La sintesi è la giusta soluzione da contrapporre a una città opulenta come Roma, soprattutto se la si inserisce in contesti che ne mantengono la tradizione. Rincominciata inequivocabilmente la stagione del contemporaneo, anche la neonata One Piece incalza, scandendo con la ceramica di
Paolo Maione (San Giovanni dâAsso, Siena, 1965) la sua quarta tappa dopo le prove di
Greta Frau,
Massimo Listri e
Alessandro Bulgini. La mostra si divide in due momenti. Da una parte, in piena coerenza con la politica espositiva dello spazio, una sola opera troneggia in galleria; dallâaltra, un proseguo di ceramiche e disegni occupano gli ambienti del lussuosissimo Hotel de Russie di via del Babuino.
Unâopera, un titolo. Il termine
apostasia abbraccia la mostra come vero e proprio concept. Senza dilungarsi troppo. Un geometrico abito da papa costringe al suo interno un fiero quanto goffo ciuco in ceramica finemente elaborata, imposto al centro della contenuta galleria a ricoprire inconsapevolmente lâonere e lâonore del serioso ruolo. GiĂ esplicitato nella recente personale alla galleria Pier Giuseppe Carini, il ciuco rimane cuore del lavoro di Maione. Immagine teatrale, irriverente quanto drammatico e storico rappresentante di ignoranza, imbarazzo e inettitudine.
Unâargomentazione che si esplicita contenuta a tal punto che si sottrae alla âstupidaâ icona proprio come lâapostata al suo credo. A un primo approccio, si teme la caduta in banalitĂ come la religione e il facile sarcasmo che può scatenare. Ma ciò non avviene, grazie a un tandem sincronizzato fra tecnica e concetto, in cui lâabile calibratura di forza iconica e artigianale composizione (che non eccede in virtuosismi stilistici) dĂ al progetto un apprezzabile assetto sintetico.
Non ci sarebbe altro da aggiungere, se la mostra si concludesse qui. Ma prosegue nei corridoi dellâHotel de Russie, rompendo lâidillio di un progetto, in potenza, oculatamente risolto. Stretti, troppo stretti su un tavolo rotondo nella hall dellâalbergo, i tre
oracoli circondano il delizioso
ciuco bollito, continuando la costante di Maione nel vestire di ruoli i suoi personaggi equini. Da qui la mostra si dirama nei corridoi, con lâulteriore esposizione di disegni su carta che, con gestualitĂ essenziale e veloce, compongono visi e ripetono gli amati ciuchi in unâiconografia a tratti allegorica. Da una parte, quindi, lâinstallazione totemica va oltre la tridimensionalitĂ , accennando a un
environment quasi performativo dello spettatore nellâassurditĂ commediante dellâimmagine padrona; dallâaltra, la bidimensionalitĂ dei disegni crea un buon colloquio, ma in una cornice che fa di questo progetto unâintuizione sĂŹ, ma spezzata in fase finale.