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Tracce urbane
In mostra le opere di due giovani artiste milanesi
Comunicato stampa
Segnala l'evento
27 gennaio - 17 febbraio 2009
TRACCE URBANE
di Katia Dilella e Daniela Novello
presentazioni di Martina Corgnati e Angela Madesani
Katia Dilella
‘Katia Dilella presenta in questa occasione una serie di dipinti recenti (2008) dedicati a mezzi pubblici, metropolitane, autobus, treni. sempre deserti ma impregnati di tracce del passaggio delle persone, questi "luoghi", ben noti e riconoscibili per l'utenza milanese, rivelano una minuta attenzione al particolare ma anche uno spirito intensamente malinconico, che si riflette nei tagli fotografici ripresi a memoria e come distanziati dal segno tagliente, e nella prevalenza di toni spenti o grigi improvvisamente accesi da un particolare colorato: un seggiolino di plastica, un vetro appannato su cui qualcuno ha scritto col dito il proprio nome o quello della fidanzata, un contenitore di rifiuti. la pittura di Katia Dilella vuole riflettere sul presente senza perdere di vista nessuna delle specificità del proprio linguaggio’ (Martina Corgnati)
Daniela Novello
‘Non mi pare forzato dire che l'installazione preparata per questa occasione, la mostra al Quintocortile, ha un taglio sociale. Trovo interessante accostare una tecnica antica come la scultura del marmo con un pensiero come quello che sottende al nuovo lavoro.
Un pensiero strettamente connesso all'idea di installazione spaziale che cambia scala ai suoi lavori dell'ultimo periodo.
Quella alla quale qui vuole dare vita è la situazione di abbandono che si viene a creare quando nelle città o nei paesi, nelle prime ore del pomeriggio, i mercati rionali finiscono, i bottegai iniziano a sbaraccare, a preparare i loro bagagli, a caricare i camion e abbandonano le cassette che non gli servono più sulla strada.’ (Angela Madesani)
inaugurazione: martedì 27 gennaio ore 18
orario: da martedì a giovedì dalle 17,00 alle 18,30 (e su appuntamento tel. 338.8007617)
luogo: Quintocortile – viale Col di lana 8 – 20136 Milano
info: tel. 338 8007617
catalogo in Galleria
Katia Dilella
Tracce urbane
di Martina Corgnati
Mezzi pubblici, treni, autobus, metropolitane. Non c’è nessuno a bordo eppure dappertutto tracce di presenza come anche d’incuria. Usura, degrado, un sotterraneo abbandono. La gente fa le stesse cose quasi tutti i giorni: prende i mezzi, sale su treni ripuliti frettolosamente e alla bene e meglio da qualche inserviente. Non ci pensa, cerca di distrarsi, di inseguire i propri sogni o le proprie preoccupazioni. Qualcuno ha lasciato un segno, una scritta o uno schizzo tracciato col dito sul vetro appannato di un vagone oppure con la bomboletta spray sulla plastica o sul metallo. Riconosciamo ambienti familiari, i servizi della nostra città, luoghi e spazi di transito, che non appartengono veramente a nessuno. Katia Dilella ha deciso di farsene carico, di prendersene cura. Come ? guardandoli. La sua attenzione è intenta, minuziosa. Si concentra su un dettaglio di assoluta insignificanza per chiunque altro, il sedile di plastica arancione, il corrimano giallo, il velluto rosso un po’ liso della seconda classe. Per metterlo a fuoco predilige tagli un po’ forzati, come un grandangolo compresso in uno spazio troppo limitato, oppure prospettive allungate, improvvisamente oblique. Sono tagli fotografici ripresi a memoria, quasi distanziati dal segno tagliente e dalla prevalenza di toni spenti o grigi accesi da un particolare colorato: è un filtro, un modo di vedere, di esasperare la natura di quello sguardo, che è pittorica.
Katia Dilella ha scelto la pittura sin dall’inizio – da quando frequentava l’Accademia di Brera - e con assoluta convinzione, anzi con naturalezza. La sua pittura è veloce ma non trasandata, capace di sorvolare su larghe aree di contorno, di concedersi lunghe distrazioni ma soltanto poi per incalzare di colpo un oggetto, un particolare, un possibile centro. Il suo intero itinerario potrebbe essere descritto come un passaggio dall’interno all’esterno, da uno speciale raccoglimento su ambienti squallidi, abitati ma deserti, all’attuale riflessione sullo spazio pubblico, sulla città, i suoi oggetti e i suoi “strumenti d’uso”.
Niente di particolarmente originale: dagli anni Ottanta in poi la metropoli e la dimensione urbana è diventata tema prediletto se non passaggio obbligato per due generazioni di artisti di tutto il mondo. È sullo sfondo della città, dell’esistenza metropolitana che si incrociano denuncie sociali e ribellismo giovanile, video documentari, reportage, graffitismo, installazioni a basso consumo, performance e riappropriazioni creative. Katia Dilella però è interessata solo in parte a questo aspetto; il suo problema non è certo stato quello di trovarsi un repertorio di immagini particolarmente scabroso o attuale. Secondo me, anzi, il suo problema è stato quello di mettere a fuoco quale veramente fosse il suo repertorio di immagini.
Dipingere infatti, in se stessa è una scelta lenta , riflessiva, attenta alla bellezza e al valore delle cose: tutti elementi irrinunciabili per la giovane artista, cui la pittura sembra offrire innanzitutto proprio uno spazio espressivo adeguato per non ritrovarsi, in un certo senso, appiattita sul soggetto e sulle sue possibili implicazioni. Non è quindi, non in primo luogo lo spazio metropolitano ma l’atto del dipingere quello che interessa e che la riguarda: un atto ancora e sempre prezioso, irripetibile, generoso e personale. Katia Dilella non è particolarmente interessata al realismo, o potrei dire al racconto in pittura, ma piuttosto a evocare, a veicolare un’atmosfera, suggerire uno stato d’animo. Il suo è un linguaggio in un certo senso malinconico di tutto ciò che non è nel quadro, un ambiente più umano, più accogliente, una cura più dedita e affettuosa. E naturalmente gli uomini, le persone, la presenza, vera protagonista di questi lavori dove non c’è mai assolutamente nessuno e che però si potrebbero tutti definire ritratti, ritratti di un’utenza anonima e imprescindibile, di tutta quella gente che passa nella città ciascuno immerso nella propria particolare turbolenza o distratto dalle proprie speciali circostanze. Queste persone non hanno nome ma hanno tutti senz’altro una storia che si incrocia a quella degli altri senza incontrarla, transita sugli autobus e nelle stazioni della metro, si lascia alle spalle pochissimi residui di senso e sovrappone il proprio volto in velocità a quello degli altri, tanto che alla fine non resta nulla oltre a una fisionomia generica, in fondo anonima.
Per questo l’artista si interessa moltissimo a queste circostanze apparentemente insignificanti, appunto a quegli scarsi residui, magari poco più di un’impronta deposta per caso, e li affida a uno sguardo capace di trasformarsi in memoria senza nemmeno tentare di violare il segreto di quell’anonimato, di quel qualcuno che è passato di lì, magari distratto e inconsapevole.
Il suo lavoro, in altre parole, dice con ammirevole coerenza e continuità di ciò che nessuno vede perché nessuno ritiene che ne valga la pena: gli interstizi del tempo abitato, le pieghe della comune esistenza metropolitana. Oggi la pittura in Italia ha di nuovo tante cose da dire.
Contenitori urbani
Un’installazione di Daniela Novello a Quintocortile
di Angela Madesani
Da relativamente poco tempo ho scritto un testo su Daniela Novello, in occasione della sua vittoria del prestigioso premio San Fedele a Milano.
Qui, dunque, ritorno sul suo lavoro, che ancora una volta mette in luce la sua straordinaria abilità tecnica nel trattare la pietra, il marmo, certi metalli. Un virtuosismo che Daniela scopre quasi per caso durante gli anni dell’Accademia di Brera, quando si accorge che lavorare il marmo le viene naturale, che lo sforzo è solo fisico e le pare di trovarsi di fronte a una cosa naturale, che ha sempre fatto.
Se al San Fedele le sue opere, su committenza, erano incentrate sul tema del sacro, qui la cosa è diversa. Daniela è stata libera di scegliere l’argomento, il contenuto del lavoro. Con sguardo attento a quanto la circonda, al mondo dell’arte contemporanea, ha lavorato su un tema di grande attualità quello della città, dell’abitare.
Non mi pare forzato dire che l’installazione preparata per questa occasione, la mostra a Quinto Cortile, ha un taglio sociale. Trovo interessante accostare una tecnica antica come quella del marmo con un pensiero come quello che sottende al nuovo lavoro.
Un pensiero strettamente connesso all'idea di installazione spaziale che cambia scala ai suoi lavori dell'ultimo periodo.
La sua tecnica è legata al mondo della scultura classica, allo scalpello, alla polvere, alla forza fisica. Nei suoi lavori si sta, inoltre, sviluppando, con il passare del tempo, un disegno, una progettualità interessante e coerente: è possibile scorgere un filo rosso che si sviluppa tra un lavoro e l’altro.
Quella alla quale qui vuole dare vita è la situazione di abbandono che si viene a creare quando nelle città o nei paesi, nelle prime ore del pomeriggio, i mercati rionali finiscono, i bottegai iniziano a sbaraccare, a preparare i loro bagagli, a caricare i camion e abbandonano le cassette che non gli servono più sulla strada. Dentro le cassette restano le merci di scarto: la frutta troppo matura, un po’ rovinata, che diviene invendibile, la verdura ammaccata.
Così alcuni anziani, altri diseredati, persone in difficoltà economica, che paiono, superficialmente, creature di un altro tempo, e che, invece, sono sempre più comuni nel nostro mondo un po’ finto, che tende a non voltarsi mai indietro. Sono i personaggi di un mondo povero, poverissimo o talvolta, ma più raramente, solo malato di un’economia forzata, nel quale lo scarto di alcuni è una benedizione per altri, che si precipitano sulle cassette a cercare quanto è rimasto e pare ancora commestibile. Non sono barboni, senza casa, semplicemente persone che vivono con poco.
Nelle cassette realizzate con marmi di diverso colore, ma sempre su tonalità chiare che richiamano il legno povero dei contenitori, stanno i sacchetti di piombo, quelli che nella realtà sono di tela e contengono le verdure e la frutta. Qui i sacchetti sono vuoti, un po’ afflosciati su se stessi come corpi privati della spina dorsale.
Quella di Daniela Novello è una riflessione sulla vita quotidiana di alcuni, sui diversi mondi che in un modo o nell’altro ci si trova quotidianamente ad osservare e forse a frequentare.
Attraverso questo lavoro installativo, più complesso, che si differenzia dai piccoli oggetti della quotidianità, che realizza sempre attraverso la lavorazione sapiente del marmo, il proposito è quello di porsi in relazione con lo spazio e in aperto dialogo con il tempo nel quale le è dato vivere e operare.
Note biografiche delle artiste
Katia Dilella nasce nel 1975 a Milano. Nel 2002 si laurea in pittura presso l’Accademia di Belle
Arti di Brera di Milano
Dal 1998 ad ora partecipa a numerose mostre collettive e a premi di pittura.
Nel 2005 è vincitrice del Primo Premio assoluto del “Premio Internazionale di Giovane Arte Europea” nella città di Pavia.
Nel 2006 è invitata dalla Professoressa Elena Pontiggia alla Terza edizione del Premio Mario Razzano a Benevento.
Nel 2007 espone in una doppia personale nella galleria “Bel Art Gallery” di Milano.
Sempre nel 2007 e nel 2008 viene selezionata al Premio Banca Profilo con mostra itinerante in alcune città d’Italia con inaugurazione al Museo della Permanente di Milano.
Nel 2008 viene invitata in Austria a partecipare a un Simposio Internazionale di Arte Contemporanea.
Novembre 2008 è invitata dalla critica Chiara Gatti al Premio San fedele, partecipando alla serata esponendo il proprio lavoro artistico pittorico.
Dicembre 2008 espone alla mostra “Dystopia” presso lo Studio Iroko
Vive e lavora a Milano
Daniela Novello nasce nel 1978 a Milano. Consegue gli studi artistici presso il Liceo Artistico Sperimentale U.Boccioni e successivamente presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. Dal 2001 si dedica alla scultura in marmo e pietre.
Nel 2008 vince il Premio Arti Visiva San Fedele, a cui segue la mostra Testimonianze sul Sacro presso la galleria San Fedele. Grazie alla collaborazione con la Galleria 10.2! espone sul territorio nazionale nelle mostre COLL'ACTION, SCELTI BENE IN TEMPI ESTREMI a Vercelli, a BERGAMO ARTE FIERA, a TERRE D'ACQUA.IN VIA-L'ARTE a Vercelli.
Da ricordare nel 2008 la presenza alle mostre AVVENIRISMO 3535, presso l'Acquario Civico di Milano e S-CULTURA#1 presso Guido Iemmi Studio D'Arte.
Dal 2005 è presente in esposizioni all'estero: in Svizzera in OPEN ART a Roveredo, e nel 2008 in Austria e in Finlandia rispettivamente in LAUT UND LEISE-ZWISCHEN MASSENSTART UND EINÖDE e in INTERNATIONAL “NEVERHEARD” ART SYMPOSIUM.
Alcune opere fanno parte di collezioni pubbliche nel Comune di Almese (TO), nel Civico Museo Parisi Valle di Maccagno (VA), nel Comune di Occhieppo Inferiore(BI) e nel MAC di Marotta (PU).
Vive e lavora a Milano.
TRACCE URBANE
di Katia Dilella e Daniela Novello
presentazioni di Martina Corgnati e Angela Madesani
Katia Dilella
‘Katia Dilella presenta in questa occasione una serie di dipinti recenti (2008) dedicati a mezzi pubblici, metropolitane, autobus, treni. sempre deserti ma impregnati di tracce del passaggio delle persone, questi "luoghi", ben noti e riconoscibili per l'utenza milanese, rivelano una minuta attenzione al particolare ma anche uno spirito intensamente malinconico, che si riflette nei tagli fotografici ripresi a memoria e come distanziati dal segno tagliente, e nella prevalenza di toni spenti o grigi improvvisamente accesi da un particolare colorato: un seggiolino di plastica, un vetro appannato su cui qualcuno ha scritto col dito il proprio nome o quello della fidanzata, un contenitore di rifiuti. la pittura di Katia Dilella vuole riflettere sul presente senza perdere di vista nessuna delle specificità del proprio linguaggio’ (Martina Corgnati)
Daniela Novello
‘Non mi pare forzato dire che l'installazione preparata per questa occasione, la mostra al Quintocortile, ha un taglio sociale. Trovo interessante accostare una tecnica antica come la scultura del marmo con un pensiero come quello che sottende al nuovo lavoro.
Un pensiero strettamente connesso all'idea di installazione spaziale che cambia scala ai suoi lavori dell'ultimo periodo.
Quella alla quale qui vuole dare vita è la situazione di abbandono che si viene a creare quando nelle città o nei paesi, nelle prime ore del pomeriggio, i mercati rionali finiscono, i bottegai iniziano a sbaraccare, a preparare i loro bagagli, a caricare i camion e abbandonano le cassette che non gli servono più sulla strada.’ (Angela Madesani)
inaugurazione: martedì 27 gennaio ore 18
orario: da martedì a giovedì dalle 17,00 alle 18,30 (e su appuntamento tel. 338.8007617)
luogo: Quintocortile – viale Col di lana 8 – 20136 Milano
info: tel. 338 8007617
catalogo in Galleria
Katia Dilella
Tracce urbane
di Martina Corgnati
Mezzi pubblici, treni, autobus, metropolitane. Non c’è nessuno a bordo eppure dappertutto tracce di presenza come anche d’incuria. Usura, degrado, un sotterraneo abbandono. La gente fa le stesse cose quasi tutti i giorni: prende i mezzi, sale su treni ripuliti frettolosamente e alla bene e meglio da qualche inserviente. Non ci pensa, cerca di distrarsi, di inseguire i propri sogni o le proprie preoccupazioni. Qualcuno ha lasciato un segno, una scritta o uno schizzo tracciato col dito sul vetro appannato di un vagone oppure con la bomboletta spray sulla plastica o sul metallo. Riconosciamo ambienti familiari, i servizi della nostra città, luoghi e spazi di transito, che non appartengono veramente a nessuno. Katia Dilella ha deciso di farsene carico, di prendersene cura. Come ? guardandoli. La sua attenzione è intenta, minuziosa. Si concentra su un dettaglio di assoluta insignificanza per chiunque altro, il sedile di plastica arancione, il corrimano giallo, il velluto rosso un po’ liso della seconda classe. Per metterlo a fuoco predilige tagli un po’ forzati, come un grandangolo compresso in uno spazio troppo limitato, oppure prospettive allungate, improvvisamente oblique. Sono tagli fotografici ripresi a memoria, quasi distanziati dal segno tagliente e dalla prevalenza di toni spenti o grigi accesi da un particolare colorato: è un filtro, un modo di vedere, di esasperare la natura di quello sguardo, che è pittorica.
Katia Dilella ha scelto la pittura sin dall’inizio – da quando frequentava l’Accademia di Brera - e con assoluta convinzione, anzi con naturalezza. La sua pittura è veloce ma non trasandata, capace di sorvolare su larghe aree di contorno, di concedersi lunghe distrazioni ma soltanto poi per incalzare di colpo un oggetto, un particolare, un possibile centro. Il suo intero itinerario potrebbe essere descritto come un passaggio dall’interno all’esterno, da uno speciale raccoglimento su ambienti squallidi, abitati ma deserti, all’attuale riflessione sullo spazio pubblico, sulla città, i suoi oggetti e i suoi “strumenti d’uso”.
Niente di particolarmente originale: dagli anni Ottanta in poi la metropoli e la dimensione urbana è diventata tema prediletto se non passaggio obbligato per due generazioni di artisti di tutto il mondo. È sullo sfondo della città, dell’esistenza metropolitana che si incrociano denuncie sociali e ribellismo giovanile, video documentari, reportage, graffitismo, installazioni a basso consumo, performance e riappropriazioni creative. Katia Dilella però è interessata solo in parte a questo aspetto; il suo problema non è certo stato quello di trovarsi un repertorio di immagini particolarmente scabroso o attuale. Secondo me, anzi, il suo problema è stato quello di mettere a fuoco quale veramente fosse il suo repertorio di immagini.
Dipingere infatti, in se stessa è una scelta lenta , riflessiva, attenta alla bellezza e al valore delle cose: tutti elementi irrinunciabili per la giovane artista, cui la pittura sembra offrire innanzitutto proprio uno spazio espressivo adeguato per non ritrovarsi, in un certo senso, appiattita sul soggetto e sulle sue possibili implicazioni. Non è quindi, non in primo luogo lo spazio metropolitano ma l’atto del dipingere quello che interessa e che la riguarda: un atto ancora e sempre prezioso, irripetibile, generoso e personale. Katia Dilella non è particolarmente interessata al realismo, o potrei dire al racconto in pittura, ma piuttosto a evocare, a veicolare un’atmosfera, suggerire uno stato d’animo. Il suo è un linguaggio in un certo senso malinconico di tutto ciò che non è nel quadro, un ambiente più umano, più accogliente, una cura più dedita e affettuosa. E naturalmente gli uomini, le persone, la presenza, vera protagonista di questi lavori dove non c’è mai assolutamente nessuno e che però si potrebbero tutti definire ritratti, ritratti di un’utenza anonima e imprescindibile, di tutta quella gente che passa nella città ciascuno immerso nella propria particolare turbolenza o distratto dalle proprie speciali circostanze. Queste persone non hanno nome ma hanno tutti senz’altro una storia che si incrocia a quella degli altri senza incontrarla, transita sugli autobus e nelle stazioni della metro, si lascia alle spalle pochissimi residui di senso e sovrappone il proprio volto in velocità a quello degli altri, tanto che alla fine non resta nulla oltre a una fisionomia generica, in fondo anonima.
Per questo l’artista si interessa moltissimo a queste circostanze apparentemente insignificanti, appunto a quegli scarsi residui, magari poco più di un’impronta deposta per caso, e li affida a uno sguardo capace di trasformarsi in memoria senza nemmeno tentare di violare il segreto di quell’anonimato, di quel qualcuno che è passato di lì, magari distratto e inconsapevole.
Il suo lavoro, in altre parole, dice con ammirevole coerenza e continuità di ciò che nessuno vede perché nessuno ritiene che ne valga la pena: gli interstizi del tempo abitato, le pieghe della comune esistenza metropolitana. Oggi la pittura in Italia ha di nuovo tante cose da dire.
Contenitori urbani
Un’installazione di Daniela Novello a Quintocortile
di Angela Madesani
Da relativamente poco tempo ho scritto un testo su Daniela Novello, in occasione della sua vittoria del prestigioso premio San Fedele a Milano.
Qui, dunque, ritorno sul suo lavoro, che ancora una volta mette in luce la sua straordinaria abilità tecnica nel trattare la pietra, il marmo, certi metalli. Un virtuosismo che Daniela scopre quasi per caso durante gli anni dell’Accademia di Brera, quando si accorge che lavorare il marmo le viene naturale, che lo sforzo è solo fisico e le pare di trovarsi di fronte a una cosa naturale, che ha sempre fatto.
Se al San Fedele le sue opere, su committenza, erano incentrate sul tema del sacro, qui la cosa è diversa. Daniela è stata libera di scegliere l’argomento, il contenuto del lavoro. Con sguardo attento a quanto la circonda, al mondo dell’arte contemporanea, ha lavorato su un tema di grande attualità quello della città, dell’abitare.
Non mi pare forzato dire che l’installazione preparata per questa occasione, la mostra a Quinto Cortile, ha un taglio sociale. Trovo interessante accostare una tecnica antica come quella del marmo con un pensiero come quello che sottende al nuovo lavoro.
Un pensiero strettamente connesso all'idea di installazione spaziale che cambia scala ai suoi lavori dell'ultimo periodo.
La sua tecnica è legata al mondo della scultura classica, allo scalpello, alla polvere, alla forza fisica. Nei suoi lavori si sta, inoltre, sviluppando, con il passare del tempo, un disegno, una progettualità interessante e coerente: è possibile scorgere un filo rosso che si sviluppa tra un lavoro e l’altro.
Quella alla quale qui vuole dare vita è la situazione di abbandono che si viene a creare quando nelle città o nei paesi, nelle prime ore del pomeriggio, i mercati rionali finiscono, i bottegai iniziano a sbaraccare, a preparare i loro bagagli, a caricare i camion e abbandonano le cassette che non gli servono più sulla strada. Dentro le cassette restano le merci di scarto: la frutta troppo matura, un po’ rovinata, che diviene invendibile, la verdura ammaccata.
Così alcuni anziani, altri diseredati, persone in difficoltà economica, che paiono, superficialmente, creature di un altro tempo, e che, invece, sono sempre più comuni nel nostro mondo un po’ finto, che tende a non voltarsi mai indietro. Sono i personaggi di un mondo povero, poverissimo o talvolta, ma più raramente, solo malato di un’economia forzata, nel quale lo scarto di alcuni è una benedizione per altri, che si precipitano sulle cassette a cercare quanto è rimasto e pare ancora commestibile. Non sono barboni, senza casa, semplicemente persone che vivono con poco.
Nelle cassette realizzate con marmi di diverso colore, ma sempre su tonalità chiare che richiamano il legno povero dei contenitori, stanno i sacchetti di piombo, quelli che nella realtà sono di tela e contengono le verdure e la frutta. Qui i sacchetti sono vuoti, un po’ afflosciati su se stessi come corpi privati della spina dorsale.
Quella di Daniela Novello è una riflessione sulla vita quotidiana di alcuni, sui diversi mondi che in un modo o nell’altro ci si trova quotidianamente ad osservare e forse a frequentare.
Attraverso questo lavoro installativo, più complesso, che si differenzia dai piccoli oggetti della quotidianità, che realizza sempre attraverso la lavorazione sapiente del marmo, il proposito è quello di porsi in relazione con lo spazio e in aperto dialogo con il tempo nel quale le è dato vivere e operare.
Note biografiche delle artiste
Katia Dilella nasce nel 1975 a Milano. Nel 2002 si laurea in pittura presso l’Accademia di Belle
Arti di Brera di Milano
Dal 1998 ad ora partecipa a numerose mostre collettive e a premi di pittura.
Nel 2005 è vincitrice del Primo Premio assoluto del “Premio Internazionale di Giovane Arte Europea” nella città di Pavia.
Nel 2006 è invitata dalla Professoressa Elena Pontiggia alla Terza edizione del Premio Mario Razzano a Benevento.
Nel 2007 espone in una doppia personale nella galleria “Bel Art Gallery” di Milano.
Sempre nel 2007 e nel 2008 viene selezionata al Premio Banca Profilo con mostra itinerante in alcune città d’Italia con inaugurazione al Museo della Permanente di Milano.
Nel 2008 viene invitata in Austria a partecipare a un Simposio Internazionale di Arte Contemporanea.
Novembre 2008 è invitata dalla critica Chiara Gatti al Premio San fedele, partecipando alla serata esponendo il proprio lavoro artistico pittorico.
Dicembre 2008 espone alla mostra “Dystopia” presso lo Studio Iroko
Vive e lavora a Milano
Daniela Novello nasce nel 1978 a Milano. Consegue gli studi artistici presso il Liceo Artistico Sperimentale U.Boccioni e successivamente presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. Dal 2001 si dedica alla scultura in marmo e pietre.
Nel 2008 vince il Premio Arti Visiva San Fedele, a cui segue la mostra Testimonianze sul Sacro presso la galleria San Fedele. Grazie alla collaborazione con la Galleria 10.2! espone sul territorio nazionale nelle mostre COLL'ACTION, SCELTI BENE IN TEMPI ESTREMI a Vercelli, a BERGAMO ARTE FIERA, a TERRE D'ACQUA.IN VIA-L'ARTE a Vercelli.
Da ricordare nel 2008 la presenza alle mostre AVVENIRISMO 3535, presso l'Acquario Civico di Milano e S-CULTURA#1 presso Guido Iemmi Studio D'Arte.
Dal 2005 è presente in esposizioni all'estero: in Svizzera in OPEN ART a Roveredo, e nel 2008 in Austria e in Finlandia rispettivamente in LAUT UND LEISE-ZWISCHEN MASSENSTART UND EINÖDE e in INTERNATIONAL “NEVERHEARD” ART SYMPOSIUM.
Alcune opere fanno parte di collezioni pubbliche nel Comune di Almese (TO), nel Civico Museo Parisi Valle di Maccagno (VA), nel Comune di Occhieppo Inferiore(BI) e nel MAC di Marotta (PU).
Vive e lavora a Milano.
27
gennaio 2009
Tracce urbane
Dal 27 gennaio al 17 febbraio 2009
arte contemporanea
Location
QUINTOCORTILE
Milano, Viale Bligny, 42, (Milano)
Milano, Viale Bligny, 42, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a giovedì dalle 17 alle 18,30 e su appuntamento
Vernissage
27 Gennaio 2009, ore 18
Autore
Curatore