Come hai iniziato?
Ho cominciato con un premio a salon I , una rassegna annuale curata dall’Accademia di Brera, con un tipo di lavoro analogo a quello attuale; successivamente ho cominciato a collaborare con le gallerie… Un tipo di ambiente che ti aiuta a sviluppare il lavoro, le persone interessanti, ricche, propositive, le esperienze stimolanti… poter fare quello che ti pare, evitare le logiche e la coerenza.
Parliamo della tua ultima personale allo Studio Ercolani di Bologna. Che tipo di luogo rappresenta il tuo Private Garden?
E’ un posto personale, come può esserlo una casa per ognuno, un posto per essere sicuro e incerto, dove annoiarti appagato guardando avanti; stare dietro la finestra
I pannelli-plaid in polietilene sono patchwork composti da fogli di plastica colorati, ritagliati e poi cuciti. Perché la scelta di adottare una soluzione extra-artistica come il cucito, legata ad un’attività prettamente femminile? …ha un significato particolare?
Cucire i miei quadri è funzionale per il mio lavoro proprio nel compiere questa azione, è come scandire il tempo, è significante come gesto in sé, non è semplicemente l’immagine che ne consegue, è un processo che coinvolgendomi in prima persona racconta qualcosa di personale, snaturando un “fare” storicamente femminile; un messaggio non definito, aperto e trasversale.
Il polietilene è un involucro, rappresenta l’apparenza delle cose, con le sue qualità di esteriorità immacolata, asettica pulizia, parla da se di finzione stereotipata e contemporaneamente di realtà dell’apparire, fatta di suggestioni contingenti. E’ una metafora piuttosto esplicita…
La manualità e le fasi processuali dell’opera corrispondono ad una certa scansione temporale che riguarda direttamente i tempi lunghi e lenti del fare manuale, come sviluppi questo aspetto nel tuo lavoro?
E’ visibile nelle sculture che ne sono una rappresentazione tridimensionale, strati chilometrici che si rapportano al tempo impiegato per avvolgerli, tronchi di legno che mostrano attraverso i tagli gli anelli che disegnano il susseguirsi degli anni di crescita con l’aggiunta di fruttificazioni artificiali; un tempo sottolineato e sospeso, lo spazio tra due parentesi.
In The sound of ego qual è la connessione tra la sonorità di cui parli e l’intervento installativo proposto? L’installazione, che è un progetto specifico per gli spazi di Gariboldi Contemporanea è proprio la rappresentazione del suono… Sono ipotetici anelli che sotto forma di righe di scotch blu, vanno a distendersi su tutto il perimetro della galleria, compressi all’interno dello spazio , un moto che ha il suo centro in una scultura ( the sound of ego) composta da un tamburo e da una di queste palle di nastro da regalo da 2 Km. Alle pareti, altre metafore di propagazione, come la matrioska e le geometrizzazioni di dischi in vinile a 33 giri, d’oro e di platino alludendo ai premi musicali quali espansioni quantitative di suoni. Ascolto l’elettronica , il pop-trash più comune, l’ hip-hop ;credo che la musica abbia la capacità di rappresentare l’espansione, l‘energia, il coinvolgimento, e la quantificazione del tempo.
Il tuo discorso spesso si concentra sul quotidiano innaturale e artefatto: da cosa deriva questa attrazione percettiva per il sintetico spesso contaminata da elementi naturali e materiali soft?
Viene dalle esperienze quotidiane di cose, persone, situazioni, da tutto quello che mi piace… poi nell’artefatto c’è una progettualità particolare, più morbida e paradossalmente più credibile. Ciò che è ambiguo assume valenze opposte, stimolanti; l’apparenza mi piace come involucro, ha una superficialità profonda, per me può essere tanto più interessante di un contenuto diventando essa stessa oggetto-soggetto d’ attenzione.
Mi incuriosisce la patina riflettente dei tuoi lavori a parete (cioè la superficie di plastica lucida e tesa), il tema del doppio, le corrispondenze speculari, il fatto che aggirandosi tra le tue opere ci si può realmente specchiare: è un compiacimento residuo delle tue iniziali epifanie narcisistiche?
Non c’è residuo ma continuità; è lo stesso narcisismo dei primi autoritratti, la coerenza con i soggetti precedenti e la loro evoluzione nella forma attuale, indiretta e filtrata.
La bellezza, è quella esteriore,l’immagine nel quadro è quella di chi si riconosce riflesso. Narciso lo sono tutt’ora come chi si specchia nella “…superficie di plastica lucida e tesa.. .”.
I tuoi prossimi progetti e impegni per il futuro?
Ho da poco realizzato un lavoro esposto alla Viafarini di Milano per la seconda mostra della Fondazione Ratti ad un anno di distanza dal Corso Superiore di Arti Visive il cui supervisore era Giulio Paolini. Si trattava di una scultura che fa parte del progetto “sound of ego” che ho cominciato proprio durante il corso, è di grandi dimensioni e contiene elementi nuovi legati all’idea di centralità-espansione del soggetto. Attualmente sto lavorando ad un serie nuova dei lavori di polietilene cucito ancora legati alla musica e ad alcuni progetti prettamente sonori.
bio
Paolo Gonzato è nato a Busto Arsizio nel 1975, vive e lavora a Milano. Al suo attivo ha numerose mostre collettive e personali in diverse gallerie italiane tra cui: 2003 Private Garden, Studio Ercolani, Bologna a cura di M.Altavilla; 2001 Reflected Landscape, T293, Napoli, catalogo a cura di Luca Beatrice; 2000 Paolo Gonzato, Galleria Studio Legale, Caserta.
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artista da seguire, bravo quasi sempre
ha fatto anche una mostra allo Studio Legale di Caserta?
che strano pensavo che fosse un ghetto di artisti casertani e stop!!!
Bravo!