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Peter Del Monte – Femminile Mare
Femminile mare. Tra i primi versi del Cimitero marino di Paul Valery compare una splendida evocazione dello sposalizio tra luce e mare, quando il sole meridiano “…compose de feux – La mer, la mer, toujours recommencèe. Quell’evocazione torna in mente di fronte a queste opere.
Comunicato stampa
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Tra i primi versi del Cimitero marino di Paul Valèry compare una splendida evocazione dello sposalizio tra luce e mare, quando il sole meridiano “. . .compose de feux – La mer, la mer, toujours recommencée”. Quell’evocazione torna in mente di fronte a queste opere di Peter Del Monte, che in verità mi paiono appartenere assai più al linguaggio della pittura che non a quello della fotografia.
Qui non vi sono gli “artifici . . .non probatori”, le “truccature” della fotografia “laboriosa quando bara”, che Roland Barthes condannava nel suo testo sulla Camera chiara. Appare invece evidente in ognuna di queste fortissime immagini l’assenza, nel gesto operativo dell’autore, di qualsiasi approntamento di sofisticate tecnicalità.
A mille miglia dalla fotografia artefatta, tecnicamente manipolata, l’uso che Del Monte qui fa del mezzo è d’altra natura. Egli ha pensato, e operato, in termini di forma-luce con la stessa radicalità con quale il pittore pensa e opera in termini di forma-materia. All’”autenticazione”, che Barthes indica come invalicabile territorio della fotografia, Del Monte oppone qui il netto predominio della trasformazione delle cose sotto uno sguardo libero d’ogni vincolo documentario.
Uno sguardo appuntato, intensamente fisso, ricco di stupore immaginante, sulla luminosa frantumazione molecolare delle onde attese sulla battigia da pietre disertate, offerte al potente e accecante cocktail d’acqua e di sole, e pronte a farsi corpi viventi.
2
Uno sguardo che da quella composizione di fuochi, per dirla con Valéry, trae mito perché, incendiato, si fa visione, e scopre la metamorfica verità pagana di corpi di donne in tenera o misteriosa attesa della divina semenza esplosa nel mare.
Accade qui qualcosa di assai simile a quella rottura del “filo della collana dei giorni”, alla quale De Chirico attribuiva la trasformazione delle quotidiane evidenze in apparizioni enigmatiche. Solo che qui non sono enigmi, non sono interrogazioni senza risposte possibili, ad oggettivarsi nelle opere.
Vorrei ricordare, a proposito dell’”enigma” dechirichiano che nel suo testo del 1919 Al Dio Ortopedico Roberto Longhi connetteva l’enigma senza risposta possibile della pittura metafisica alla perdita d’ogni nesso tra passato e presente. Per quella perdita, egli diceva, le “statue della Grecia” convocate da De Chirico nella sua pittura apparivano “diseredate”.
Con Del Monte siamo invece di fronte o per meglio dire nel ritrovamento, su di una litoranea d’acqua, di sabbia e di roccia, di statue della Grecia “ereditate”, a risarcimento delle perdite inflitte alla memoria storica dalla strozzatura storico-culturale della nostra epoca.
Tra le diverse poetiche dell’arte contemporanea, questa, così perdutamente mitico-metamorfica appare rarissima, e dunque particolarmente preziosa. E che sia un cineasta della qualità di Peter Del Monte a proporci un’oggettivazione forte di questa poetica, è forse un paradosso solo apparente.
Qui non vi sono gli “artifici . . .non probatori”, le “truccature” della fotografia “laboriosa quando bara”, che Roland Barthes condannava nel suo testo sulla Camera chiara. Appare invece evidente in ognuna di queste fortissime immagini l’assenza, nel gesto operativo dell’autore, di qualsiasi approntamento di sofisticate tecnicalità.
A mille miglia dalla fotografia artefatta, tecnicamente manipolata, l’uso che Del Monte qui fa del mezzo è d’altra natura. Egli ha pensato, e operato, in termini di forma-luce con la stessa radicalità con quale il pittore pensa e opera in termini di forma-materia. All’”autenticazione”, che Barthes indica come invalicabile territorio della fotografia, Del Monte oppone qui il netto predominio della trasformazione delle cose sotto uno sguardo libero d’ogni vincolo documentario.
Uno sguardo appuntato, intensamente fisso, ricco di stupore immaginante, sulla luminosa frantumazione molecolare delle onde attese sulla battigia da pietre disertate, offerte al potente e accecante cocktail d’acqua e di sole, e pronte a farsi corpi viventi.
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Uno sguardo che da quella composizione di fuochi, per dirla con Valéry, trae mito perché, incendiato, si fa visione, e scopre la metamorfica verità pagana di corpi di donne in tenera o misteriosa attesa della divina semenza esplosa nel mare.
Accade qui qualcosa di assai simile a quella rottura del “filo della collana dei giorni”, alla quale De Chirico attribuiva la trasformazione delle quotidiane evidenze in apparizioni enigmatiche. Solo che qui non sono enigmi, non sono interrogazioni senza risposte possibili, ad oggettivarsi nelle opere.
Vorrei ricordare, a proposito dell’”enigma” dechirichiano che nel suo testo del 1919 Al Dio Ortopedico Roberto Longhi connetteva l’enigma senza risposta possibile della pittura metafisica alla perdita d’ogni nesso tra passato e presente. Per quella perdita, egli diceva, le “statue della Grecia” convocate da De Chirico nella sua pittura apparivano “diseredate”.
Con Del Monte siamo invece di fronte o per meglio dire nel ritrovamento, su di una litoranea d’acqua, di sabbia e di roccia, di statue della Grecia “ereditate”, a risarcimento delle perdite inflitte alla memoria storica dalla strozzatura storico-culturale della nostra epoca.
Tra le diverse poetiche dell’arte contemporanea, questa, così perdutamente mitico-metamorfica appare rarissima, e dunque particolarmente preziosa. E che sia un cineasta della qualità di Peter Del Monte a proporci un’oggettivazione forte di questa poetica, è forse un paradosso solo apparente.
08
aprile 2010
Peter Del Monte – Femminile Mare
Dall'otto aprile al primo maggio 2010
fotografia
Location
GALLERIA LE OPERE
Roma, Via Di Monte Giordano, 27, (Roma)
Roma, Via Di Monte Giordano, 27, (Roma)
Orario di apertura
Dal mercoledì al sabato ore 16.00 - 20.00
Vernissage
8 Aprile 2010, ore 18.30
Autore
Curatore