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Gianfranco Baruchello – Sperimentazioni desideranti
Sedici video e un progetto. Esattamente l’essere non nominabile dell’opera di Baruchello, carattere che travalica il suo compiuto eclettismo e che discende dall’adozione del pensiero del molteplice. E’nell’essere estremamente privato e radicalmente politico, nell’attenzione verso il quotidiano, nella comprensione del lavoro artistico come creazione di nuove forme di vita che Baruchello diventa un interprete intelligente di alcune delle istanze più radicali che hanno caratterizzato i movimenti dei tardi anni Sessanta e di quasi tutti gli anni Settanta.
Comunicato stampa
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SPERIMENTAZIONI DESIDERANTI
di Marco Baravalle
E’ difficile trovare un titolo per Gianfranco Baruchello. Lo è perché la sua opera, ormai pluri-decennale, è priva di un centro, di una vicenda consequenziale e progressiva. Al contrario, appena ti sembra di aver colto il punto, lei scarta di lato, procede per fughe, strappi, accelerazioni, brusche frenate. La sensazione, messi di fronte alla necessità di nominare il lavoro di Baruchello, è quella di dover definire un panorama troppo vasto. Cosa c’è oltre l’orizzonte?
Inoltre è un problema di scala. Da giorni ho l’impressione di essere troppo vicino o troppo lontano da Baruchello. La visione di insieme sacrifica le specificità, le specificità sacrificano qualcosa di un più di una panoramica generale. Ma cos’è questo qualcosa in più? Esattamente l’essere non nominabile dell’opera di Baruchello, carattere che travalica il suo compiuto eclettismo e che discende dall’adozione del pensiero del molteplice.
Scrivere a proposito di questo artista, significa scrivere il nome molteplice, ma esso, nella sua dimensione testuale, nel supporto materiale (cartaceo o digitale), nella gabbia del significante, è come una cisterna che non regge più il peso del liquido interno, che preme per uscire, che fa saltare i bulloni, che inevitabilmente tracima.
Essa rifiuta la sintesi, rifiuta l’uno, rifiuta la definizione.
Perciò il dispositivo critico è in crisi. Perciò Carla Subrizi, in un saggio magistrale sul cinema di Baruchello, insiste sulla necessità di una contestualizzazione storica, piuttosto che sull’esame iconologico del complesso universo filmico dell’artista.
In un passo particolarmente significativo, la studiosa sostiene che la riflessione sul medium, nel cinema di Baruchello, non possa esaurirsi in quanto semplice recupero di una pratica modernista e afferma: “alcune opere si sono poste dunque non all’interno di un storia del mezzo usato, ma al di fuori di essa, come ipotesi di un diverso modo di costituzione del linguaggio”.
E’in questo ambito post-mediale, in questo fuori, cioè dentro ad un esodo dalla disciplina istituzionale che può essere letta la vicenda storica dell’opera di Baruchello, in questa scelta decostruttiva dei linguaggi dominanti che è contemporanea costruzione di linguaggi altri.
E’nell’essere estremamente privato e radicalmente politico, nell’attenzione verso il quotidiano, nella comprensione del lavoro artistico come creazione di nuove forme di vita che Baruchello diventa un interprete intelligente di alcune delle istanze più radicali che hanno caratterizzato i movimenti dei tardi anni Sessanta e di quasi tutti gli anni Settanta.
Gli anni delle lotte autonome e del rifiuto del lavoro di fabbrica, delle occupazioni e del femminismo. Gli anni della scoperta del valore politico delle forme di vita. Gli anni della sperimentazione, gli anni che (oltre la tragicità del terrorismo e della strategia della tensione) hanno restituito al desiderio la sua dimensione politica, sociale ed economica.
Questo è, senza alcun dubbio, Baruchello: uno sperimentatore desiderante, un ingegnere (o un agricoltore) del rizoma. Un artista poliedrico e pioniere (come nel caso del precoce utilizzo del video) che ha sempre evitato l’estetizzazione della politica ed ha trasceso l’ambito della politica della rappresentazione.
Baruchello è l’artista dei “mille piani”, è l’artista che libera il potenziale sovversivo del desiderio, il quale, una volta rassicurato della capacità del raggiungimento del proprio oggetto, si fa film, si fa pittura, happening, operazione concettuale, fotografia, processo, creando topografie di immagini, di testo, di linee, di movimento, di suoni, di ritmi e di tempi.
Baruchello, parafrasando il titolo di un famoso romanzo degli anni Settanta è l’artista che “vuole tutto”, essendo il desiderio la materia che intesse la trama del molteplice.
Non è un caso, del resto, che il riconoscimento istituzionale a questo artista (pur apprezzato da personalità del calibro di Marcel Duchamp e John Cage) stia tardivamente giungendo solo in questi ultimi anni.
Come non è un caso che l’operazione Agricola Cornelia S.p.a. (1973-1981), un processo artistico legato alla creazione e alla gestione di una vera e propria azienda agricola, tragga spunto, mascherato da ingenuo “ritorno alla terra”, dalla diffusione del rifiuto del lavoro come forma di lotta operaia.
“ L’agricoltura come arte magica riservata ad un sempre minor numero di individui che resistono alla seduzione del lavoro di fabbrica?” si chiede Baruchello nel’introduzione a “Agricola Cornelia S.p.a. 1973-‘81”, libro stampato in occasione di una mostra nel 1981 e elemento organico, sotto ogni aspetto, al complesso progetto artistico.
Di questa opera, di cui al S.a.L.E sarà presentata solo qualche documentazione (un frammento sotto forma di una serie di fotografie) deve essere ancora costruito il display definitivo.
Del lungo racconto di Agricola Cornelia S.p.a. che è stato descritto nel libro How to imagine, pubblicato nella sua versione americana (ancora inedito in Italia), Sperimentazioni desideranti vuole affermare che “intanto se ne può parlare, far vedere qualche oggetto”. Agricola Cornelia è difficilmente riassumibile, se non nella sua logica di dispositivo rizomatico, di macchina tesa alla concatenazione dei differenti aspetti della vita dell’artista. Il tentativo di Baruchello è stato quello di creare una continua sintesi disgiuntiva tra il proprio lavoro di artista e quello di agricoltore in cui potessero co-implicarsi (senza uniformarsi) la pittura e il parto di un vitello, l’apicoltura e l’arte concettuale, il lavoro agricolo e il ready made.
Agricola Cornelia si può descrivere solo come un filo conduttore (durato sette anni) di una produzione eterogenea in cui la posta in palio è proprio il tentativo della riarticolazione dell’eterogeneo nel molteplice, oltre alla ricerca di nessi tra valore d’uso e valore di scambio, delle produzioni dell’artista e dell’agricoltore.
Dentro a quest’opera è possibile isolare una serie sorprendente di temi di interesse artistico. Il tema dell’abbietto, ad esempio, rintracciabile nella fascinazione di Baruchello rispetto alla terra che si trasforma in fango-brodo primordiale, oppure il tema dell’agricoltura come attività regolata dal caso (dalla meteorologia, dai capricci della natura), dunque il lavoro agricolo come anti-lavoro, al pari della casualità dadaista come anti-arte. Infine, il tema dell’interdisciplinarietà, del limite, rintracciabile nella descrizione dell’agricoltore come “fabbro-elettricista-falegname-idraulico-muratore”.
Insomma, Agricola Cornelia è preziosa poiché, come afferma l’artista stesso, “è un calco imperfetto del lavoro di Baruchello dal 1973 all’81”. E’ il tentativo, naturalmente a-sistematico, di comunicare la dimensione del rizoma, quella dimensione che è la cifra della sua inafferrabilità e, in fondo, di un desiderio.
12
marzo 2009
Gianfranco Baruchello – Sperimentazioni desideranti
Dal 12 marzo al 18 aprile 2009
arte contemporanea
Location
MAGAZZINI DEL SALE
Venezia, Dorsoduro, 265, (Venezia)
Venezia, Dorsoduro, 265, (Venezia)
Vernissage
12 Marzo 2009, ore 19
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