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I latitanti sono loro

di - 11 Settembre 2017
Sedici anni. Oggi sono passati sedici anni da quel terribile giorno che ha sconvolto e cambiato per sempre il mondo contemporaneo. E di cui sentiremo ancora a lungo gli effetti. Quando i voli United Airlines 175 e American Airlines 11 si abbatterono contro le Twin Towers. Le macerie delle Torri Gemelle ancora fumavano mentre faceva il giro del mondo, ancora sconvolto, una dichiarazione del famoso compositore d’avanguardia Karlheinz Stockhausen: l’attentato era stato «la più grande opera d’arte possibile nell’intero cosmo». Poco dopo, di fronte all’indignazione collettiva, Stockhausen provò a fare marcia indietro. Ma inutilmente. L’arte, chiamata in causa tanto impropriamente, dal canto suo ha comunque cercato di rispondere alla tragedia dell’11 settembre. Con esiti, tuttavia, poco convincenti. Probabilmente per la portata dell’impatto simbolico di quelle immagini, a cui tutti abbiamo assistito incollati alla tv o percorrendo con i mouse i siti web d’informazione, sul nostro immaginario generale. Sul quale ha impresso solchi profondi. Permanenti. Inibendo gran parte, probabilmente tutte le risposte espresse attraverso le arti visive. Depotenziandole. Rendendole innocue. Contraddistinte com’erano più da una funzione dichiarativa che non da una vocazione reattiva di fronte agli eventi epocali che si stavano compiendo in quel momento. Da allora, la sequela degli attentati non si è interrotta, mentre la loro trasposizione mediatica va in onda attraverso strumenti sempre più sofisticati, da trailer cinematografico. E l’arte contemporanea non molla la presa sul punto. In cerca di concretizzare la propria risposta alla Storia. Efficace. Sempre che non diventi preponderante quella deriva scivolosa dello sfruttamento cinico del terrore e del male. Che rischia di scadere nel conformismo estetico, per altro favorito da un certo mercato dell’arte e da una crescente corsa alla spettacolarizzazione. Una forma d’iconoclastia rischiosa per l’arte dei nostri giorni. Arte che deve, invece, avere il coraggio di confrontarsi con la catastrofe con intelligenza e spirito critico. Per questo mi sembra un esperimento interessante quello che andrà in scena questo pomeriggio a Roma, negli spazi di Casa Vuota. Intitolata “I latitanti sono loro”, è la mostra personale di Filippo Riniolo a cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo. Ci troviamo in uno spazio espositivo “alternativo”, domestico, decentrato, immersivo, no-profit. Si chiama Casa Vuota ed è un’abitazione congelata nel tempo, rimasta nello stesso identico stato nel quale è stata lasciata dai proprietari dopo quarant’anni di permanenza. Ma qui oggi, più dello spazio espositivo in sé per sé, più delle sue mura, sembra ancora più rilevante, per la sua carica simbolica, il quartiere della Capitale che lo ospita. Siamo al Quadraro, emblema della Resistenza dell’Urbe. Siamo, in aggiunta, sulla stessa strada che ha ospitato, a fine anni Novanta, un covo delle nuove Brigate Rosse. Ed è proprio qui, all’interno 4a del civico 12 di via Maia, che Filippo Riniolo invita il pubblico a una riflessione sul significato profondo della violenza e sulle sue manifestazioni più estreme, come guerra e terrorismo. «L’impianto teorico della mostra si ritrova nel filosofo argentino post-marxista Ernesto Laclau, – mi ha anticipato Riniolo – conosciuto ai più come il teorico del populismo e punto di riferimento per i movimenti come Podemos in Spagna, che offriva una lettura della società non divisa in destra e sinistra, ma in alto e basso. L’opera principale della mia personale incarna proprio questa contrapposizione, dispiegandola in modo percettivo proprio fra le stampe che ritraggono i potenti della terra mentre impugnano una pistola (nella foto in alto e in homepage) e il pubblico che interverrà. Quest’ultimo si troverà così accerchiato da loro, anzi al centro di uno scontro a fuoco. Al centro di una guerra potenziale». Un’installazione anche performativa questa di Riniolo con l’intento di restituire ai visitatori una lettura critica della condanna della guerra, non come generica volontà di pace, ma come critica sociale: evidenziando che a perdere nella guerra sono sempre le popolazioni civili. (Cesare Biasini Selvaggi)
In alto: Filippo Riniolo, I latitanti sono loro, 2017, Queen Elizabeth
In homepage: Filippo Riniolo, I latitanti sono loro, 2017, Donald Trump

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