18 maggio 2009

libri_presentazioni Legendary hearts (damiani 2009)

 
I cuori leggendari sono quelli della boxe. In un percorso che nasce dal legame fra sport e arti visive, per farsi provocare dal dadaista Arthur Cravan. Di una magnifica ossessione ci parla l’autore del libro, Gabriele Tinti...

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Legendary hearts nasce da un’ossessione privata e da una urgenza. Parlo di ossessione perché se stai in piedi, a tarda notte, per vedere un match anche se sai che la sveglia ti suonerà alle 6:30; se sei disposto a prendere e andare dall’altra parte dell’Oceano e non vedi l’ora di arrivare e spendi una fortuna per un posto in parterre; se stai ore in rete per controllare i risultati anche delle riunioni in Ohio non c’è dubbio: parlare di ossessione è necessario.
Urgenza poi perché credo effettivamente che lo sport sia diventato uno, se non il fondamentale della vita odierna, un orizzonte vasto, influente, diffuso. Perché credo che lo sport sia oggi l’immaginario che determina stili di vita universalmente condivisi, l’attivante effettivo di istinti e comportamenti rivoluzionari. Perché lo sport è cultura e gli artisti non possono fare a meno di prenderlo a oggetto, di seguirne le dinamiche, di confrontarcisi, di ragionarci su. In molti si sono provati in tale senso: penso al lavoro forse più noto di Douglas Gordon e Philippe Parreno (Zidane, un ritratto del XXI secolo, 2006), agli inizi di Maurizio Cattelan, all’opera e alla vita di Matthew Barney e a tantissimi altri che dello sport hanno fatto il campo privilegiato di riflessione e l’attivante fabrile del loro operare.
Al di là di queste considerazioni generali, le mie riflessioni – che in Legendary hearts si sono sedimentate come suggestioni retoriche più che come discorsi organici – si sono attivate in risposta alla provocazione di Arthur Cravan (poeta e artista dadaista) che, agli inizi del XX secolo, affermava di essere più attratto dal pugilato che dalla letteratura. Naturalmente quest’affermazione toccava in me una corda sensibile – mi pungeva, direbbe Roland Barthes – perché da tempo andavo ragionando sull’importanza simbolica della boxe e sul suo essere non semplicemente un fatto in svolgimento, bensì un’azione performativa colta – dal fruitore – come contenitore di significati, di simboli appunto.

Il pugilato mi si andava dispiegando quindi come uno dei luoghi di produzione del mito al pari della letteratura e delle arti. I pugili – sia quelli frutto d’invenzione come Laodamante (personaggio dell’Odissea) che coloro che sono esistiti realmente, come Diagora di Rodi e Muhammad Alì – come esseri umani capaci, attraverso il sacrificio e un talento d’eccezione, di trascendere se stessi e di porre un orizzonte valoriale comune.
Molti eroi d’oggi, nel bene e nel male, sono sportivi. Pensiamo all’altare innalzato dai napoletani in un angolo della Piazzetta Nilo a Maradona; oppure all’esibizione strumentale del corpo – pure immobilizzato dall’Alzheimer – di Alì. Il mio campo d’indagine si è concentrato però sul pugilato, anche perché lì ho trovato davvero “l’uomo col suo terrore della banalità ininterrotta, con le sue affezioni e disaffezioni maledette, coi suoi atti pii e osceni, coi suoi visceri rossi e impuri, col suo gusto della decadenza e dell’espiazione”. Ecco, queste parole che Lea Vergine ha utilizzato per definire la performance credo si applichino perfettamente alla boxe.
Non è un caso, quindi, che io abbia scelto per commentare in immagini il mio libro il performer Franko B., che con le sue foto e i suoi Blacks Paintings rappresenta al meglio come un incontro di lotta possa sublimarsi in un’estetica del carnale. E non è un caso nemmeno che abbia scelto una leggenda del pugilato mondiale com’è Nino Benvenuti, che gentilmente ha sposato il progetto e si è prestato a introdurre le mie digressioni.

Ho cercato comunque di rendere suggestivo questo parallelismo, preoccupandomi di sviluppare il tema attraverso la continua e agonistica volontà di confondere i due termini – l’arte, la letteratura, e il pugilato, lo sport – servendomi dell’uso della citazione (troverete Gottfried Benn al fianco di George Foreman, Friedrich Nietzsche e Tiberio Mitri, Merleau-Ponty e Sonny Liston) e della scelta del registro linguistico da applicare (saggistico in alcune parti, narrativo in altre).
Tutto ciò per creare, attraverso il mio testo, una immedesimazione totale con lo scopo che mi prefiggevo e con l’oggetto che quello scopo serviva; scrivendo cioè con quel ritmo che fondamentalmente appartiene al pugilato. Perché la boxe è “forza vibrante, arte in velocità” (Tiberio Mitri).

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la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli


Gabriele Tinti – Legendary Hearts
Damiani, Bologna 2009
Pagg. 112, € 20
ISBN 9788862080989
Info: la scheda dell’editore

[exibart]

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