogni casa è un museo. Le persone, prima diffidenti, poco per volta si aprono e mentre guardo un quadro bellissimo mi raccontano tutte le modifiche che hanno fatto in cucina e gli ultimi spostamenti dei divani. ‘Lì è più comodo ma arriva meno luce’, mi diceva una signora. E tu impari, impari, impari. Poche volte mi lasciano degli oggetti, forse perché mentre ne parlano si accorgono che ci sono ancora affezionati. Ma quando lo fanno la gioia è immensa. Il design dei libri non insegna niente. Sai quante case ci sono al mondo? Sai quanti mondi in ogni casa? Io sono molto curioso”.

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Do – Nucleo Culturale Faenza
Dorothy Gray

stefano caggiano

[exibart]

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