Appoggiata al muro, in modo alquanto provvisorio, la scala installata da Rocco Dubbini (Ancona, 1969) invita a salire al piano superiore della galleria direttamente dallo spazio espositivo. La presunta funzionalità si annulla, però nel biancore accecante, innaturale, della struttura, che si rivela formata da ossa umane, modellate dall’artista in marmo–ceramica. Le giunture, come articolazioni, se da un lato la rendono estremamente fragile ed instabile, dall’altro le attribuiscono una plasticità che le consente un costante e reciproco dialogo con lo spazio. Concrezioni gelide, che si dispongono irregolarmente sulla superficie, trasformando un normalissimo termosifone da oggetto d’uso comune a elemento inquietante che reagisce, addirittura all’opposto, al suo solito utilizzo. Oggetti quotidiani che manifestano ambiguità e disorientano nella loro continua relazione con lo spazio che sembra avvolgerli e trasformarli. Ciò che era un istante prima si nega un attimo dopo. Oggetti e immagini non posseggono più un verso che possa considerarsi corretto per essere osservati e compresi ma, sia fisicamente che semanticamente, diventano ambivalenti. Così, la trasformazione del teschio umano in palla da bowling leggibile anche al contrario, come fosse quest’ultima ad assumere sembianze ossee, consente di riconsiderare la realtà in chiave ironica, leggermente cinica, aprendola a molteplici considerazioni. Un gioco di significati che viene applicato anche al volto, quello stesso dell’artista. Attraverso l’uso della fotografia rielaborata in digitale l’autoritratto subisce lievi, impercettibili, mutazioni, rendendo incerti di fronte ad esso, non potendo più affermare con sicurezza quale dei tre individui esista davvero, in un gioco d’identità sottile ed inquietante. Cade qualsiasi certezza e ogni aspetto della realtà, dal più quotidiano al più intimo, viene messo in discussione in un dialogo serrato che ha l’uomo come unico attore, sempre a confronto con se stesso, le proprie origini e la propria esistenza.
Allo stesso modo il titolo, scritto a penna direttamente sul muro, nega il suo ruolo arrivando ad affermare l’importanza della materialità dell’oggetto per annullarla subito dopo nei fatti, nelle opere, che manifestano una straordinaria capacità di mutare e relazionarsi con lo spazio. E da questa entità impalpabile e sconfinata vediamo arrivare, fluttuando nell’atmosfera, un’astronave che da lontano lentamente si avvicina nel piccolo monitor posizionato dall’artista come fosse sospeso nel vuoto. Pronto a partire per questo viaggio interiore è Il sottomarino bianco realizzato dal Sure Creative Lab. Una navicella nella quale poter entrare, sedersi e navigare, attraverso uno schermo interattivo, all’interno di noi stessi. Un percorso, quello proposto dalla Louse Gallery, alla ricerca di un motivo, della risposta alle infinite domande che accompagnano l’uomo verso quello che tutti noi stiamo cercando e si risolve, invece, in un cinico e inesorabile accumulo di detriti.
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