20 agosto 2019

Terno al Mibac. Il governo scommette sull’arte, anzi, azzarda

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Mika Rottenberg Bowls Balls Souls Holes (Hotel) (Film Still), 2014

Il gioco fa bene all’arte. Ma solo a volte. È la duplice faccia del nostro Paese (e della nostra politica) di fronte ad alcune questioni, come quella del gioco d’azzardo. Così accade che all’indomani dell’introduzione del decreto Dignità che contiene al suo interno il divieto totale di pubblicità per le società di gioco e che riguarda (espressamente, per giunta!) anche le sponsorizzazioni in ambito artistico e culturale, arriva oggi un nuovo decreto con il quale, al contrario, viene stabilito un prelievo automatico, ex lege, dei proventi del Gioco del Lotto da destinare al Mibac.

Il nuovo testo di legge, denominato Dl Mibac (Dl n.59 del 6 agosto 2019), contiene «misure urgenti in materia di personale delle fondazioni lirico sinfoniche, di sostegno del settore del cinema e audiovisivo e finanziamento delle attività del Ministero per i beni e le attività culturali e per lo svolgimento della manifestazione Uefa Euro 2020» ed è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale a cavallo di ferragosto, quindi già formalmente esecutivo.

Come detto, il provvedimento prevede la destinazione in favore del Mibac «una quota degli utili derivanti dal gioco del lotto per il recupero e la conservazione dei beni culturali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari, nonché per interventi di restauro paesaggistico e per attività culturali. Detta quota è quindi stabilita con decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Mibac».

Stando al dossier di studi che ha accompagnato l’esame del testo di legge in Parlamento, il provvedimento «autorizza la spesa di 19.400 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020 per le finalità sopra citate». La relazione illustrativa all’As 1374 – continua il testo – precisava che «le risorse aggiuntive sono finalizzate ad assicurare lo svolgimento di attività sia tecniche che di supporto per un più efficace ed ottimale svolgimento di funzioni di tutela e conservazione dei beni culturali. Si ricorda – spiegano i tecnici parlamentari – che l’art. 1, co. 351, della L. 208/2015 ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro annui, a decorrere dal 2016, per le finalità di cui all’art. 3, co. 83, della L. 662/1996». In particolare, la quota di spesa autorizzata è stata destinata ad incrementare il fondo da ripartire iscritto nello stato di previsione del ministero per i Beni e le attività culturali in cui confluisce quota parte delle risorse derivanti dalle estrazioni dei giochi del lotto (Cap. 2401).

Mika Rottenberg, Bowls Balls Souls Holes (Film Still), 2014

Una misura che permette al governo di andare a racimolare fondi preziosi con cui arginare situazioni critiche, già segnalate da più parti. Per esempio, nella relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2018 – Vol. II, la Corte afferma che «nell’ambito degli stanziamenti del ministero, rilevanti risultano, al pari dei precedenti esercizi, le risorse destinate alla conservazione e alla tutela del patrimonio provenienti da altre amministrazioni ed, in particolare, dai c.d. fondi-lotto (22,5 milioni) previsti dall’art. 1, comma 351, della legge n. 208 del 2015».  A tale ultimo riferimento, la Corte specifica tuttavia che «in conseguenza della sempre maggiore esiguità delle risorse, l’amministrazione non ha provveduto ad una specifica programmazione destinando i proventi all’acquisto di beni strumentali alla fruizione e conservazione dei beni culturali della società Ales Spa». Più che osare, quindi, introducendo una destinazione ulteriore verso il mondo dell’arte, in realtà il governo sta semplicemente cercando di tappare un buco, tirando la solita coperta (quella dei giochi, appunto) da un’altra parte, cioè verso il Mibac. E questo sì che può essere considerato un azzardo.

Mika Rottenberg, Bowls Balls Souls Holes (Film Still), 2014

«Gli oneri – si legge nel dossier – sono coperti mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell’ambito del Programma Fondi di riserva e speciali della missione Fondi da ripartire dello stato di previsione del ministero dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2019, utilizzando l’accantonamento relativo al Mibac».

Nel dossier parlamentare è specificato inoltre che «non rientrano nella definizione di servizio di media audiovisivo i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale, quali, a titolo esemplificativo: i siti internet che contengono elementi audiovisivi puramente accessori, come elementi grafici animati, brevi spot pubblicitari o informazioni relative a un prodotto o a un servizio non audiovisivo; i giochi in linea; i motori di ricerca; le versioni elettroniche di quotidiani e riviste; i servizi testuali autonomi; e i giochi d’azzardo con posta in denaro» (ancora loro!).

Ebbene, la destinazione di fondi provenienti dal gioco del Lotto è senz’altro una buona notizia per i Beni Culturali. Appare tuttavia bizzarra la linea seguita dal governo rispetto ai fondi del gioco visto che, mentre una legge impedisce qualunque tipo di finanziamento agli eventi culturali ed espositivi, tagliando così le gambe a tutte le iniziative promosse o partecipare dalle società di gioco nel mondo dell’arte (tra restauri, donazioni e sponsorship), un’altra rende addirittura automatico il prelievo di fondi del Lotto.

La ratio del divieto di pubblicità “totale”, tuttavia, pur rappresentando un unicum a livello mondiale, appare evidente: voler tutelare i consumatori dal rischio di eccessi e dal gioco patologico. Ma invece di vietare tutto, non era meglio, al contrario, destinare i proventi di tutti i giochi verso iniziative culturali o di altro beneficio pubblico, proprio come fatto con il gioco del Lotto? Del resto, non si tratta di nulla di assurdo né tanto meno di astratto, visto che in altri paesi, Regno Unito in testa, tale sistema esiste da decenni, con il gioco pubblico che contribuisce alle finanze del Paese con il meccanismo delle cosiddette good causes. Ciò che in Italia si traduce come “tassa di scopo”, salvo non applicarla. Oppure facendolo solo parzialmente.

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