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La vita nuda
Abbiamo assunto come categoria della rappresentazione sia la VITA NUDA, cioè quei fenomeni dell’ipermoderno che sempre più si avvalgono delle nostre capacità intellettive e comunicative per fare merci, impresa, eventi, sia la NUDA VITA, cioè le preesistenze che si fanno ipermoderni bisogni, anche nella società dello spettacolo di una moltitudine ove ancora è problema il mangiare, il vestirsi, lo scaldarsi e l’abitare che, a ben vedere, altro non sono che le forme primarie di inclusione dell’essere in un contesto sociale.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Coordinamento Aldo Bonomi
Progetto di allestimento e grafica Studio Origoni Steiner
Catalogo Electa
DELLA RAPPRESENTAZIONE DELLA NUDA VITA
Aldo Bonomi
Nel comitato scientifico della Triennale si è discusso spesso della Istituzione Triennale come autonomia funzionale. Intendendo con questa definizione della poliarchia dei poteri che la Triennale è un luogo deputato alla rappresentazione delle emergenze nei settori culturali produttivi e sociali, nelle arti, nei mestieri e nell’antropologia del vivere. Una tripartizione molto chiara quando si tratta di rappresentare ciò che già si fa visibile. Molto più sfumata rimane la vibratilità del margine. Il rendere visibile l’invisibile, il dire il non detto, il dar voce a chi non parla, il dare immagine a chi non ha mezzi per stare dentro la società dello spettacolo.
Abbiamo assunto come categoria della rappresentazione sia la VITA NUDA, cioè quei fenomeni dell’ipermoderno che sempre più si avvalgono delle nostre capacità intellettive e comunicative per fare merci, impresa, eventi, sia la NUDA VITA, cioè le preesistenze che si fanno ipermoderni bisogni, anche nella società dello spettacolo di una moltitudine ove ancora è problema il mangiare, il vestirsi, lo scaldarsi e l’abitare che, a ben vedere, altro non sono che le forme primarie di inclusione dell’essere in un contesto sociale. Tutto precipita in luoghi. I primi molto illuminati dall’energia degli eventi e degli eventologi, i secondi al buio non raccontati che diventano il lato oscuro del nostro inconscio collettivo. Luoghi che, più che indurre rappresentazione, inducono paure. Proprio per questo abbiamo ritenuto opportuno organizzare nei primi mesi del 2006 una mostra/evento sull’universo carcerario. Mostra che ha avuto più di 5.000 visitatori e partecipanti ai dibattiti sul tema del “sorvegliare e punire”.
Continuiamo in questo lavoro sincretico tra vita nuda e nuda vita. Attualmente stiamo progettando la Triennale Architettura. Abbiamo valutato che il tema “Una casa per tutti” fosse un modo per stare in mezzo a questa voragine sociale ove non c’è ponte tra chi ha e chi non ha. Ben sapendo che, quantitativamente soprattutto in Italia, l’abitare è caratterizzato dall’individualismo proprietario. Ben sapendo che in anni recenti l’architettura si è caratterizzata con la progettazione di funzioni alte e strategiche nella competizione tra città. Forse proprio per questo val la pena guardare a quel margine delle emergenze abitative delle micro e delle macro banlieue di cui ci occupiamo solo in presenza di tsunami, terremoti o quando riappaiono nel cuore dell’Europa, basta ricordarsi della tragedia jugoslava, i campi di concentramento. Tragedie ed emergenze che sollecitano il nostro schierarsi o il nostro essere compassionevoli, ma che tendenzialmente tendiamo a pensare siano altro della nostra antropologia del quotidiano.
Le micro e macro banlieue sono fenomeni del quotidiano che caratterizzano città come Milano, Roma e non solo (il muro di Padova, San Salvario a Torino, i carrugi di Genova, Brescia, il condominio ghetto di Sassuolo…). Sono fenomeni micro che diventano macro a fronte di episodi di illegalità, di scontro tra gli ultimi che evocano ruspe democratiche e per la sicurezza per sgombrare ciò che non vogliamo vedere. Fenomeni che trovano sempre un capro espiatorio collettivo, come il caso dell’etnia rom o come la “feccia” che viene avanti dalle grandi banlieue delle città francesi con una rabbia molto micro. Se è vero che la maggior parte delle automobili bruciate nelle rivolte parigine hanno nella targa il numero 75; che indica la residenza nel primo cerchio nella metropoli parigina. Nell’uno e nell’altro caso assistiamo ad una antropologia della rivolta e ad una sociologia della rabbia selettiva che tutto fa fuorché porre il tema del costruire e del progettare la città che viene: la città della moltitudine.
Per questo tre autonomie funzionali, la Triennale, luogo della rappresentazione, il Politecnico, luogo della formazione e della progettazione, la Casa della Carità, luogo del margine e del sapere sociale, si sono messi assieme per promuovere la Triennale Architettura e il tema di una casa per tutti. Interrogando e chiedendo alle istituzioni, agli immobiliaristi coinvolti nel riprogettare Milano, a imprese come Eni, che nel mondo globale progettano case di emergenza nei loro distretti petroliferi, e al capitalismo fondazionale, sia delle fondazioni bancarie che private, di collaborare non solo alla mostra ma ad aggredire un tema più che urgente. Non siamo più ai tempi del piano casa Fanfani. Anzi è problema la rivalutazione di ciò che resta delle case popolari.
Solo con il contributo di tutti si possono affrontare le emergenze del moderno, capire i bisogni delle moltitudini e produrre inclusione dei dannati della terra nell’esodo globale. Il tema dell’abitare, di una casa per tutti può essere affrontato solo con logiche coalizionale. Ogni singolo attore, pur nella sua potenza politica o economica o di progetto, è impotente a risolvere da solo il tema di una casa per tutti. Eppure questo tema, se non risolto, rischia di minare forme di convivenza e di rendere impossibile il sogno della città che viene. Per questo stiamo progettando una mostra evento che si ponga il problema di come affrontare oggi a Milano, in Italia, nell’Europa cosmopolita l’elementare bisogno della nuda vita di abitare, di fare città.
Progetto di allestimento e grafica Studio Origoni Steiner
Catalogo Electa
DELLA RAPPRESENTAZIONE DELLA NUDA VITA
Aldo Bonomi
Nel comitato scientifico della Triennale si è discusso spesso della Istituzione Triennale come autonomia funzionale. Intendendo con questa definizione della poliarchia dei poteri che la Triennale è un luogo deputato alla rappresentazione delle emergenze nei settori culturali produttivi e sociali, nelle arti, nei mestieri e nell’antropologia del vivere. Una tripartizione molto chiara quando si tratta di rappresentare ciò che già si fa visibile. Molto più sfumata rimane la vibratilità del margine. Il rendere visibile l’invisibile, il dire il non detto, il dar voce a chi non parla, il dare immagine a chi non ha mezzi per stare dentro la società dello spettacolo.
Abbiamo assunto come categoria della rappresentazione sia la VITA NUDA, cioè quei fenomeni dell’ipermoderno che sempre più si avvalgono delle nostre capacità intellettive e comunicative per fare merci, impresa, eventi, sia la NUDA VITA, cioè le preesistenze che si fanno ipermoderni bisogni, anche nella società dello spettacolo di una moltitudine ove ancora è problema il mangiare, il vestirsi, lo scaldarsi e l’abitare che, a ben vedere, altro non sono che le forme primarie di inclusione dell’essere in un contesto sociale. Tutto precipita in luoghi. I primi molto illuminati dall’energia degli eventi e degli eventologi, i secondi al buio non raccontati che diventano il lato oscuro del nostro inconscio collettivo. Luoghi che, più che indurre rappresentazione, inducono paure. Proprio per questo abbiamo ritenuto opportuno organizzare nei primi mesi del 2006 una mostra/evento sull’universo carcerario. Mostra che ha avuto più di 5.000 visitatori e partecipanti ai dibattiti sul tema del “sorvegliare e punire”.
Continuiamo in questo lavoro sincretico tra vita nuda e nuda vita. Attualmente stiamo progettando la Triennale Architettura. Abbiamo valutato che il tema “Una casa per tutti” fosse un modo per stare in mezzo a questa voragine sociale ove non c’è ponte tra chi ha e chi non ha. Ben sapendo che, quantitativamente soprattutto in Italia, l’abitare è caratterizzato dall’individualismo proprietario. Ben sapendo che in anni recenti l’architettura si è caratterizzata con la progettazione di funzioni alte e strategiche nella competizione tra città. Forse proprio per questo val la pena guardare a quel margine delle emergenze abitative delle micro e delle macro banlieue di cui ci occupiamo solo in presenza di tsunami, terremoti o quando riappaiono nel cuore dell’Europa, basta ricordarsi della tragedia jugoslava, i campi di concentramento. Tragedie ed emergenze che sollecitano il nostro schierarsi o il nostro essere compassionevoli, ma che tendenzialmente tendiamo a pensare siano altro della nostra antropologia del quotidiano.
Le micro e macro banlieue sono fenomeni del quotidiano che caratterizzano città come Milano, Roma e non solo (il muro di Padova, San Salvario a Torino, i carrugi di Genova, Brescia, il condominio ghetto di Sassuolo…). Sono fenomeni micro che diventano macro a fronte di episodi di illegalità, di scontro tra gli ultimi che evocano ruspe democratiche e per la sicurezza per sgombrare ciò che non vogliamo vedere. Fenomeni che trovano sempre un capro espiatorio collettivo, come il caso dell’etnia rom o come la “feccia” che viene avanti dalle grandi banlieue delle città francesi con una rabbia molto micro. Se è vero che la maggior parte delle automobili bruciate nelle rivolte parigine hanno nella targa il numero 75; che indica la residenza nel primo cerchio nella metropoli parigina. Nell’uno e nell’altro caso assistiamo ad una antropologia della rivolta e ad una sociologia della rabbia selettiva che tutto fa fuorché porre il tema del costruire e del progettare la città che viene: la città della moltitudine.
Per questo tre autonomie funzionali, la Triennale, luogo della rappresentazione, il Politecnico, luogo della formazione e della progettazione, la Casa della Carità, luogo del margine e del sapere sociale, si sono messi assieme per promuovere la Triennale Architettura e il tema di una casa per tutti. Interrogando e chiedendo alle istituzioni, agli immobiliaristi coinvolti nel riprogettare Milano, a imprese come Eni, che nel mondo globale progettano case di emergenza nei loro distretti petroliferi, e al capitalismo fondazionale, sia delle fondazioni bancarie che private, di collaborare non solo alla mostra ma ad aggredire un tema più che urgente. Non siamo più ai tempi del piano casa Fanfani. Anzi è problema la rivalutazione di ciò che resta delle case popolari.
Solo con il contributo di tutti si possono affrontare le emergenze del moderno, capire i bisogni delle moltitudini e produrre inclusione dei dannati della terra nell’esodo globale. Il tema dell’abitare, di una casa per tutti può essere affrontato solo con logiche coalizionale. Ogni singolo attore, pur nella sua potenza politica o economica o di progetto, è impotente a risolvere da solo il tema di una casa per tutti. Eppure questo tema, se non risolto, rischia di minare forme di convivenza e di rendere impossibile il sogno della città che viene. Per questo stiamo progettando una mostra evento che si ponga il problema di come affrontare oggi a Milano, in Italia, nell’Europa cosmopolita l’elementare bisogno della nuda vita di abitare, di fare città.
22
maggio 2008
La vita nuda
Dal 22 maggio al 07 settembre 2008
architettura
design
arte contemporanea
design
arte contemporanea
Location
TRIENNALE – PALAZZO DELL’ARTE
Milano, Viale Emilio Alemagna, 6, (Milano)
Milano, Viale Emilio Alemagna, 6, (Milano)
Biglietti
Biglietto unico “La vita nuda” + “Casa per tutti” euro 8,00 / 6,00 / 5,00
Orario di apertura
10.30 - 20.30, chiuso il lunedì
Vernissage
22 Maggio 2008, ore 18.30
Editore
ELECTA
Curatore