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pre[ss]view_riviste | Fantom

di - 23 Febbraio 2010
Fantom
con la
F… Perché? Cosa e chi si nasconde dietro questa testata?

Con la F
perché è spiazzante; la rivista è in inglese, ma è prodotta in Italia e
volevamo sbilanciarne l’esterofilia. Ma soprattutto si chiama così perché ogni
fotografia è un fantasma e, da quando il digitale ha preso il sopravvento, la
fotografia è diventata fantasma di se stessa. Che non è male. La dirigono tra
Milano e New York Selva Barni, che per anni ha curato la fotografia di Rodeo e si è perfezionata al MoMA, e
Cay Sophie Rabinowitz, che ha diretto Parkett, poi un’edizione di Art Basel e l’ultima
Biennale di Atene. Le fiancheggiano Francesco Zanot, un bravissimo critico e
curatore milanese, e una vivacissima rete internazionale di collaboratori. La
rivista la pubblichiamo noi di Boiler Corporation; qualche anno fa facevamo una
rivista d’arte, poi ci siamo presi una pausa, ma adesso siamo tornati con
progetti nuovi.

In
Italia non ci sono molte riviste dedicate alla “fotografia d’arte”: mi vengono
in mente esperienze come quelle di Private
e Around Photography, e non molto altro. Come v’inserite
in questo panorama?

A modo
nostro: tutte le riviste indipendenti nascono da una mancanza, che non ha a che
fare coi soldi. A noi sembrava che non avesse più senso parlare di fotografia d’arte,
reportage, documentazione… Fantom parla di fotografia e del modo in cui, in tutte le sue
forme, incrocia la questione del rapporto tra vero, finto e falso, che è al
centro del nostro mondo. E parla del modo in cui diverse forme di fotografia, e
i discorsi sulla fotografia, si incrociano tra loro.

Passiamo
allo scenario museale italiano. A parte il Museo di Cinisello Balsamo, non vi
sono istituzioni dedicate alla fotografia contemporanea (e realtà come la
Fondazione Italiana per la Fotografia di Torino ha subito un destino
inenarrabile). E anche sotto il profilo dell’approfondimento, a parte i Quaderni
stampati dallo stesso museo
lombardo, la situazione è piuttosto desolante. Che impressioni avete in merito?

Che il
mondo della fotografia italiana ha bisogno di prendere aria, aprire porte e
finestre e provocare una bella corrente che ossigeni qualche intorpidito e
porti via un po’ di muffa e di stantio. Il Museo di Cinisello Balsamo ci piace
molto, ma è un po’ come il Deserto dei Tartari. Di fronte alla mancanza di istituzioni
si risponde con l’autorevolezza dei piccoli: fare bene cose belle. Libera la
mente, il culo la seguirà, dicevano i Funkadelic. In questo caso il culo è
quello pesante della politica.

Qualcuno
sostiene che la fotografia non ha più molto da dire come mezzo in sé all’arte
contemporanea. Anzi, che il mezzo in sé, in generale, ha esaurito la sua
funzione “storica”. Che ne pensate?

Di
andarsi a leggere Why Photography Matters As Art As Never Before, l’ultimo libro di Michael Fried.
Chi parla di storia al singolare è un trombone, un millantatore o un ignorante:
la storia è un genere letterario e la fotografia un dispositivo per l’immaginazione;
ha un inizio, che è tecnico, ma non ha fine. Parlando di “documentazione” e “reportage”,
per esempio, l’insistenza sul dramma, sulla retorica dell’orrore ha assuefatto
gli occhi alla violenza e non la si vede neanche più. Pensa alle riviste “femminili”
che in una pagina hanno uno still life di uno stivale di pitone, in quella dopo
un crudo reportage di guerra e in quella successiva un servizio su una
incantevole casa minimalista. Se la fotografia ha una funzione “storica” è
quella di insegnarci a guardare, non di documentare cose che nessuno è capace
di vedere.

Veniamo
alla rivista. Sul primo numero ci sono già alcune interessanti particolarità:
un articolo firmato da Franco Noero su un “proprio” artista (la prospettiva è
assai curiosa), l’uso della carta fotografica nelle ultime pagine e, aspetto
non di poco conto, l’uso esclusivo dell’inglese…

In ogni
numero chiediamo a un gallerista di introdurre il lavoro fotografico di un suo
artista. Sul #0 abbiamo chiesto a Guido Costa di spiegare un lavoro di
Kusmirowski, sul #1 a Franco Noero di parlare di un lavoro di Simon Starling. I
galleristi, non tutti, sono tra le persone più adatte a parlare del lavoro
degli artisti; le loro motivazioni nascono prima e vanno oltre il mercato. Sono
tra le persone più interessanti del mondo dell’arte; in loro convivono, anche
contraddittoriamente, molti suoi aspetti: passione, valore culturale ed
economico, ossessività della ricerca e della scoperta, irrazionalità da
collezionisti… Uno dei più begli stand dell’ultima edizione di Artissima era
quello di Massimo Minini, che ha accompagnato le opere esposte con delle
didascalie scritte da lui, dove raccontava del suo rapporto con ognuno degli
artisti e spiegava il perché delle sue scelte e il senso delle opere, e di
tante biografie, con una sintesi che molti giovani critici non sarebbero mai in
grado di raggiungere. La carta fotografica è dedicata a portfolio che
realizziamo con aziende la cui ricerca visiva ci piace. L’inglese è il nostro
esperanto: una rivista come Fantom in italiano non avrebbe senso, non facciamo informazione
su quello che succede in Italia. Facciamo interviste, pubblichiamo portfolio…
e la lingua del nostro mondo è l’inglese.

Quali
progetti ha Fantom
? Innanzitutto per il prossimo numero, che sarà distribuito a
gennaio. E poi? Resterete “soltanto” una rivista cartacea o prevedete sviluppi
in altre direzioni (internet, premi, mostre, libri ecc.)?

Mostre e
premi chissà, forse edizioni, un sito lo abbiamo, semplice semplice, ma con
tutto quello che serve: un archivio dei numeri precedenti e un’anteprima del
numero in corso; la lista dei collaboratori; link agli abbonamenti… Adesso
siamo impegnati a sviluppare la rivista – lavorare veramente su scala
internazionale non è facile – e a preparare una piccola collana di libri; ci
piace la carta…

a cura di
marco enrico giacomelli

*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 63. Te l’eri perso? Abbonati!


Info: www.fantomeditions.com

[exibart]


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