La mostra organizzata a Roma dall’infaticabile Mariangela Schroth, da la possibilità di vedere con occhi diversi una realtà , quella sudafricana, di cui le cronache occidentali parlano solo in occasione di grossi eventi politici legati al problema dell’apartheid.
E’ un vuoto, quello che la mostra di Kumalo va a colmare, un’occasione un’unica per vedere l’altra faccia del Sudafrica che è cresciuta nel tormento di libertà negate, continuando a vivere una quotidianità ignorata dai più.
Sono proprio gli scatti di oltre cinquant’anni di lavoro, che Kumalo fornisce, ad offrire l’occasione per apprezzare, insieme ai momenti storici e drammatici, gli eventi sportivi, tradizionali e culturali del paese.
Ho avuto il piacere di conoscere Alf Kumalo durante l’inaugurazione, e di parlare con lui del suo lavoro.
Sorridente, come solo la gente d’Africa sa essere, giovane, nonostante i suoi 70 anni, non è stato difficile trovarlo. Non perché fosse una delle poche persone di colore presenti, ma le due nikon che portava al collo non lasciavano dubbi. Quelle macchine non erano li per ostentazione o vezzo e, solo dopo averlo conosciuto e visto le foto, ho capito che venivano “indossate” per abitudine; messe al mattino e poggiate vicino al letto la sera come si fa per un orologio o il portafoglio.
Le immagini in mostra narrano la storia contemporanea del Sudafrica, dalle risse nelle partite di calcio agli eventi di box con un Clay immortalato insieme a Kumalo; le feste civili e religiose con le loro tradizioni e danze (sono diventate storia le immagini dei ragazzi che danzano il toyi toyi nelle strade di Soweto), gli usi e costumi, le realtà delle carceri e delle manifestazioni di piazza (con gli hippo, il nome dato ai blindati dell’esercito, che nelle townships spargevano sangue), i personaggi dello spettacolo e della politica in un misto di cronaca nera e rosa per un fotografo che vive la fotografia senza confini e limiti di genere. Ed è un impegno, quello di Kumalo per il suo paese, che continua non solo grazie ai lavori, che sta portando in giro per il mondo, ma anche per la sua scuola di fotogiornalismo che vuole dare, al Sudafrica, nuove schiere di giovani reporter per mandare avanti il lavoro che ha iniziato.
Della sua mostra, studiando le foto, due sono le cose che mi hanno colpito: il taglio ed il rapporto con le persone.
Kumalo racconta di come è nata questa mostra: contattato per la prima volta nel “98, mentre era a Parigi, da Enrico Dodi , accetta di preparare una mostra a Milano; ma sarà la ricerca del materiale la vera via crucis.
Alf è un reporter che vive l’oggi senza grande attenzione per il materiale “vecchio”. Narrano le “leggende” che dal baule della sua auto (la sua “seconda” casa) può tirare fuori di tutto, fotografie, riviste, negativi. Ed era vero, così gli organizzatori della mostra, oltre al materiale d’archivio della rivista Drum (reperito anch’esso con varie difficoltà ), sono andati nel suo garage dove, custoditi negli scatoloni, giacevano centinaia di stampe e negativi. Da lì hanno cominciato un’opera di restauro e catalogazione che Kumalo non ha mai avuto il tempo di fare.
Venire a Roma è stato per Kumalo il coronamento di un sogno, non so bene cosa possa significare per lui, ma mentre raccontava della sua felicità per essere finalmente riuscito ad arrivare nella capitale, gli facevo notare che forse l’attesa era stata premiata … esporre a Roma durante il Giubileo del 2000 davanti la basilica di San Giovanni non è da poco!
Andare a Roma per vedere la mostra di Kumalo è un atto dovuto, per apprezzare un popolo che ha tanto da dire e un fotografo che ha molto da far vedere.
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