Categorie: parola d'artista

exibinterviste | la giovane arte – Carlo Benvenuto

di - 14 Giugno 2002

Perché ritrai solo oggetti inanimati nei tuoi lavori? E come mai nella tua recente mostra personale da Emilio Mazzoli hai deciso invece di inserire per la prima volta il soggetto umano?
Degli oggetti che ritraggo non m’interessa il loro utilizzo, non penso a che cosa essi servano. Penso che essi esistono nella mia vita.
Non è tanto importante il soggetto raffigurato, ma quello che precede la scelta di questo soggetto.
Restare fermo in casa è una scelta e, contemporaneamente, una non‑scelta. E’ una scelta per ragioni poetiche e una non‑scelta intesa come grado zero del soggetto, la soglia minima, il confine tra il fare e il non fare.
Usare la macchina fotografica nel mio spazio privato è, per me, una piccola perversione, una piccola dose di esibizionismo che esercita una patetica violenza sulla mia casa, su me stesso; frutto dell’esigenza contraddittoria di chiudersi in casa e di farlo sapere a tutti.
A Modena per la prima volta le mie opere non sono composizioni, ma apparizioni. Il soggetto improvvisamente si svela a noi nella sua evidenza, sorpreso prima che abbia avuto il tempo di mettersi in posa.
Sono opere molto violente, dove alla violenza insita nell’idea stessa del fotografare si somma la violenza espressa dall’energia congelata dallo scatto. Quindi soggiace, per la prima volta nel mio lavoro, l’idea di energia, di movimento e dunque della presenza viva dell’essere umano.
I miei oggetti per la prima volta recano la traccia di una manomissione, sono usati e toccati: penso alla foto dove mi viene porto un bicchiere e alla scultura dove a punta di diamante ho inciso sulla superficie del vetro le impronte digitali.
Le fotografie e i tuoi lavori in genere innescano stupore in maniera leggera e fortemente spaesante, e la realtà delle cose perde ogni forma di certezza. Gli oggetti, allora, per te hanno una vita indipendente o tocca al soggetto “intenzionarli”?
Esiste un occhio che sa ancora guardare il mondo e lo mostra nella sua complessità.
Lo straniamento s’innesca regolarmente quando si aggiunge qualche cosa alla propria consapevolezza, inevitabilmente bisogna aggiornare il proprio pensiero e fare i conti con il nuovo intruso.
L’implacabile logica naturale delle cose prevedibilmente e inesorabilmente condiziona e vincola il pensiero poetico: la realtà non è razionale, né bella, né nobile. La sua condizione generale è il caos, la mancanza di qualsiasi ordine, l’assenza di qualsiasi finalità.

”L’ordine che stabilisco all’interno di ogni immagine non è solo formale, ma anche poetico: m’interessano i miei oggetti e i miei spazi perché mi confortano nel caos delle cose del mondo e questo caos si ripete necessariamente e perennemente, eternamente ritorna su se stesso assumendo, nel ritrovare cose già conosciute, anche una funzione consolatoria.”
L’associazione poetica di un oggetto con un altro oggetto o con uno spazio che lo ospita oppure entrando nello specifico fotografico, con un colore o una sfocatura o una sovra o sottoesposizione provoca quel languore metafisico che sempre soggiace alle mie immagini.

Con le possibilità attuali di utilizzare macchine digitali ed elaborati software di manipolazione dell’immagine tu, al contrario, adoperi il banco ottico, quindi un mezzo meccanico e tradizionale. Come arrivi tecnicamente ad ottenere tali risultati?
La tecnologia permette di realizzare cose perfette in ogni disciplina in cui viene applicata; rispondo esaltando la mia sensibilità e tralasciando tutto il resto: la complessità ideologica nella scelta del soggetto (che affronto a priori durante l’approccio non all’opera, ma al fare arte) e la complessità tecnologica nella realizzazione dell’opera d’arte. Queste “complessità” hanno perso un primato che avevano fino a pochi anni fa, la loro sede non è più nell’oggetto finale, nel prodotto artistico, ma nell’avvicinamento compiuto prima di questa produzione, nel bagaglio di riflessioni che ne hanno delimitato i confini e individuato le ambizioni.
Non intervenendo in alcun modo su ciò che m’interessa ne consegue un’immagine fatta di oggetti semplici, funzionali al mio lavoro proprio perché evidentemente domestici e un’immagine formalmente impeccabile, frutto della lezione della grande pittura dei Maestri e quindi della tradizione italiana ed europea. Quest’aspetto del mio lavoro mi permette di lasciare l’aspetto di minaccia, straniante, libero di presentarsi vergine allo sguardo dello spettatore, perché non si avvale di effetti o trucchi, ma l’oggetto così raffigurato è libero di sprigionare con semplicità e quindi con determinazione la sua potenzialità espressiva.
Sono indifferente alla tecnica. Non mi piace nemmeno parlarne, a tal punto che nel caso ti rispondessi su come scatto le mie foto mi sentirei di tradirne lo spirito, di ridurle a semplici curiosità formali, a degli affascinanti freaks.

In Fuoco Pallido alcuni tuoi lavori sfuggivano in parte alla mia comprensione; in che modo si rapportano al resto della mostra e al tuo lavoro in genere?
Sorprendente perché sono proprio i lavori che allargano l’orizzonte del mio lavoro, rendendo più manifesti i temi che sottendono a tutta la mia opera e soprattutto a tutta la mia mostra da Mazzoli.
Sono i temi del falso, dello straniamento, della metafisica, dello sguardo malinconico lanciato ad una realtà che non si può afferrare, che ci sfugge, che ci dà l’illusione dell’esercizio del dominio.
Il collage invece è un lavoro di pittura fatto con i negativi. Un lavoro che ha una griglia tenacemente astratta, che cita le geometrie della tradizione astratta, ma che nel tessuto trattiene l’essenza della fotografia e dell’immagine fotografica. Un altro modo di lavorare con la fotografia senza la macchina fotografica. I negativi colore e b/n che si sovrappongono o giustappongono, creano una superficie traslucida ora brillante ora opaca, nero brunastra e semi trasparente. Inoltre recupero il tema del collage che mi affascina molto e che penso possa suggerirmi qualche prossimo lavoro. Il collage senza computer, ma simile mentalmente ai “papier decoupee” di Matisse, dove lui, facendosi preparare a tempera dagli assistenti grandi fogli monocromi, disegnava con le forbici direttamente nel colore. Esperienza unica in tutta la pittura fino ad allora: disegnare nel colore! Il colore che si estende per tutto il campo visivo dell’artista e Matisse, immerso nel colore, che pensa ad una forma e la intaglia nei fogli.

Bio
Carlo Benvenuto, nato a Stresa (Vb) ha all’attivo numerose personali presso importanti gallerie italiane: La mostra di Carlo, Galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano 1999, Carlo Benvenuto , Galleria Gian Carla Zanutti, Milano, 1997 e collettive tra cui: “Boom-Espresso” a cura di L.Cerizza, G.Maraniello, Ex manifattura tabacchi, Firenze, 2001,De Gustibus a cura di Achille Bonito Oliva e Sergio Risaliti, Palazzo delle Papesse, Centro Arte Contemporanea, Siena, 2002. Vive e lavora a Milano.

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Espresso, Arte oggi in italia
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colomboarte.com/it/artisti/benvenuto/benvenuto1.htm
nyartsmagazine.com/59/marco.htm

Marco Altavilla

Exibinterviste-la giovane arte è un progetto editoriale a cura diPaola Capata

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