Dopo la fine del regime maoista, il tema dell’identità è emerso, in campo artistico e intellettuale, in maniera sempre più problematica. In concomitanza con il venir meno di un insieme di costrizioni e sicurezze, portato dall’avvento del capitalismo e dagli sconvolgenti mutamenti sociali che hanno segnato gli ultimi decenni della storia cinese. Il rapporto irrisolto tra vissuto personale e partecipazione collettiva ad un movimento politico, tra individualismo e massificazione crescenti sulle macerie di una memoria storica spoetizzata e indebolita dal presente, hanno intriso i dipinti di Zhang Fazhi (Pechino, 1976) di una profonda amarezza. Lo si può riscontrare anche nel suo ultimo ciclo di lavori, intitolato Ideal, che la storica galleria La Bertesca presenta in un allestimento intimo e raccolto, confermando la propria recente tendenza ad intrattenere rapporti privilegiati con l’Oriente, in particolare con Russia e Cina, che hanno condotto a questa prima personale europea di uno dei protagonisti dell’avanguardia pittorica cinese, in collaborazione con la Beijing Art Now Gallery.
A differenza di molti altri suoi connazionali, che spesso hanno scelto la via della contaminazione con gli stilemi e l’iconografia occidentale, l’approccio di Fazhi risente poco di questo tipo d’influenza, inserendosi invece nel solco della tradizione del Realismo e della cultura figurativa classica, a lungo prerogativa delle Accademie, ed ora rinnovata ad incarnare la coscienza critica delle nuove generazioni. Nuove generazioni che denunciano un atteggiamento di disillusione e consapevolezza, di dolorosa impossibilità di cambiare le cose.
Negli autoritratti di Ideal l’artista si raffigura con indosso camicia bianca e sciarpa rossa, peculiari della divisa della gioventù rivoluzionaria, animato dal miraggio comunista –un valore per cui lottare collettivamente- che imprime un’aria di grave e coraggiosa determinazione sul suo volto, fattore primario d’individualità. Le figure di giovani rivoluzionari, isolate o in numero esiguo –ma in ogni caso affette da inesorabile solitudine, distanti l’una dall’altra– si ergono sparse e smarrite, senza direzione, immerse in un paesaggio montano cupo e minaccioso, uno spazio irreale la cui atmosfera lirica ed enigmatica non fa che accentuare il senso di sradicamento e di tramonto degli ideali che contraddistingue l’epoca attuale in Cina. Il grigio, è l’intonazione cromatica dominante. Uniche vestigia rimaste di un passato comune, ormai svuotate e cristallizzate in immagini evanescenti nella memoria del singolo, riappaiono visioni della Lunga Marcia, del Libretto Rosso di Mao, ideogrammi che perpetuano una tradizione antica, la cui autorità viene però costantemente messa in discussione.
gabriella arrigoni
mostra visitata il 3 febbraio 2006
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ma nel comunicato stampa viene detto che sto tizio vive e lavora a pechino. mettetevi d'accordo
Zhang Fazhi non è nato a Pechino, ma nella prefettura Pi, Chengdu, provincia del Sichuan, dove attualmente vive e lavora.