Torna ancora una volta a casa,
Nanni Valentini (Sant’Angelo in Vado, Pesaro,
1932 – Vimercate, Milano 1985), il poeta della terra che a Pesaro trascorse
diversi anni, dove collaborò con
Bruno Baratti e creò le prime terrecotte graffiate,
prima di trasferirsi a Milano.
Dopo una lunga ricerca scoprirà i luoghi dell’Informale,
lui, campione del segno e della tecnica dell’arte figurativa. Un approdo nato
da un percorso evolutivo sostenuto da una visione colta, sensibile, profonda; verso
una poetica che è un tutt’uno col suo lavoro. È l’attaccamento alla materia,
alla Madre Terra, alle forme primigenie; è l’elemento puro a raccontare questa
poetica. A svelare il senso della forza inclusa nella
potenza stessa, ancor prima di farsi
atto.
È la via, che percorre quando si trasferisce a Milano e
conosce
Lucio Fontana, a parlare di lui e del suo lavoro.
È il percorso dell’essere e del
divenire, come quando in una delle opere esposte, quasi tutte provenienti
dall’Archivio Valentini, il segno torna su se stesso, come uno scarabocchio
primordiale, e di nuovo vi abitano tracce di materia. Segni forti che rimandano
alla fecondità, a un volto che nasce dalla terra.
Eppoi le tracce, ora materiche come argilla, ora nate dal
colore come acqua, le circonvoluzioni come un grande soffio che genera la vita.
E lassù, in alto, il segno restituisce una casa, un porto sicuro, quasi un
tabernacolo che racchiude in sé vita e mistero. Altrove, una sagoma di volto
come il flutto di acqua benefica che sgorga dalla terra, i segni graffiati su
una tavola nera come sentieri da percorrere, come possibilità dell’esistenza.
C’è qualcosa, nell’opera di quest’artista, capace di vivere
e lavorare a lungo in solitudine, come quando fu invitato ad Altopascio per
collaborare con le Manifatture Mancioli; qualcosa che rimanda al
panta rei, al tutto scorre di eraclitea
memoria. E, di fronte alle sue sculture, si resta in attesa di una
trasformazione, di una nascita.
Dell’autore – che partecipò a partire dal 1956 a tutti i
concorsi della ceramica di Faenza, dove più volte fu premiato – c’è un disegno
che ha un tratto deciso e veloce, dominato dal colore blu, con scorie di materia
a delineare una sagoma femminile fatta di acqua, di cielo, di terra e di vento.
Laddove la genesi del figurativo s’incontra con l’evoluzione dell’Informale, le
forme di questa donna racchiudono sensualità e vita.
Chiamato alla Biennale di Venezia nel 1982 e nel 1984, il
celebre
Cratere rivela come il suo percorso sia il frutto di un cammino dialettico che dà
origine a una sintesi pura. I suoi brandelli di terra sono “
parola scavata
nella vita come un abisso”. Sono racconto, significazione, rivelazione. Indicano l’appartenenza
a quella religione che sposa, quand’è lui stesso a dire: “
Ho scelto la materia”.