A quanti liceali è capitato, tornando a casa dopo aver marinato la scuola, d’imbattersi in un’auto piena di fantastiche ragazze in zeppe ed hot-pants, di essere invitati a salire e lasciarsi sprofondare in tale tripudio dei sensi? A Richard Kern (Roanoke Rapids, North Carolina, 1954) è successo, nel lontano 1971, e racconta, con l’ironia che lo contraddistingue, di essere rimasto “a bocca aperta, da provinciale quale ero”. Qualche anno più tardi, con il suo sguardo da provinciale, pronto al fascino e allo stupore, e non ricoperto dalle cateratte della noia di chi è abituato a vedere di tutto con la stessa indifferenza, si trasferisce a New York, dove inizia a fotografare amici e spacciatori. Durante gli anni Ottanta si dedica però soprattutto alla produzione di controversi cortometraggi in super8, facendosi protagonista del cosiddetto Cinema of Transgression, movimento dall’esistenza tanto sotterranea quanto intensa, teorizzato dal regista Nick Zedd come rabbioso rifiuto della morale e sfida alla moderazione borghese. Sesso estremo, droga, violenza, autolesionismo, comportamenti anarcoidi, un’estetica sporca e dai forti contrasti sono gli ingredienti di una filmografia nichilista che sembrava muoversi tra echi dello sperimentalismo di Warhol e del trash di John Waters, giusto per dare un’idea. Perfetta incarnazione della cultura underground della Grande Mela, l’artista mostrava i suoi primi film in occasione di concerti o di grandi acid parties, dove si mescolavano le immagini di un mondo alla ricerca costante di eccitazione e di uno stile di vita condotto alla massima intensità.
Dalla seconda metà degli anni ‘90 in poi, fatta eccezione per alcuni videoclip (per Sonic Youth e Marylin Manson), Kern si concentra sul ritratto foto
La trasgressione è trasgredita, si avverte qualcosa d’intensamente poetico in queste immagini di giovani donne immortalate nell’intima morbidezza di ambientazioni quotidiane: in bagno, in cucina, in ufficio, mentre si depilano le ascelle o s’infilano una scarpa. Un sentore di purezza e innocenza si ritrova persino nelle tenerezze di un’avventura lesbica in atmosfere bucoliche di piena estate. Lo sguardo però, rimane quello in cui scorrono libere le pulsioni, uno sguardo che si posa su ragazze a loro volta libere di desiderare e di farsi desiderare. Il voyeurismo da cui Kern si dichiara affetto è infatti paradossale, dal momento che è lui stesso a costruire le situazioni e i contesti, e ad inserirvi un soggetto che, anche quando si finge ignaro dell’obiettivo fotografico, assume una posa e si esibisce consapevolmente. Eppure la somma di finzioni sembra dare per risultato il reale, proprio in quanto produzione soggettiva e aperta rivelazione delle proprie inclinazioni. Interpreti silenziose di una storia immaginata dal fotografo, di un frammento di consueta femminilità, le modelle giocano con il proprio erotismo, ora distrattamente, ora più lascive e maliziose. Amano lasciarsi ammirare. Dove l’artista si dimostra profondo conoscitore delle donne. E della forza desiderante che produce lo sguardo.
link correlati:
www.richardkern.com
www.suicidegirls.com
gabriella arrigoni
mostra visitata il 24 marzo 2006
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