Lino Frongia usa tutti gli strumenti di cui dispone per arrivare ad una rappresentazione “non naturalistica, ma neanche simbolica, quasi onirica”, come afferma. L’isolamento delle figure è per lui una “tecnica di carattere sociale per accentuare la sostanza di ciò che è rappresentato”. Anche il contributo del colore ha la sua importanza. Il contesto quasi monocromatico di gialli, marroni o di grigi è illuminato da macchie di colori vivaci, accattivanti: il verde di un drappo o di un abito, il rosso di un completo giacca-pantalone, l’arancio dei tuorli di due uova fritte. Nelle opere più recenti c’è una sorta di ritorno al primo periodo quando, all’inizio degli anni ’80, il lavoro di Frongia (insieme a quello di altri artisti, tra cui Franco Pirica, Stefano Di Stasio, Paola Gandolfi e Aurelio Bulzatti) ebbe il riconoscimento di Plinio De Martiis. Fu proprio De Martiis, tuttavia, ad influenzare i lavori successivi: l’artista parla di “interferenze intimistiche”.
Leit motiv di questa mostra alla Galleria A.A.M., in cui Lino Frongia espone otto grandi tele ad olio, è l’idea del doppio -anche quando ci sono più persone, il gruppo funge da singola unità- come del resto enunciato dal manifesto stesso dell’esposizione: un’immagine catturata dal mosaico romanico della cattedrale di Trani. Lì dove però sono raffigurati due leoni -le cui teste sovrapponendosi diventano una testa sola- qui si stagliano due uomini carponi, uno in ombra l’altro in luce. Estrapolata dal suo contesto originario, la citazione diventa un pretesto per altri significati. Anche il dipinto in cui appare una figura femminile seduta su un carretto rimanda ad una fotografia che l’artista ha visto a Vienna. In quella stampa di fine Ottocento la donna seduta nel carretto, davanti ad un fondale dipinto, è Lou Andreas-Salomé: ha in mano un frustino con cui sembra tenere a bada i due uomini in piedi in cui riconosciamo Paul Rée e Nietzsche.
Inquietante traduzione di sapore surreale la Sacra famiglia con i Santi Rocco e Sebastiano -qui il riferimento è dichiaratamente di stampo manieristico- tutta giocata sull’ambiguità delle figure, i cui rispettivi attributi iconografici (la mano benedicente del Bambino Gesù o il corpo ferito dei Santi martiri Sebastiano e Rocco su cui si innesta il volto femminile della Madonna, incorniciato da una barba caprina) confluiscono in una sola figura di incerta identificazione sessuale. Francesco Moschini, riferendosi a questi lavori recenti, parla di una vera e propria svolta poetica di grande novità. “Rinunciando a qualsiasi forma di contaminazione con il reale o con il puro dato di cronaca,” -scrive il curatore- “l’artista elabora una serie di opere di classica astrazione in cui senza cadute simboliche e senza riferimenti diretti al banale quotidiano, mette in scena una olimpica distanza tra rappresentazione e aspettativa di chi guarda l’opera”.
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