Mentelocale ha appena inaugurato la nuova stagione con una mostra particolare, dedicata ai “muri” di Pillino.
L’artista ligure, nato a Camogli nel 1948, propone in quest’occasione un’ampia panoramica dei suoi lavori più recenti: tratta di tecniche miste, realizzate con un metodo personale che da tempo caratterizza il suo lavoro come un leitmotiv.
In precedenza, fino all’inizio degli anni ottanta, Pillino ha dedicato la sua ricerca ad una pittura figurativa di stile tradizionale, anche se già connotata dalla preparazione tecnica e dalla sensibile attenzione per i colori che sono evidenti nel suo lavoro attuale.
Poi, vent’anni fa, una scelta decisa: Pillino abbandona i paesaggi e le nature morte per focalizzare la sua
Il muro come ossessione positiva. Come luogo e non luogo, affollato di sovrapposizioni e fantasmi di presenze trascorse. Il muro lavagna delle istanze sociali dei graffiti e dei murales o dell’urgenza individuale dello scarabocchio, comunque dell’atto catartico di un’appropriazione dello spazio.
E insieme il muro testimone muto del passare del tempo, museo di tracce involontarie nelle macchie di smog, nella muffa o nell’intonaco caduto, nelle strisce di vernice strappate al passaggio di automobili troppo vicine.
Così Pillino rinuncia alla carta o alla tela, sceglie il muro. Che da fondo rinasce protagonista.
Ricostruisce in studio veri tratti di muro artificiale, ludici e irriverenti per l’evidente incongruità dello spessore e per la poetica fragilità che ne deriva, e insieme paradossalmente veri nella natura della materia e nella tecnica di realizzazione.
Pizzi di cemento, muri spessi un centimetro, ossimori edili: queste barriere sottili sono sipari provvisori, saturi di pennellate e dripping di colori puri, movimentati da superfici scabre e irregolari.
Sipari, perché i muri di Pillino hanno sempre brecce violente, che li lacerano da un capo all’altro come alla ricerca di un oltre.
E qui sembra inevitabile pensare ai concetti spaziali di Lucio Fontana, così come il sovrapporsi d’immagini-manifesto rubate alle cronache mondane evoca prepotentemente i décollage di Mimmo Rotella .
È un aspetto interessante del lavoro di Pillino, questa frequente scelta della citazione come un omaggio ma anche e soprattutto come il riappropriarsi di un linguaggio contemporaneo composito, che abbatte le differenze tra correnti in un sincretismo magmatico, un blob di suggestioni ed epoche articolato e saturo come l’informazione dei mass media.
Così alcuni segni forti dell’arte del Novecento, per Pillino come per altri, diventano mattoni, caratteri di un alfabeto che diventa unico e personale per la scelta delle lettere e del messaggio.
Soprattutto, in questo caso, resi omogenei ed armonici dalla sovrastante personalità del “muro”. Che diventa protagonista davvero.
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