L’ombra ben esprime e interpreta il pensiero di un artista che, con il suo lavoro, ha segnato gli ultimi trent’anni di storia dell’arte. Sui fili d’erba del prato si formano sottili e quasi grafici segni neri che si avvicinano, nella loro forma, a quelli frondosi proiettati dall’albero vicino.
Luigi Mainolfi (Rotondi, Avellino, 1948; vive a Torino) sceglie di collocare proprio sull’argine del piccolo lago, prossima al salice piangente, la mole leggera e inquietante di
Gabbia. Una simbiosi, fra luogo e opera, che diventa segno evidente dell’allestimento di questa mostra. Venticinque opere appartenenti all’intera carriera dell’artista campano, dall’
Alatino (1978) alle opere del 2007 come
Bandiere e
Scosso.
Un contesto d’eccezione messo a disposizione dall’Associazione Culturale Seghetti Panichi che, quale obiettivo programmatico, ha la sensibilizzazione verso la difesa della natura e del paesaggio.
Quello della natura e, in particolare, della sua difesa è tema centrale nella poetica di Mainolfi. Sia per l’uso di materiali che da essa provengono -la terracotta, il ferro, la pietra, che mantengono in evidenza il proprio tessuto cromatico- sia per la definizione plastica, che rimanda direttamente a forme animali e naturali. La mostra nasce non tanto come retrospettiva, quanto per ricreare quel connubio originario fra uomo e natura, quella nascita comune. E da sempre l’artista lega la propria poetica a quanto di più atavico e primordiale vi sia nell’esistenza. Ne sono testimonianza opere come
Centaura Oro,
Colonne di Maggio Arpie,
Nozze di Sole e Salerno,
Vaso di Pandora, che non si fondono nel paesaggio ma emergono con le loro caratteristiche.
Un aspetto che non si pone in contrasto con l’armonia del luogo, ma che anzi ne sottolinea una delle particolarità più interessanti. In effetti, il parco nasce all’insegna della biodiversità. Progettato tra il 1875 e il 1890 dal botanico e paesaggista tedesco Ludwig Winter, unisce armonicamente gli elementi naturali, dall’acqua alla luce fino alle differenti specie di piante, da quelle tipiche dell’area mediterranea alle esotiche e nordiche. In questo contesto, le opere sono intese come nuovi elementi che interagiscono sia con l’uomo che con l’ambiente. Un risultato ottenuto dall’artista attraverso l’attenta selezione di ogni singolo lavoro, creando un percorso da scoprire lentamente. L’opera viene così a essere chiamata dal luogo, evocata.
Una sinergia che mette in risalto un altro aspetto del lavoro di Mainolfi, la metamorfosi. Una qualità che si concretizza sia attraverso i materiali scelti che nella forma, frutto di ibridazioni. Ne sono esempi
Malat,
Capretta di Stupinigi,
Cervallo Piramide. E la partecipazione totale dell’essere, in carne e sangue ma anche in spirito ed essenza, è stata dall’artista sottolineata nella performance d’apertura. Il corpo nudo di una giovane donna diventa strumento d’iniziazione. Seguendo i suoi spostamenti, fra il parco e le opere, le sue curve e il caldo colore della pelle esaltano l’aspetto sensoriale di quest’esperienza, dove tutte le parti del corpo partecipano. Opere come
Tavoli Serpenti,
Scala Tamburo,
Con Nacchere e Caracas,
Dune Seni,
Montagne,
Elephant ne sono segni evidenti.