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Lino Fiorito | Museo Duca di Martina, Napoli

di - 10 Settembre 2014
L’arte ha un’innata propensione alle ibridazioni. Mostrando una capacità di adattamento che farebbe invidia a un ornitorinco, è riuscita a superare cataclismi di ogni tipo, dai maremoti minoici a Telemarket. Mai uscita indenne dal confronto con la storia, ha sempre prestato il fianco alla critica, facendo della rifunzionalizzazione e del fraintendimento un canone vitale.
Succede spesso a Napoli, dove la stagione delle contaminazioni ha antecedenti che affondano le radici, addirittura, nella letteratura classica, a partire dalla originale rilettura che l’ercolanese Lucrezio Caro Tito diede dell’epicureismo ellenico. Tralasciando le origini mitologiche, il superamento delle cesure cronologiche iniziò, ufficialmente, nel 1978, al Museo di Capodimonte, con il grande cretto di Burri esposto tra le pitture del ‘600, un progetto nato dalla collaborazione tra Raffaello Causa e Lucio Amelio.

Così, capita che anche le ceramiche tradizionali cinesi e giapponesi, prodotti artistici di culture superficialmente equiparate a un monolite statico e impermeabile alle influenze, possano essere rilette sotto le luci e le ombre delle sperimentazioni contemporanee.
In questo caso, le ceramiche di Lino Fiorito (Ferrara, 1955) sono gli elementi visivi che mettono in discussione il perfetto equilibrio formale della collezione di arti decorative orientali, pezzo forte del Museo Duca Di Martina, la cui architettura neoclassica svetta nel parco borbonico della Villa Floridiana.
La mostra, a cura di Angela Tecce, sviluppa un fluente gioco di richiami sussurrati tra forme e colori. Le geometrie di Fiorito si insinuano tra 1200 bronzi, smalti, giade e porcellane, di epoca Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) e di tipo Kakiemon e Imari. Un gioco ottico soffuso e diffuso tra le teche, che mette sullo stesso piano percettivo i secoli e le latitudini, la storia e la contemporaneità, affrontando il dialogo con quella gestualità minimale che aiuta la comprensione ma non disturba l’attenzione. ‹‹A guidarci è stata l’ispirazione del momento. Abbiamo ragionato basandoci su associazioni e contrasti formali, coloristici e tematici, più o meno espliciti››, ci ha spiegato Giovanna Bile che ha collaborato all’allestimento. Usando istinto e visione, l’effetto del confronto appare naturale e procede adattando il proprio linguaggio, teca dopo teca. Le trenta opere, realizzate tra il 2006 e il 2013, compiono un’incursione soggettiva nella figurazione stereotipata delle lacche cinesi e giapponesi, interagiscono attivamente con la tradizione figurativa orientale, dai guerrieri ai motivi floreali fino alle singolari scene di ambientazione europea, fin dal XVII Secolo, appositamente preparate per il mercato d’esportazione. Estendendosi tra astrazione e concretezza, animate dall’alternanza improvvisa di pieni e vuoti, le sculture di Fiorito sono elementi scenici che intervengono direttamente nello spazio. ‹‹Questa è una mostra che non ha la pretesa di spiegare ma lascia tutto il compito allo sguardo individuale››, ha detto Angela Tecce.
La topografia concentrata della teca espositiva diventa palco atipico, scena dinamica entro la quale le opere performano uno scambio percettivo, tra culture e forme, pronto ad essere colto dal fruitore.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 22 maggio
Lino Fiorito, Ceramiche
Museo Duca di Martina, via Domenico Cimarosa 77 – Napoli

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