Categorie: Il fatto

Populisti, disperati o indifesi

di - 18 Luglio 2015
Come in tutte le vicende storiche che si rispettino, anche la questione della Grecia ha i suoi stereotipi, i suoi populismi, i “pensieri” dal basso che ad ogni mossa politica saltano fuori, indelebili come mantra. Sul Corriere della Sera di ieri un’arringa di Pierluigi Battista, contro coloro che hanno scelto di “boicottare” la Germania brutta e cattiva. L’altra campana, invece, è chi difende a spada tratta la Grecia, colpevole di non essere abbastanza “decisa” nello sbarazzarsi dell’ormai decadente (ma perché, è stata fiorente?) Europa.
Altro che populismo, e altro che frasi fatte: ognuno, fortunatamente, ragiona in base alla propria esperienza, e alla propria condizione. Inutile pensare che al bar, prima di parlare, si debba leggere un trattato di economia o politica internazionale. E inutile pensare che, nella marca trevigiana, i cittadini che hanno urlato contro gli immigrati e il prefetto, dicendo che “i neri” se li deve prendere a casa sua, siano tutti zotici.
Forse sono persone dalla cultura bassa, e talvolta non è colpa degli stessi, molto più spesso sono cittadini disperati, dal lavoro precario, sottopagato, che nel ricco nord est “Africanopoli”, per dirla come l’ha definito il colorito Governatore Luca Zaia, hanno paura del diverso solamente perché non hanno basi non solo culturali, ma anche a livello di garanzie “statali” su cui appoggiarsi. E si sentono abbandonati da questa nazione che non si è dimostrata, forse, per nulla comprensiva nei confronti dei loro problemi. Ci si mettono i mutui, l’economia che strozza, le calamità naturali che scoperchiano case, la crisi a destra e a manca, e ora anche gli immigrati, sembrano dirci le scene di ordinaria xenofobia che si registrano quotidianamente nel nostro Paese: solo ieri anche a Roma, nella zona di Casale San Nicola, ci sono stati scontri contro pullman che stavano portando immigrati. Ci sono due (ma anche tre o quattro) popoli che si guardano oggi in Italia, spaesati, stremati, esautorati dalle decisioni dall’alto, insoddisfatti.
Ci si sente vittime di soprusi, di qualcosa che viene tolto (ma cosa?) un po’ come la bambina palestinese vittima dell’affondo politico di Frau Merkel, che sicuramente resterà in Germania, ma che farà passare alla storia la Cancelliera come una sorta di nuova Margaret Tatcher, che non può “accogliere tutti” e che quindi rispedisce al mittente gli ultimi arrivati.
La politica è dura, non ascolta il cuore dei cittadini, così come è dura la legge dell’economia. Ma proprio in questo momento, così complicato e di transizione, è strano dover pensare che tutti debbano “adeguarsi” al cambiamento mentre è proprio dal palazzo che il cambiamento non arriva. Hai voglia a mettere “mediatori culturali” che possano far da paceri temporanei per gli animi, da Roma a Treviso; hai voglia a creare comunità laddove, per politiche sbagliate e società dall’idea destroide di benessere ostentato, regna una sorta di continuum di proprietà privata e di paura del diverso. La verità è che ancora spesso, come si è visto, non si è unita l’Italia: figuriamoci il resto, gli animi, e l’Europa compresa! (MB)

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