15 luglio 2010

design_salone Il pretesto olandese

 
Un Salone in Dutch. Non sono stati disattesi i pronostici sul chiacchierato “who’s who” del momento. Con quello, scontato, sulla ritrovata egemonia del cool factor “arancione”...

di

Il design olandese come un “false flat”, un falso piano: fu questa
l’espressione con cui, nel 2004, il lavoro di artisti, creativi e progettisti
dei Paesi Bassi venne etichettato in occasione dell’uscita del definitivo
volume di Aaron Betsky e Adam Eeuwens sul successo del Dutch Design. La strada
della celebrità, secondo i due, aveva dunque origini lontane, nella metafora di
un paese che strappa la terra al mare e pianifica levigando, con grande
anticipo storico rispetto al resto del mondo, il proprio paesaggio e la propria
maniera di vivere. Un genius loci audace e pragmatico come ragione di una notorietà tanto
recente e fulminea? Visione romantica e persino folkloristica. Distante, ma non
troppo? Dal punto di vista del caposcuola Gijs Bakker, il quale ha recentemente dichiarato,
proprio in quel magazine The Dots distribuito con tanta prodigalità nei giorni del Salone
del Mobile a Milano, di ritrovare la chiave di volta del progetto olandese in
un “conceptual design in context”, un progressivo affinamento del concetto, libero da
preclusioni o pregiudizi su limiti o confini disciplinari, in rapporto a un
contesto dato.

Sarà, ma a più di quindici anni dalla nascita di Droog
Design
e di quel
design “secco” che sì, ha realmente rappresentato uno spartiacque nel
rinnovamento della scena olandese, il lavoro degli epigoni sembra aver
abbandonato il rigore concettuale della prima ora per lasciare il passo a un
tono più spensierato, più volentieri incline al gusto di una trovata legittima,
divertente, a tratti pretestuosa.


Sfumature, queste, non difficili da riconoscere nei lavori
presentati all’ultimo Salone. Come nella mostra The Questions, allestita dalla Design Academy
di Eindhoven nel nuovo epicentro, quasi tutto olandese, di Zona Ventura: uno
showcase in cui ogni progetto di laurea, secondo un autentico presupposto di
problem solving, è stato sviluppato come risposta a una domanda sui temi della
sostenibilità e della memoria. Interessanti anche le altre collettive del
distretto, tra cui Made in Arnhem e Autofficina. Meno esaltanti, invece, le
proposte di Tuttobene e Gronicles, come anche la prima collettiva Droog Design dopo l’allontanamento di Bakker:
un ritorno, dal punto di vista formale, al gusto secco delle origini, meno
convincente nell’urgenza di dover riabbracciare, ancora una volta, la pratica
del riuso.

Sempre in Zona Ventura, poi, non poteva mancare la
versione più esclusiva del design “limited edition” olandese, come quello di Kiki
van Eijk
o
Maarten Baas
. Il
quale, reduce dal conferimento del titolo di Designer of the Future alla scorsa
edizione di Design Miami, si è divertito a prendersi il lusso di un anno
sabbatico, rotto soltanto dal lancio della sua nuova app per iPhone, Analog
Digital Clock
.
Intorno, una costellazione di produzioni da bricoleur in salsa Arts &
Craft, votate al décor, alla lavorazione artigianale e alla piccola scala del
progetto, quella del complemento d’arredo.


Una presenza variegata, dunque, quella degli olandesi al
Salone. Eccezionale nel comunicare la propria identità, giocando intorno ai
propri stereotipi e ai personaggi già affermati. Ancora più efficace, però, nel
fare quadrato intorno al proprio sistema-paese – e questo è il punto –
compensando la mancanza di una diffusa rete manifatturiera con un deciso
sostegno istituzionale, frutto di una politica consapevole che ha investito nel
design come principale vetrina di un’economia della conoscenza targata “Made in
Holland”.

Eccoli spiegati anche così, allora, i prolifici olandesi:
protégé di un governo che non lesina le borse di studio e i vitalizi,
allontanando i designer dalla stringente – e altrove ineludibile – necessità di
un confronto con la committenza. Una realtà agli antipodi rispetto al modello
italiano, sempre più marcato, ancora una volta, dalla centralità di quella
“media industria” cantata da Andrea Branzi, ma anche dalla sostanziale assenza
di una struttura istituzionale in grado di sostenere e offrire visibilità ai
giovani talenti emergenti.

 

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*articolo pubblicato
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1 commento

  1. TRA LE PRESENZE OLANDESI AL FUORI SALONE 2010 NON VA DIMENTICATA LA SPLENDIDA INSTALLAZIONE PER GREEN ISLAND DI TON MATTON: ‘ THE URBAN ORCHAD/IL FRUTTETO URBANO’, PRESSO LA STAZIONE FERROVIARIA GARIBALDI, A CURA DI CLAUDIA ZANFI. DECINE DI ALBERI DA FRUTTO CON UN SISTEMA DI AUTO ALIMENTAZIONE ECO-SOSTENIBILE: IL FUTURO PER COLTIVARE UN FRUTTETO IN CITTà!

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