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Giordano Morganti – Blood on Blood
La Vision Quest Contemporary Photography inaugura la stagione 2009/2010 con la mostra fotografica di Giordano Morganti “Blood on Blood”. Le immagini fanno parte di un progetto che Morganti ha realizzato in oltre dieci anni nelle città di Roma e Milano sul mondo dei senza fissa dimora
Comunicato stampa
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La Vision Quest Contemporary Photography è lieta di presentare in occasione di START, la riapertura in contemporanea di tutte le gallerie d’arte di Genova per la stagione 2009/2010, la mostra personale di Giordano Morganti “Blood on Blood".
Le fotografie in mostra fanno parte di una ricerca avviata circa undici anni fa a Roma in occasione della manifestazione del premio Anima per la quale Simona Marchini, presidente, chiese a Giordano Morganti di partecipare con una mostra sui senza fissa dimora. Dopo la presentazione di dieci immagini al Campidoglio, Morganti si ferma perché non sente prettamente suo questo progetto, poiché non trova alcuna contraddizione ma fatti reali che contrastano con il suo solito modo di fotografare la ricerca dell’estetica, ritratti, lavori fatti in studio non in presa diretta come questo lavoro richiedeva. Abbandonato questo progetto e tornato a Milano anni dopo, alla Stazione Centrale si ritrova a dover chiamare il Pronto Soccorso per aiutare un barbone in difficoltà Osservando le reazioni indecenti delle persone intorno si ritrova e voler riprendere quella direzione che anni prima aveva deciso di abbandonare. Inizia così il percorso che lo porterà a conoscere Said, barbone nato nelle favelas brasiliane, che da lì in poi lo accompagnerà nei sotterranei di un gruppo di capannoni vicini allo scalo merci di Piazzale Lodi. Questo luogo, che oggi non esiste più poiché completamente smantellato, è abitato insieme ai topi da centinaia e centinaia di persone, di varie nazionalità e astrazioni sociali, rifugiati, clochards, tossici, nel degrado assoluto fra la sporcizia, gli escrementi e il fetore con il terrore costante dell’irruzione da parte della polizia,.
La prima sensazione davanti a queste immagini è quella di osservare l’apparente “normalità” dei volti e dei corpi ritratti, la loro storia, il loro orgoglio, la loro complessa diversità.
Successivamente si manifesta la consapevolezza di uno smarrimento totale: spettatrice di una umanità che ci appartiene è vero, ma che per molti di noi esiste ai confini della “società”. Esseri senza patria, casa, affetti, moralità e quindi rifiutati e respinti, “deportati, come si è fatto con i rifiuti tossici, in qualche altra parte del mondo” come scrive Sandro Parmiggiani, in uno dei testi del catalogo che accompagna la mostra. Nella mia vita di ogni giorno quante volte, infastidita davanti a visioni simili, avrei voluto cancellarle, lontane dalla mia realtà, rimosse?
La forza di queste immagini, diciotto in mostra, quaranta nel catalogo e cento dieci a comporre l’intero progetto, risiede nella totale assenza di stupore, non vi è né complicità né pietismo. Esse diventano quindi lo specchio di noi stessi, delle nostre debolezze, del nostro imbarazzo e razzismo, dei nostri pregiudizi: la nostra umanità fatta di ordinari pregi e grandi difetti.
Clelia Belgrado
“Ho osservato per anni certa gente, la gente grigia che affolla la strada ma questa gente non ha mai sfiorato la mia mente e per anni ho cercato altra gente, quella che vive di stracci e di paura, quella che quando ti guarda non ti chiedi perché, il perché lo sai e lì non puoi barare. L’ho cercata perché volevo aprire una porta e guardare vivere la morte!
Gente che non sa e che non cerca, è lì che l’ombra si estingue in altra ombra, sono corpi che giacciono.
Tu cerchi senza trovare, loro sono lì con te all’inferno, punto.
Ore e ore, giorni settimane ti scavalcano, e tu sei lì ma anche loro, vai solo se muori, altrimenti resti!
Loro sembrano immortali e tu ti senti amorale, corrotto e cieco.
Che volete che vi dica, sembrano tutti avvolti in lenzuola bianche che si sono sporcate di noi, che sembriamo puliti perché il nostro sporco è l’unica cosa che siamo stati capaci di regalargli, per poi dire che puzzano e ci fanno schifo perché siamo noi che ci facciamo schifo; tanto loro portano bene il nostro orrore e noi possiamo tranquillamente odiarli.
Ho mangiato con loro nella sporcizia, cibi provati, odori cattivi, sapori strani in piatti lerci seduti nel freddo senza amore né gioia, sempre a cantare la stessa triste storia come se ogni sera fosse la stessa. I più anziani hanno occhi che non vedono più, tanta è la loro indifferenza.
Poi sono tornato nella mia casa e ho capito che a volte si muore tante volte prima di morire per sempre.”
Giordano Morganti
La sera dell’inaugurazione alle 21.00 nella “Speaker’s Corner” in piazzetta fuori della galleria si terrà un dibattito/incontro, con Giordano Morganti e l’intervento di, Sandro Parmiggiani, Luca Guzzetti, Natale Calderaio, Massimo Rizzardini, Paolo Pezzana, Elisabetta Bodini e il pubblico
Le fotografie in mostra fanno parte di una ricerca avviata circa undici anni fa a Roma in occasione della manifestazione del premio Anima per la quale Simona Marchini, presidente, chiese a Giordano Morganti di partecipare con una mostra sui senza fissa dimora. Dopo la presentazione di dieci immagini al Campidoglio, Morganti si ferma perché non sente prettamente suo questo progetto, poiché non trova alcuna contraddizione ma fatti reali che contrastano con il suo solito modo di fotografare la ricerca dell’estetica, ritratti, lavori fatti in studio non in presa diretta come questo lavoro richiedeva. Abbandonato questo progetto e tornato a Milano anni dopo, alla Stazione Centrale si ritrova a dover chiamare il Pronto Soccorso per aiutare un barbone in difficoltà Osservando le reazioni indecenti delle persone intorno si ritrova e voler riprendere quella direzione che anni prima aveva deciso di abbandonare. Inizia così il percorso che lo porterà a conoscere Said, barbone nato nelle favelas brasiliane, che da lì in poi lo accompagnerà nei sotterranei di un gruppo di capannoni vicini allo scalo merci di Piazzale Lodi. Questo luogo, che oggi non esiste più poiché completamente smantellato, è abitato insieme ai topi da centinaia e centinaia di persone, di varie nazionalità e astrazioni sociali, rifugiati, clochards, tossici, nel degrado assoluto fra la sporcizia, gli escrementi e il fetore con il terrore costante dell’irruzione da parte della polizia,.
La prima sensazione davanti a queste immagini è quella di osservare l’apparente “normalità” dei volti e dei corpi ritratti, la loro storia, il loro orgoglio, la loro complessa diversità.
Successivamente si manifesta la consapevolezza di uno smarrimento totale: spettatrice di una umanità che ci appartiene è vero, ma che per molti di noi esiste ai confini della “società”. Esseri senza patria, casa, affetti, moralità e quindi rifiutati e respinti, “deportati, come si è fatto con i rifiuti tossici, in qualche altra parte del mondo” come scrive Sandro Parmiggiani, in uno dei testi del catalogo che accompagna la mostra. Nella mia vita di ogni giorno quante volte, infastidita davanti a visioni simili, avrei voluto cancellarle, lontane dalla mia realtà, rimosse?
La forza di queste immagini, diciotto in mostra, quaranta nel catalogo e cento dieci a comporre l’intero progetto, risiede nella totale assenza di stupore, non vi è né complicità né pietismo. Esse diventano quindi lo specchio di noi stessi, delle nostre debolezze, del nostro imbarazzo e razzismo, dei nostri pregiudizi: la nostra umanità fatta di ordinari pregi e grandi difetti.
Clelia Belgrado
“Ho osservato per anni certa gente, la gente grigia che affolla la strada ma questa gente non ha mai sfiorato la mia mente e per anni ho cercato altra gente, quella che vive di stracci e di paura, quella che quando ti guarda non ti chiedi perché, il perché lo sai e lì non puoi barare. L’ho cercata perché volevo aprire una porta e guardare vivere la morte!
Gente che non sa e che non cerca, è lì che l’ombra si estingue in altra ombra, sono corpi che giacciono.
Tu cerchi senza trovare, loro sono lì con te all’inferno, punto.
Ore e ore, giorni settimane ti scavalcano, e tu sei lì ma anche loro, vai solo se muori, altrimenti resti!
Loro sembrano immortali e tu ti senti amorale, corrotto e cieco.
Che volete che vi dica, sembrano tutti avvolti in lenzuola bianche che si sono sporcate di noi, che sembriamo puliti perché il nostro sporco è l’unica cosa che siamo stati capaci di regalargli, per poi dire che puzzano e ci fanno schifo perché siamo noi che ci facciamo schifo; tanto loro portano bene il nostro orrore e noi possiamo tranquillamente odiarli.
Ho mangiato con loro nella sporcizia, cibi provati, odori cattivi, sapori strani in piatti lerci seduti nel freddo senza amore né gioia, sempre a cantare la stessa triste storia come se ogni sera fosse la stessa. I più anziani hanno occhi che non vedono più, tanta è la loro indifferenza.
Poi sono tornato nella mia casa e ho capito che a volte si muore tante volte prima di morire per sempre.”
Giordano Morganti
La sera dell’inaugurazione alle 21.00 nella “Speaker’s Corner” in piazzetta fuori della galleria si terrà un dibattito/incontro, con Giordano Morganti e l’intervento di, Sandro Parmiggiani, Luca Guzzetti, Natale Calderaio, Massimo Rizzardini, Paolo Pezzana, Elisabetta Bodini e il pubblico
01
ottobre 2009
Giordano Morganti – Blood on Blood
Dal primo ottobre al 29 novembre 2009
fotografia
Location
VISION QUEST
Genova, Piazza Invrea, 4r, (Genova)
Genova, Piazza Invrea, 4r, (Genova)
Orario di apertura
dal mercoledì al sabato 15.30 - 19.30
e su appuntamento
Vernissage
1 Ottobre 2009, dalle 18.00 alle 24.00
Autore
Curatore